· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-018
23 gennaio 2025

Venerdì 17

Con l’arma della speranza per contrastare guerre
e crudeltà

Nel viaggio della vita, la speranza la potremmo identificare come i segnali che ci stanno indicando il cammino. Il primo segnale è la direzione: verso il cielo, verso l’incontro definitivo con Gesù.

Non nelle prime posizioni, non nei posti più comodi, quelli sono vicoli ciechi, dai quali, se abbiamo la sfortuna di imboccarli, dobbiamo uscire a marcia indietro con fatica e vergogna.

Il secondo segnale sono i pericoli nel cammino. Voi venite da un luogo bellissimo che prende il nome da san Pelagio e occupa l’antico sito del campo dei martiri. Come fece allora quel santo bambino, in mezzo al dolore di una guerra, della crudeltà più indegna dell’essere umano, armati dell’elmo della speranza, si può rendere testimonianza, si può perseverare nel cammino del Signore, convinti che Gesù vi sosterrà sempre e vi darà inoltre la forza di essere seminatori di speranza.

Il terzo segnale sono le aree di ristoro. In questo cammino, che ora vi ha portati a Roma, per attraversare la Porta Santa e visitare le tombe degli Apostoli, abbiamo bisogno di essere sostenuti, di sentire la presenza di Colui che è la nostra unica speranza, Gesù.

Egli si presenta a noi come Maestro, come Signore, si dona a noi come cibo nella sua Parola e nell’Eucaristia, ci ripara quando foriamo in mezzo alla strada e ci accoglie quando la fatica ci vince e dobbiamo fermarci per fare una pausa. Senza questa speranza, metterci in cammino sarebbe una follia, ma, confidando in Lui, non abbiamo dubbi che arriveremo al porto desiderato.

Tuttavia, non pensate mai che seminare speranza sia dire parole di cortesia od optare per un mieloso buonismo.

Questo è il cammino di Gesù, che porta alla Gerusalemme celeste, passando per quella terrena, abbracciati alla croce e sostenuti da una miriade di cirenei.

Un cammino in cui non si può avanzare da soli, ma in comunità, guidando, difendendo, assistendo e benedicendo quanti il Signore ci ha lasciato come compito.

(Al Seminario di Cordoba - Spagna)

Sabato 18

Una pazzia gli investimenti sulle armi

Ho appreso con piacere le iniziative di solidarietà, di sostegno al volontariato, di formazione culturale e professionale a cui vi dedicate.

Lodo soprattutto quelle a sostegno delle famiglie e dei giovani, in collaborazione con la diocesi di Verona.

L’intraprendenza e la generosità del vostro operato è coerente col nome della Fondazione che rappresentate: Cattolica.

Vi incoraggio perciò ad andare avanti facendo del bene sempre e a tutti.

Un bel programma di vita!

Fare del bene sempre, perché la costanza premia chi opera con fedeltà: lo sapete bene, nel campo delle assicurazioni.

Fare del bene a tutti, cominciando dai più bisognosi, secondo la dottrina sociale della Chiesa, che testimoniate in tante opere di beneficenza.

Non dimentichiamo che il denaro rende di più quando è investito a vantaggio del prossimo. Questo è importante.

C’è una situazione molto brutta, adesso, sugli investimenti. In alcuni Paesi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi: investire per uccidere.

Sono pazzi! Questo non è a vantaggio della gente. E quando si fa così, contro o fuori rispetto al vantaggio della gente, il denaro invecchia e appesantisce il cuore, rendendolo duro e sordo alla voce dei poveri.

Quando mettiamo la ricchezza a servizio della dignità dell’uomo, non possiamo che averne guadagno: promuovendo il bene comune, infatti, si migliorano i legami della società cui tutti partecipiamo.

(Alla Fondazione Cattolica di Verona)

Servizio
prezioso
per il bene
di tutti

Il vostro prezioso impegno dev’essere sempre animato da uno spirito di fede e di carità, perché aiutare la Guardia Svizzera Pontificia significa sostenere il Successore di Pietro nel suo ministero nella Chiesa universale — e anch’io personalmente sono molto grato per il servizio fedele delle guardie.

