
di Salvatore Cernuzio
La bimba del Sud America con le gambe tagliate da un treno in corsa per fuggire dal Messico. Un’altra di 8 anni nelle Filippine chiusa in una stanza con la zia che vendeva il corpicino della bambina online. Le donne incinte dei loro aguzzini in Uganda, rifiutate dalle famiglie e addestrate a costruire armi. Lo splendore degli affreschi cinquecenteschi del Salone Sistino non è bastato ad attenuare il pugno allo stomaco che sono state le storie e testimonianze riportate dalle suore di tutto il mondo durante la “Conferenza globale del Giubileo con le religiose” svoltasi ieri nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
Un evento, promosso dal Dicastero per la Comunicazione con il sostegno della Hilton Foundation nell’ambito del Giubileo dedicato ai comunicatori, che ha voluto essere piattaforma e vetrina di esperienze e missioni delle religiose di diverse latitudini e del modo in cui i mezzi di comunicazione sono strumento fondamentale delle stesse. Perché grazie a social, radio, siti web o al semplice ascolto, la ragazzina sudamericana è stata portata in un centro accoglienza e poi in Tennessee e, pur avendo perso gli arti, ha recuperato il sorriso; la bimba filippina è stata salvata dall’orrore del web; le donne ugandesi hanno imparato un lavoro, provvedendo al fabbisogno personale, ma anche a quello del villaggio che le aveva rifiutate. E tutto questo grazie, appunto, alla comunicazione, intesa «come dono reciproco di sé stessi», ha detto il prefetto del Dicastero organizzatore Paolo Ruffini, nel saluto iniziale.
Quindici i relatori (12 erano donne) avvicendatisi con testimonianze coinvolgenti, da zone disastrate di Africa, Europa o Sud Est asiatico, durante l’appuntamento. Suore «profetesse di speranza», sono state definite le religiose presenti; suore forti, resilienti, esempio di «tenerezza», sì, ma declinata nel condividere pasti e alloggi con i poveri, nel mettersi dietro la macchina da presa per denunciare i drammi di un villaggio, nell’insegnare a donne analfabete a parlare in radio. «Abbiamo bisogno dell’amore creativo delle suore», ha detto infatti Ruffini. Che è un po’ il mandato affidato da Conrad Hilton alla Fondazione che porta il suo nome.
Nel testamento, ha ricordato la nipote Linda, Hilton espresse la chiara intenzione di indirizzare «la porzione più grande» dei fondi «a beneficio delle suore nel mondo». Dal 1954 a oggi sono stati elargiti 614 milioni di dollari per le religiose: «Leader che promuovono pace e giustizia».
Ne è esempio lampante Suor Norma Pimentel, angelo dei migranti che si avventurano nei viaggi della speranza dal Messico agli Usa. Un lavoro che ora, con il nuovo governo, deve affrontare «nuove sfide»: «Cercheremo di fare il massimo per difendere gli emarginati», ha detto la consacrata. Ha raccontato poi la sua vita a contatto con bambini e famiglie di Centro e Sud America, ma pure in Ucraina, Russia, Cina, tutti «in condizioni terribili».
Prima non ci riusciva a riportare davanti a microfoni e telecamere queste esperienze («Provavano a tirarmi nel mondo della politica…»), poi ha capito che la comunicazione poteva essere d’aiuto. Un esempio è proprio quello della bambina sudamericana di 6 anni che nel tentativo di imbarcarsi su “La Bestia”, il grande treno merci che attraversa il Messico e non si ferma mai, è caduta e il veicolo le ha tranciato le gambe: «La madre le ha raccolte dai binari». La bimba è stata portata al centro di suor Norma, ma la famiglia voleva trasferirsi in Tennessee. Pimentel ha postato su Facebook una foto chiedendo aiuto per i biglietti: 1.500 dollari quelli richiesti, oltre 8.000 quelli ricevuti: «E ancora arrivano fondi!».
