· Città del Vaticano ·

Non è la fine ma un inizio

This picture taken from the Israeli side of the border with the Gaza Strip shows destroyed buildings ...
16 gennaio 2025

da Gerusalemme
Roberto Cetera

L’umore che oggi prevale qui in Israele non è la gioia per la fine della guerra, quanto un’ancor oggi permanente tristezza per il suo inizio 15 mesi fa. La ferita che si è aperta il 7 ottobre non si rimarginerà facilmente tra gli israeliani.

Per quanto, al momento, non siano ancora chiari tutti gli elementi dell’accordo siglato ieri sera a Doha, qualche punto fermo è possibile tracciarlo.

Innanzitutto non si tratta di una pace, ma certamente di una tregua, un cessate-il-fuoco con scambio di ostaggi e prigionieri. Tanti saranno gli elementi che verranno messi alla prova fin dai prossimi giorni. Occorrerà vedere intanto se la tregua reggerà, e su quali posizioni l’esercito israeliano si attesterà, e soprattutto a chi spetterà la gestione amministrativa futura di Gaza. Occorrerà poi vedere quale sarà la tenuta del governo israeliano, a fronte dell’opposizione all’accordo che è stata espressa dai ministri dall’estrema destra nazionalista religiosa. Ma anche osservare quali saranno gli equilibri interni alla galassia palestinese, laddove l’ultima fase delle trattative ha svelato una decisa concorrenzialità tra Hamas e Jihad islamica, ed è tutta da verificare la persistenza della presa di Hamas sulla popolazione di Gaza. Occorrerà anche vedere se il governo palestinese, — grande assente da questi negoziati —, sarà chiamato o meno a svolgere un qualche futuro ruolo nella Striscia.

Ci sarà anche da monitorare con più attenzione come andrà evolvendosi la situazione nei territori palestinesi ancora occupati nella zona cisgiordana, dove la pressione militare è in crescendo (anche oggi sono stati cinque i palestinesi uccisi a Jenin). Tale zona riveste, per i nazionalisti religiosi israeliani che auspicano il “grande Israele”, un’importanza strategica superiore a quella attribuita alla Striscia di Gaza.

Ci sarà soprattutto da vedere quali saranno le successive mosse verso una complessiva stabilizzazione del Medio Oriente, della nuova amministrazione americana, che — seppur in parallelo col team americano uscente — ha svolto un ruolo nel raggiungimento di questo primo accordo. Gli inviati del presidente eletto hanno esercitato una forte pressione su entrambe le parti, non di meno su Netanyahu. Rimane incontrovertibile il fatto che lo schema dell’accordo raggiunto ieri sera (e che entrerà in vigore domenica) è nelle sue linee essenziali analogo al piano Biden presentato già nel maggio scorso. Otto mesi nei quali l’unica cosa che è cambiata è il numero dei morti.

Perché oggi nessuna delle parti può dire di aver vinto. Perché nelle guerre sempre perdono tutti. Molto, insomma, ha ancora da accadere, ma diciamo che possiamo tornare a guardare alla Terra Santa con uno sguardo di Speranza, da oggi, in questo anno santo dedicato alla Speranza. E come diceva l’apostolo la speranza mai delude.