Nei tempi il lavoro della Guardia Svizzera è molto cambiato, ma la sua finalità rimane sempre quella di proteggere il Papa.

Questo comporta anche di contribuire all’accoglienza di tanti pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo che desiderano incontrarlo.

La vostra Fondazione supporta le guardie in diversi modi e ambiti: in primo luogo si adopera in favore delle famiglie, soprattutto per quanto riguarda l’educazione e la formazione dei figli negli istituti scolastici appropriati.

A me piace che le guardie si sposino; a me piace che abbiano dei figli, che abbiano una famiglia.

Questo aspetto è diventato tanto più rilevante, in quanto le guardie sposate con figli sono aumentate e il bene delle famiglie è di fondamentale importanza per la Chiesa e la società.

La Fondazione fornisce i mezzi per garantire, migliorare e aggiornare la professionalità e i metodi di lavoro, delle attrezzature e delle infrastrutture.

Offrite una valida assistenza per tutti coloro che, dopo il loro servizio in Vaticano, rientrano in patria. La cooperazione tra la vostra Fondazione e la Guardia Svizzera Pontificia è esemplare, perché dimostra che nessuna realtà può andare avanti da sola. È importante collaborare. Tutti dobbiamo aiutarci e sostenerci a vicenda e questo vale per voi, per le singole comunità, ma anche per la Chiesa intera.

(Alla Fondazione della Guardia Svizzera Pontificia)

Domenica 19

La risposta
di Gesù
alle nostre
mancanze

Il Vangelo ci narra il primo segno di Gesù, quando trasforma l’acqua in vino durante una festa di nozze a Cana. In questo possiamo trovare due cose: la mancanza e la sovrabbondanza.

Da una parte il vino viene a mancare e Maria dice a Suo Figlio: «Non hanno vino»; dall’altra, Gesù interviene facendo riempire sei grandi anfore e, alla fine, il vino è così abbondante e squisito che il maestro del banchetto domanda allo sposo perché lo ha conservato fino alla fine.

Dunque, il segno nostro è sempre la mancanza, ma sempre «il segno di Dio è la sovrabbondanza» e la sovrabbondanza di Cana ne è il segno.

Dio non è tirchio! Quando dà, dà tanto. Non ti dà un pezzettino, ti dà tanto. Alle nostre mancanze, il Signore risponde con la sua sovrabbondanza.

Nel banchetto della nostra vita a volte ci accorgiamo che il vino viene a mancare: che ci mancano le forze e tante cose. Succede quando le preoccupazioni che ci affliggono, le paure che ci assalgono o le forze dirompenti del male ci tolgono il gusto della vita, l’ebbrezza della gioia e il sapore della speranza.

Dinanzi a questa mancanza, quando il Signore dà, dà la sovrabbondanza. Sembra una contraddizione: più in noi c’è mancanza, più c’è la sovrabbondanza del Signore. Perché il Signore vuole fare la festa con noi, una festa che non avrà fine.

Israeliani
e palestinesi
rispettino
quanto
concordato

Nei giorni scorsi è stato annunciato che oggi entrerà in vigore il cessate il fuoco a Gaza. Esprimo gratitudine a tutti i mediatori. È un bel lavoro questo di mediare perché si faccia la pace.

Auspico che quanto è stato concordato venga rispettato subito dalle parti e che tutti gli ostaggi possano tornare finalmente a casa e riabbracciare i loro cari. Prego tanto per loro e per le loro famiglie. Spero pure che gli aiuti umanitari raggiungano ancora più velocemente e in grande quantità la popolazione di Gaza, che ne ha tanta urgenza.

Sia gli israeliani che i palestinesi hanno bisogno di chiari segni di speranza: auspico che le autorità politiche di entrambi, con l’aiuto della Comunità internazionale, possano raggiungere la giusta soluzione per i due Stati.