Un applauso ha accolto l’intervento, come pure il successivo di suor Rosemary Nirumbe, definita dalla testata «Time» «tra le cento persone più influenti» del globo per il lavoro a favore delle donne rapite dall’Esercito della Resistenza del Signore in Uganda, in quanto «pericolose» per la società, rifiutate dalle famiglie. «Erano traumatizzate. Ho usato l’unica stazione radio per lanciare un messaggio: se siete incinte, se siete vittime di violenza sessuale, venite! Ascoltavano anche i ribelli, ma ho corso il rischio». E così tante donne sono andate al Centro Santa Monica coi figli.
Suor Rosemary ha avviato un progetto sartoriale per cucire abiti e borse: «Volevo comunicare che il loro futuro può essere rammendato». Il lavoro si è allargato e in Sud Sudan è stato avviato un programma di nutrizione per 450 bambini sfollati. Questo dopo che la suora è volata fino agli Usa da un benefattore: «Gli ho detto: “se non diamo da mangiare a questi bambini almeno tre volte a settimana, moriranno!”. Adesso li nutriamo ogni giorno, offriamo cure sanitarie, contrabbandiamo medicine dall’Uganda, ma non lo dite a nessuno».
Di pari forza l’intervento di suor Abby Avelino, dell’organizzazione anti-tratta Talitha Kum. Filippina, si dedica a donne e uomini ingannati e sfruttati a volte anche dai parenti. Vite rovinate, come quella della ragazza buttata in una macchina appena arrivata in aeroporto, costretta a lavorare in un night 20 ore al giorno: «Identificata, siamo riusciti a sottrarla». La religiosa ha denunciato il fenomeno dello sfruttamento nel mondo digitale con i bambini come prime vittime, specie durante la pandemia. Una nuova sfida da combattere con un lavoro congiunto di reti, agenzie, Ong, pubblica sicurezza.
Anonimato e velocità della rete permettono infatti ai trafficanti di non essere rintracciati e le App di incontro e i social offrono nuove piattaforme per reclutare al lavoro forzato, per truffe e pedofilia.
Molto apprezzato l’intervento di Chris Walter, co-director di On Our Radar, progetto nel Regno Unito che porta le persone ai margini in «front page» formando comunicatori nelle stesse comunità dove «barriere», erette a causa della sfiducia nei media, «impediscono di condividere storie». Si lavora su capacità, fiducia, creatività, si organizzano viaggi, si spiega come raccogliere informazioni. I risultati si sono visti, ad esempio, in Sierra Leone durante l’epidemia di Ebola, con i giornalisti locali che tramite sms hanno veicolato notizie da luoghi a cui i grandi media non potevano accedere. Filmati «proiettati su lenzuola» sono stati ripresi da testate internazionali. Un paradigma che può fungere da modello, ha detto Walter: «Raccontare storie “con”, non “per”».
Tra le voci maschili al convegno anche quella del francescano padre Paolo Benanti, presidente della Commissione per lo studio dell’IA della Presidenza del Consiglio italiana, che ha parlato di «inquinamento digitale» e ha insistito sulla formazione che non è più «qualcosa che si trasmette dalla vecchia alla nuova generazione. I giovani sono più esperti di noi».
Spazio in conferenza anche a un confronto sulle opportunità dei social network. A tenere banco la suora ortodossa Vassa Larin, russa naturalizzata statunitense, docente universitaria e influencer con il format “Coffee with Sister Vassa”. In particolare la religiosa ha raccontato l’evangelizzazione online che inizia sempre con un pizzico di autoironia sul velo nero che le copre l’intero capo, oggetto di battute: «Serve ad abbassare le difese». Tante volte si nota infatti aggressività nelle interazioni. «La gente è disorientata dall’informazione online che assorbe o gli viene impartita, vuole dare un senso».
A conclusione, i ringraziamenti di Nataša Govekar, direttore della Direzione Teologico-Pastorale del Dicastero per la Comunicazione, artefice dell’evento: «Mi è stato chiesto: questa conferenza è qualcosa che fate ogni anno o due anni? In realtà è la prima che ci sia mai stata. Speriamo non sia l’ultima».