
di Lorena Leonardi
«Non è un’illusione e nemmeno un algoritmo. La speranza si fa in modo concreto; è la materia che traina le nostre vite. È quella spinta che muove ciascuno di noi a credere che le cose raccontate con qualsiasi mezzo — scrittura, voce, immagini — arrivino da qualche parte a costruire una relazione con chi legge, ascolta e guarda». Sono parole di Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione, durante il meeting point svoltosi nella Sala stampa della Santa Sede stamani, 24 gennaio, per la presentazione del Giubileo del mondo della comunicazione, in programma da oggi fino a domenica 26.
La tempistica, non casuale, collega a doppio filo il primo dei grandi appuntamenti giubilari con il messaggio del Santo Padre per la lix Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, reso noto oggi, come di consueto nella memoria liturgica di San Francesco di Sales, patrono della stampa cattolica.
In un mondo «iperconnesso e sconnesso» la comunicazione, ha proseguito Ruffini, rischia di «perdere il sapore della relazione»: per ricominciare a «camminare» e non «fermarsi e tornare indietro» serve che «la speranza sia un’azione, una chiamata a raccontare, a vedere in ogni cosa un dinamismo di bene». Sarebbe bello — l’auspicio del prefetto — «se tutti i giornali del mondo avviassero una comunicazione sulla speranza». Parafrasando una poesia di Gianni Rodari, Ruffini ha suggerito di «trovare insieme le parole per sperare», lanciando l’hashtag #HopeTelling per raccontare le storie di speranza. «Sperare», ha chiarito, «non vuol dire non vedere il male che c’è ma sperare che le cose possano cambiare: la fede, d’altra parte, è sostanza di cose sperate».
Nell’incontro è stato proiettato un breve video con testimonianze di giovani professionisti dell’informazione: da Timor Leste al Canada, passando per Rwanda, Messico, Argentina, Spagna, in un giro del mondo attraverso i volti freschi e le parole colme di fiducia di chi crede, nel suo piccolo, di potere lasciare un segno positivo.
È sceso nei dettagli del programma l’arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, premettendo l’importanza di vivere ciascuno personalmente il Giubileo: «Solo così — ha detto — si è capaci di una grande sfida, narrare agli altri la speranza». Il presule responsabile dell’organizzazione del Giubileo 2025 ha spiegato che lo «schema» che si inaugura oggi si ripeterà più o meno per gli altri grandi eventi dell’Anno Santo. Dapprima un momento «diocesano», stasera nella basilica di San Giovanni in Laterano, con la liturgia penitenziale e la messa presieduta dal cardinale vicario Reina. Domani mattina, il pellegrinaggio alla Porta Santa con la Croce del Cristo glorioso, seguito da un incontro nell’Aula Paolo vi dove successivamente arriverà Papa Francesco. Nel pomeriggio spazio ai «Dialoghi con la città», che si svolgeranno contemporaneamente in vari luoghi. Domenica alle 9.30, la messa della “Domenica della Parola di Dio” presieduta dal Pontefice chiuderà il Giubileo dei comunicatori che, conta quasi 10mila iscritti. Sulla “comunicabilità” della speranza ha insistito monsignor Lucio Adrián Ruiz, segretario del Dicastero per la comunicazione, evidenziando lo stretto legame con la «missionarietà», ossia l’impegno di «andare nel mondo comunicando la speranza» e praticandola, a partire dalla vita quotidiana particolare fino ai macro-eventi. Lungi dal tenere l’esperienza del Giubileo — celebrazione di «bellezza e rinnovamento» — ciascuno per sé, come un tesoro da custodire solo nel cuore, il prelato ha invitato a raccogliere «la grazia» dell’impegno «personale e collettivo» di farsi interpreti della speranza. Presenti anche Maria Ressa, giornalista filippina premio Nobel per la Pace — che ha definito quello attuale «un momento meraviglioso per ricordare il buono che c’è» — e lo scrittore irlandese Colum McCann: «È importante riconoscere il potere della speranza, specialmente nei periodi bui».