Tutti possano dire: sì al dialogo, sì alla riconciliazione, sì alla pace. E preghiamo per questo: per il dialogo, la riconciliazione e la pace.

(Angelus in piazza San Pietro)

Lunedì 20

La pace
dono fragile

Come “pellegrini di speranza”, stiamo camminando insieme in questo Anno Santo 2025. In questo itinerario di fede siamo confermati dalla Lettera agli Ebrei dove si dice: «Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso».

Sant’Enrico è, per così dire, un’icona di questa speranza, la quale trova il suo fondamento sicuro e saldo in Dio.

Come messaggero di pace, Sant’Enrico ci esorta a non cessare mai di elevare le nostre preghiere per il dono tanto prezioso quanto fragile della pace. Dobbiamo pregare per la pace! Allo stesso tempo, il santo Patrono della Finlandia è simbolo dell’unità donata da Dio, perché la sua festa continua a unire i cristiani di diverse Chiese e Comunità ecclesiali nel lodare insieme il Signore.

Il fatto che il vostro pellegrinaggio a Roma sia accompagnato da cori che onorano il Dio Uno e Trino con la loro musica è un bel segno di ecumenismo dossologico.

Rimanendo in tema musicale, potremmo dire che il Credo niceno, che tutti condividiamo, è una straordinaria “partitura” di fede.

Questa “sinfonia della verità” è Gesù Cristo stesso, il centro della sinfonia. Egli è la verità fatta carne: vero Dio e vero uomo, nostro Signore e Salvatore. Chiunque ascolti questa “sinfonia della verità” — non solo con le orecchie, ma con il cuore — sarà toccato dal mistero di Dio che si protende verso di noi, pieno di amore, nel suo Figlio: su questo amore fedele si fonda la speranza che non delude!

Testimoniare questo amore incarnato è la nostra vocazione ecumenica, nella comunione di tutti i battezzati.

(A una delegazione ecumenica dalla Finlandia)

Vicinanza
e carità

Siete una comunità di giovani e adulti, motivati dalla fede in Gesù Cristo e dal desiderio di rispondere alla sua chiamata.

Ho saputo che venite da trentanove diverse diocesi: ventisei italiane, quattordici non italiane, tra cui un’eparchia della Chiesa Siro-Malabarese.

In questa varietà di provenienze e appartenenze si riflette qualcosa del volto uno e molteplice del santo Popolo fedele di Dio, che è “infallibile in credendo”.

Secoli fa, un mio predecessore ha attribuito al Collegio Capranica la qualifica di “Almo”. Questo appellativo può essere tradotto, in italiano, con “che nutre” o “che dà vita e mantiene in vita”.

In un contesto come il vostro ci si può “nutrire bene” se non si smarrisce la strada, “vaneggiando”, state attenti a questo! Quand’è che si finisce per “vaneggiare”? Quando si trascurano le relazioni fondamentali, le “vicinanze” che più volte ho avuto modo di richiamare parlando ai seminaristi e ai ministri ordinati.

Le tre vicinanze: vicinanza con Dio, vicinanza con il vescovo e vicinanza con il popolo.

Le tre vicinanze di un prete. E c’è una quarta: la vicinanza fra voi.

Abbiate cura della missione alla quale Gesù chiama oggi la Chiesa, in tempi complessi ma sempre raggiunti dalla misericordia divina.

Vivete questa missione con lo stile che opportunamente qualifichiamo come “sinodale”.

Di tanto in tanto siete coinvolti anche nelle liturgie che celebriamo in San Pietro. Vi ringrazio di questo e, allo stesso tempo, vi esorto ad avere, nei confronti delle “vicinanze” a cui ho fatto riferimento poco fa, la stessa cura che ponete nella liturgia. Non c’è liturgia cristiana se ai gesti che compiamo non corrisponde una vita di fede, speranza, carità.

La carità si esprime in concreto, non con parole, nel vostro Collegio, anche attraverso un piccolo ma prezioso servizio di assistenza a persone bisognose che sanno di poter trovare in voi un sostegno per affrontare con meno fatica il peso della vita.

