· Città del Vaticano ·

Uno storico risultato all’insegna del ruolo dei pontefici

Dialogo e piccoli passi:
i rapporti
tra Cuba e il Vaticano

 Dialogo e piccoli passi:  QUO-011
15 gennaio 2025

di Guglielmo Gallone

La liberazione dei 553 prigionieri annunciato da L’Avana con la mediazione della Chiesa cattolica è un altro tassello di una storia di dialogo e di piccoli passi in cui i Pontefici hanno svolto un ruolo fondamentale.

Iniziata nel 1935 con l’apertura della Nunziatura apostolica e proseguita nel 1962, quando Papa Giovanni xxiii supplica «tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità» per «salvare la pace» ed evitare una guerra alimentata dall’invio dei missili sovietici a Cuba, questa storia si consolida il 21 gennaio 1998. Quel giorno Papa Giovanni Paolo ii viene ricevuto dal leader cubano Fidel Castro e dà inizio al suo viaggio apostolico nell’isola, durato sei giorni. Già nel saluto iniziale, il Pontefice manda un messaggio forte: «Che Cuba si apra con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e che il mondo si apra a Cuba». Quattordici anni dopo, il 26 marzo 2012, Papa Benedetto xvi arriva nello Stato insulare dell’America Centrale, posto tra il mar dei Caraibi, il Golfo del Messico e l’oceano Atlantico, identificandosi come «Pellegrino della carità».

Seguendo le orme dei suoi predecessori, il 19 settembre 2015 Papa Francesco visita Cuba per «rinnovare questi legami di cooperazione e amicizia» affinché «la Chiesa continui ad accompagnare ed incoraggiare il popolo cubano nelle sue speranze». Non solo: Francesco, l’anno seguente, sceglie proprio l’aeroporto internazionale “José Martì” a La Habana per incontrare il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Kirill, con cui viene firmata una dichiarazione congiunta dove si afferma che, riprendendo le parole del Santo Padre, «l’unità si fa camminando».

In tutti questi anni, l’impegno della Santa Sede per Cuba si rinnova costantemente, non è circoscritto agli aspetti religiosi bensì coinvolge la società — in larga parte cattolica —, la politica e la diplomazia.

Nell’ottobre 2014 il Vaticano accoglie le delegazioni di Cuba e Stati Uniti, offrendo i suoi «buoni offici» per favorire un dialogo costruttivo su temi delicati dal quale scaturiscono soluzioni soddisfacenti per entrambe le parti. Una missione per niente facile, dati i rapporti tra Washington e L’Avana, deteriorati dopo la rivoluzione di Fidel Castro e l’aumento dell’intesa tra Cuba e l’Unione Sovietica.

Eppure, proprio dopo gli incontri tra cubani e americani avvenuti in Segreteria di Stato al vaglio del cardinale Pietro Parolin, il 17 dicembre 2014 il presidente Barack Obama annuncia la storica intenzione di porre fine all’embargo contro Cuba, imposto dagli statunitensi all’indomani della rivoluzione datata 1959. E, solo due anni dopo, per la prima volta in ottantotto anni un presidente americano torna a Cuba.

Risultati inediti e caratteristici della «diplomazia della speranza» di cui, ha ricordato Papa Francesco nel discorso al corpo diplomatico dello scorso 9 gennaio, «tutti siamo chiamati a farci araldi». Non si può in questo senso dimenticare il ruolo fondamentale svolto dall’arcivescovo di Cuba, il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, che, sulle colonne de «L’Osservatore Romano», alla vigilia del viaggio papale del 2015, ricordava come «a volte bastano uno sguardo, un gesto, un sorriso, per sapere che Dio viene a noi e che, per mezzo del suo Vicario in terra, Cristo sta visitando il suo popolo».

Un popolo, quello cubano, che ha affrontato e affronta molte difficoltà ma che, specie per questi motivi, richiede una vicinanza sempre più stretta da parte della Santa Sede. Proprio come avvenuto fino ad ora e come testimoniato dalla liberazione di oltre 500 prigionieri.