Verso un cambio

di Kielce Gussie
Lo Zimbabwe il 31 dicembre 2024 è diventato il 30° Paese africano ad abolire la pena di morte. Nel luglio del 2005 era stata eseguita l’ultima condanna a morte. Ma quasi 20 anni dopo, la firma da parte del presidente Emmerson Mnangagwa del Death Penalty Abolition Act, pone fine a tempo indeterminato a questa pratica.
L’assenza di esecuzioni negli ultimi 20 anni — spiega il segretario generale della Conferenza episcopale cattolica dello Zimbabwe, padre Tryvis Moyo, in un’intervista ai media vaticani — è stata dovuta «a un cambiamento in termini di comprensione del concetto di giustizia». In questo stesso periodo almeno 15 Paesi africani, tra cui Rwanda, Sierra Leone e Zambia, hanno abolito la pena di morte. Così anche lo Zimbabwe, già nella nuova Costituzione del 2013, aveva messo al bando la pena capitale per le donne e per chiunque abbia meno di 21 anni o più di 70.
Poi, nel 2017, l’allora presidente Robert Mugabe è stato deposto e Mnangagwa, un uomo che era stato condannato a morte durante la guerra d’indipendenza dal Regno Unito negli anni ‘60, ha preso il potere.
«Le persone nel Paese stanno ottenendo una migliore comprensione della sacralità della vita e dei sistemi di giustizia», dichiara il segretario generale della Conferenza episcopale dello Zimbabwe. In un Paese in cui l’85% della popolazione è cristiana, padre Moyo denota una crescente consapevolezza dell’esistenza di molte altre forme di punizione rispetto alla pena di morte, nelle quali «la sacralità della vita deve essere preservata».
Secondo padre Moyo, l’abolizione della pena di morte da parte di Harare avrà un effetto anche sulle altre nazioni africane che ancora continuano a prevederla. «È giusto dire che i nostri Paesi tendono a copiare l’uno dall’altro e a imparare l’uno dall’altro», sottolinea il segretario generale, «quindi penso che stia dando il buon esempio». La firma del Death Penalty Abolition Act, secondo Moyo, è un importante riconoscimento per i diritti umani in quanto è una mossa per preservare la vita: «Con la pena di morte, sono stati commessi anche errori con persone innocenti». La sfida più grande per la maggior parte dei Paesi nell’abolizione della pena di morte, secondo il segretario generale, riguarda «la comprensione della giustizia» e come viene percepita la funzione rieducativa della pena.
Con la pena capitale, non c’è alcun elemento di riabilitazione che invece punta a dare ai cittadini “una seconda possibilità”. Questo passaggio richiede un’opera di sensibilizzazione su diritti umani, dignità umana e sacralità della vita. Ci vuole educazione su questi elementi — ritiene padre Moyo — per aiutare le persone a «capire che la giustizia ha molte sfaccettature» e il sistema giudiziario dovrebbe essere incentrato sulla riabilitazione delle persone lasciando «a Dio il compito di decidere sulla vita umana».