· Città del Vaticano ·

Chiamati a suscitare
stupore e domande

People listen as Britain's Reform UK party leader Nigel Farage (not pictured) speaks, during a ...
24 gennaio 2025

di Andrea Monda

Come la gioia, anche la speranza è un bene che spinge inevitabilmente verso la condivisione, anzi, si potrebbe dire che esiste in quanto viene condiviso. Su questo punto il Papa ha un’affermazione chiara e netta: «La speranza è sempre un progetto comunitario». È questo uno dei punti chiave del Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2025 il cui titolo, “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori”, fa esplicito riferimento al passo della Prima Lettera di Pietro (3, 15-16) che viene definito dal Papa «una sintesi mirabile in cui la speranza viene posta in connessione con la testimonianza e con la comunicazione cristiana: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto”».

Francesco si sofferma su questo famoso passo neotestamentario ed in particolare sottolinea quella prontezza a rendere conto della speranza «a chiunque vi domandi», a voler rimarcare il fatto che la testimonianza di vita dei cristiani già di per sé è una “comunicazione”, un messaggio che suscita interrogativi. «I cristiani» afferma il Papa, «non sono anzitutto quelli che “parlano” di Dio, ma quelli che riverberano la bellezza del suo amore, un modo nuovo di vivere ogni cosa. È l’amore vissuto a suscitare la domanda ed esigere la risposta: perché vivete così? Perché siete così?».

Nella metà degli anni ’60 il teologo battista americano Harvey Cox nel saggio Il cristiano come ribelle, osservava che «i cristiani non possono essere spiegati coi termini del mondo, perché non vivono semplicemente per la loro classe o la loro razza, per i loro interessi nazionali o sessuali. Essi presentano al mondo un enigma, qualcosa di inesplicabile di cui la gente deve finalmente chiedere».

C’è quindi un ribaltamento dello schema per cui il comunicatore è innanzitutto “uno che parla”: il “parlare” di Dio del cristiano non è un semplice messaggio, un discorso, non è l’erogazione di un prodotto informativo ma ha la forza, il peso e la bellezza della testimonianza. Il parlare di Dio è piuttosto un ascoltare o, meglio, un incontrare l’altro. Non a caso il Papa subito dopo nel messaggio fa riferimento ad un altro passaggio del Nuovo Testamento, quello dei discepoli di Emmaus: «Nell’espressione di san Pietro troviamo, infine, un terzo messaggio: la risposta a questa domanda sia data “con dolcezza e rispetto”. La comunicazione dei cristiani – ma direi anche la comunicazione in generale – dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità: lo stile dei compagni di strada, seguendo il più grande Comunicatore di tutti i tempi, Gesù di Nazaret, che lungo la strada dialogava con i due discepoli di Emmaus facendo ardere il loro cuore per come interpretava gli avvenimenti alla luce delle Scritture. Sogno per questo una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato».

Il Giubileo sia quindi un’occasione di vera “conversione”, rovesciamento e inversione di rotta, per uno stile comunicativo che sappia suscitare stupore e domande, e così offrire una speranza credibile ad un mondo che proprio di questo ha una grandissima sete.