Vi aiuti anche questo servizio a non “vaneggiare”, come avviene quando si perde il contatto con chi si trova in situazioni di marginalità e di disagio.

(All’Almo Collegio Capranica di Roma)

Mercoledì 22

Passione
e compassione
per i poveri

La missione di promuovere la dignità umana è urgente in un’epoca in cui il numero dei poveri e degli esclusi continua ad aumentare.

Voi avete scelto di non stare alla finestra, ma di impegnarvi in prima persona con passione e compassione, come il buon Samaritano.

La vostra Fondazione ha dimostrato come la generosità e l’impegno possano trasformare le vite di coloro che si trovano in situazioni di vulnerabilità.

Il servizio gratuito nei campi dell’educazione, della salute, dell’assistenza ai rifugiati e della lotta contro la povertà è una testimonianza, una testimonianza concreta di amore e di compassione.

Non dimenticate questa parola: “patire con”.

Dio è compassionevole, Dio si avvicina a noi e patisce con noi. E compassione non è buttare una moneta nelle mani dell’altro senza guardarlo negli occhi.

No. Compassione è avvicinarsi. Il vostro fondatore, Conrad Nicholson Hilton, vi ha lasciato in eredità il suo sogno, che anima i progetti della Fondazione.

Tra questi ce n’è uno che vi vede molto attivi: è quello del sostegno alle suore.

Hilton aveva una grande stima delle suore e nel suo testamento ha chiesto alla Fondazione di supportarle nella missione a servizio dei più poveri e degli ultimi.

La missione
delle suore
è servire, non
essere serve

È importante che le suore possano studiare e formarsi.

Il lavoro alle frontiere, nelle periferie, in mezzo agli ultimi, ha bisogno di persone formate e competenti. E, mi raccomando, la missione delle suore è di servire gli ultimi, e non di essere le serve di qualcuno.

Questo deve finire, e voi, come Fondazione state aiutando a portare la Chiesa fuori da questa mentalità clericalista.

Spesso ci si lamenta che non ci sono abbastanza suore nei ruoli di responsabilità, nelle Diocesi, nella Curia e nelle Università. È vero.

Da una parte, bisogna superare una mentalità clericale e maschilista.

Ho anche sentito Vescovi dire: vorrei nominare suore in alcuni uffici della diocesi, ma le superiore non le lasciano.

Allora dico alle superiore: siate generose, abbiate il respiro della Chiesa universale e di una missione che supera i confini del vostro Istituto.

Insieme possiamo costruire un mondo in cui ogni persona, qualunque sia la sua origine o la sua situazione, possa vivere con dignità.

Insieme possiamo aiutarci ad accendere la speranza nei cuori di chi si sente solo e abbandonato.

Sogno un mondo in cui gli scartati, gli esclusi, le persone emarginate possano essere i protagonisti di un cambiamento sociale di cui abbiamo molto bisogno, per vivere da fratelli e sorelle.

(Alla Hilton Foundation)

Maria,
capolavoro
di Dio
cesellato
dalla grazia

All’inizio del suo Vangelo, Luca mostra gli effetti della potenza trasformante della Parola di Dio che giunge non solo tra gli atrii del Tempio, ma anche nella povera abitazione di una giovane, Maria, che, promessa sposa di Giuseppe, vive ancora in famiglia.

Dopo Gerusalemme, il messaggero dei grandi annunci divini, Gabriele, che nel suo nome celebra la forza di Dio, è inviato in un villaggio mai menzionato nella Bibbia ebraica: Nazaret. A quel tempo era un paesino della Galilea, alla periferia di Israele, zona di confine con i pagani e le loro contaminazioni.

Proprio lì l’angelo reca un messaggio dalla forma e dal contenuto del tutto inauditi, tanto che il cuore di Maria ne viene scosso, turbato.

Al posto del classico saluto “pace a te”, Gabriele si rivolge alla Vergine con l’invito “rallegrati!”, “gioisci!”, un appello caro alla storia sacra, perché i profeti lo usano quando annunciano la venuta del Messia.

