· Città del Vaticano ·

Riflessioni dopo aver (ri)visto a teatro “Aggiungi un posto a tavola”

Recuperare la leggenda
per resistere al disincanto

 Recuperare la leggenda per resistere al disincanto  QUO-010
14 gennaio 2025

di Andrea Monda

A Natale sono andato a vedere al Teatro Brancaccio lo spettacolo “Aggiungi un posto a tavola”, che festeggiava i 50 anni dalla prima edizione e sarà in scena fino a metà marzo. Bello lo spettacolo, bravi tutti gli attori del nuovo cast, a partire da Giovanni Scifoni nei panni del protagonista, don Silvestro, novello Noè alle prese con un nuovo diluvio universale. E mentre mi divertivo è scattato, automatico, il meccanismo di verificare se e quanto lo spettacolo fosse “invecchiato”. Qualche battuta in effetti era “datata”, una in particolare oggi suonerebbe politicamente scorretta, ma cose di poco conto. Anche le musiche di Armando Trovajoli “tenevano”, anche se ovviamente trasportavano il pubblico alle sonorità della prima metà degli anni '70. C’è un’espressione, però, che mi ha colpito e indotto a riflettere, una parola in particolare, un aggettivo: “leggendaria”. Viene ripetuto più volte nel corso dello spettacolo, non solo nei dialoghi ma anche in almeno una canzone. Ho pensato che all'epoca, 50 anni fa, era un termine normalmente in uso. E il senso di quell’aggettivo era totalmente positivo, leggendaria come a dire “straordinariamente bella”, di una bellezza potente, da sogno. Oggi non si usa più questa parola, forse qualcuno dice “mitica”, ma “leggendaria” ha perso terreno. Di più: la parola ha assunto una sfumatura negativa perché chi la usa vuole indicare qualcosa di falso, irreale, frutto di narrazioni (le leggende) che esagerano fino a mistificare la verità dei fatti.

Questo slittamento semantico, dal positivo al negativo, mi ha fatto riflettere. Mi è sembrato un dettaglio, piccolo ma non insignificante, dello sviluppo della società occidentale contemporanea che, molto sinteticamente, si può dire che ha perso il senso della leggenda. E con esso anche il senso dell’epica, del mito, del racconto. Viviamo, ormai da alcuni secoli, l’epoca del dis-incanto. I canti e gli in-canti si sono spezzati.

Il 15 gennaio esce nelle librerie italiane “La caduta di Numenor”, di J.R.R.Tolkien, che arriva da quel ricco “corpus” di testi composti dallo scrittore inglese e che lui definiva il Legendarium in quanto voleva donare un inseme di leggende alla sua terra (che secondo lui ne era sprovvista). E così Tolkien è riuscito, nel cuore del '900, a risuscitare il genere letterario dell'epica che era scomparso con il passaggio dal Medio Evo all’epoca moderna ma che fino a tutto il ‘500 era stato il genere principe della letteratura. Tolkien muore il 2 settembre del 1973; due giorni prima era morto John Ford il grande regista di film western quei film grazie ai quali, osservò uno scrittore e poeta a suo modo epico come Borges, Hollywwod, anche per motivi commerciali, aveva ridato nuova vita all’epica.

La società ha perso il senso delle grandi narrazioni, e questo vale per la società civile, si pensi alla politica come è diventata: solo gestione dell'emergente senza alcuna visione né sentimento di un orizzonte, di un destino, di una responsabilità comune, e lo stesso forse vale anche per la società religiosa. Il senso ultimo dell'esistenza, la vita come avventura a cui il Creatore chiama l’uomo a camminare insieme a Lui, quel «Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno» (Genesi 3.8), un’avventura drammatica ma anche gioiosa perché Cristo è il Signore della storia che ha sconfitto il Principe del mondo, tutto questa “epopea cristiana” sembra essersi smarrita nella memoria dei fedeli. Forse per questo Papa Francesco spesso ripete l’invito a tornare alla buona abitudine di raccontare storie, di incontrarsi tra le generazioni a narrare e narrarsi. Ad attingere a quel pozzo infinito di racconto e di leggende popolari che appunto ogni popolo deve alimentare. Raccontare è un esercizio prezioso per la sanità individuale e collettiva, che rinforza l’identità personale come quella comunitaria. In questo la leggenda gioca un ruolo cruciale, come intuiva più di un secolo fa Chesterton: «La leggenda è fatta generalmente dalla maggioranza, sana, degli abitanti di un villaggio; il libro è scritto, generalmente da quello, fra gli abitanti del villaggio, che è matto». Temo che avesse ragione e nel mondo impazzito di oggi siamo sempre più pieni di libri ma poveri di leggende.