È l’invito alla gioia che Dio rivolge al suo popolo quando finisce l’esilio e il Signore fa sentire la sua presenza viva e operante.

Inoltre, Dio chiama Maria con un nome d’amore sconosciuto nella storia biblica: kecharitoméne, che significa «riempita dalla grazia divina».

Questo nome dice che l’amore di Dio ha già da tempo abitato e continua a dimorare nel cuore di Maria.

Dice quanto lei sia “graziosa” e soprattutto quanto la grazia di Dio abbia compiuto in lei una cesellatura interiore facendone il suo capolavoro: piena di grazia.

Questo soprannome amoroso, che Dio dà solo a Maria, è subito accompagnato da una rassicurazione: “Non temere!”

Poi Gabriele annuncia alla Vergine la sua missione, facendo riecheggiare nel suo cuore numerosi passi biblici riferiti alla regalità e messianicità del bambino che dovrà nascere da lei e che il bambino sarà presentato come compimento delle antiche profezie.

La Parola che viene dall’Alto chiama Maria ad essere la madre del Messia, quel Messia davidico tanto atteso.

È la madre del Messia.

Egli sarà re non alla maniera umana e carnale, ma alla maniera divina, spirituale.

Al servizio
con fiducia

Il suo nome sarà “Gesù”, che significa “Dio salva”, ricordando a tutti e per sempre che non è l’uomo a salvare, ma solo Dio. Gesù è Colui che compie queste parole del profeta Isaia:«Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione.

Questa maternità scuote Maria dalle fondamenta.

Da donna intelligente qual è, capace cioè di leggere dentro gli avvenimenti , ella cerca di comprendere, di discernere ciò che sta capitando.

Nel profondo del suo cuore aperto, sensibile, sente l’invito a fidarsi di Dio, che ha preparato per lei una speciale “Pentecoste”.

Proprio come all’inizio della creazione, Dio vuole “covare” Maria con il suo Spirito, potenza capace di aprire ciò che è chiuso senza violarlo, senza intaccare la libertà umana; vuole avvolgerla nella «nube» della sua presenza perché il Figlio viva in lei e lei in Lui.

Maria si accende di fiducia.

Si abbandona, obbedisce, fa spazio: è «una camera nuziale fatta da Dio».

Maria accoglie il Verbo nella propria carne e si lancia così nella missione più grande che sia stata mai affidata a una donna, a una creatura umana.

Si mette al servizio: è piena di tutto, non come una schiava ma come una collaboratrice di Dio Padre, piena di dignità e autorità per amministrare, come farà a Cana, i doni del tesoro divino, perché molti possano attingervi a piene mani.

Impariamo da Maria, Madre del Salvatore e Madre nostra, a lasciarci aprire l’orecchio dalla divina Parola e ad accoglierla e custodirla, perché trasformi i nostri cuori in tabernacoli della sua presenza, in case ospitali dove accrescere la speranza.

Con il cuore a Los Angeles

Sappiate che il mio cuore è con il popolo di Los Angeles, che ha sofferto così tanto a causa degli incendi che hanno devasto interi quartieri e comunità.

E non sono finiti.

Nostra Signora di Guadalupe interceda per tutti gli abitanti affinché possano essere testimoni di speranza attraverso la forza della diversità e della creatività per cui sono conosciuti in tutto il mondo.

Filo diretto
con Gaza

Ieri ho chiamato, lo faccio tutti i giorni, la parrocchia di Gaza: erano contenti! Lì dentro ci sono 600 persone, tra parrocchia e collegio. E mi hanno detto: “Oggi abbiamo mangiato lenticchie con pollo”. Una cosa che in questi tempi non erano abituati a fare: solto qualche verdura, qualcosa… Erano contenti!

Preghiamo per Gaza, per la pace e per tante altri parti del mondo. La guerra sempre è una sconfitta!

E chi guadagna con le guerre? I fabbricanti delle armi.

Udienza generale nell’Aula Paolo vi )