
di Anthony R. Lusvardi*
Il 2 febbraio 2024, il Dicastero per la dottrina della fede ha pubblicato una Nota, Gestis verbisque, sulla validità dei sacramenti. Un’introduzione del cardinale prefetto Víctor Fernández ha spiegato le ragioni del documento. Negli ultimi decenni sono emersi ripetutamente casi di sacerdoti o diaconi che hanno inventato nuove formule battesimali. Queste alterazioni sollevano la questione della validità di questi “battesimi”, cioè se un battesimo come lo intende la Chiesa sia effettivamente avvenuto.
Le parole essenziali usate per battezzare — la formula «Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» — traggono origine da Gesù stesso (cfr. Mt 28, 19). Nel 2008, l’allora Congregazione per la dottrina della fede ha esaminato le variazioni di questa formula che assegnavano nuovi nomi alle Persone della Trinità. Padre, Figlio e Spirito Santo sono stati sostituiti da «Creatore, Redentore e Santificatore» o «Creatore, Liberatore e Sostenitore». Nel 2020, la Congregazione ha affrontato un caso più sottile. Invece di «Io ti battezzo...», un sacerdote aveva usato variazioni della formula: «A nome dei genitori, dei nonni, della comunità, della famiglia e degli amici, noi ti battezziamo...».
La questione affrontata dal Dicastero per la dottrina della fede in questi casi era limitata: questi “battesimi” erano validi? La validità è un concetto semplice. Il battesimo ha alcune caratteristiche essenziali che lo distinguono da altri riti religiosi. Pregare il rosario è lodevole, ma non è un battesimo. La circoncisione è un rito di iniziazione, ma non è un battesimo. Validità significa semplicemente che un’azione soddisfa la definizione di battesimo. Le motivazioni e il carattere delle persone coinvolte — ministri o destinatari — non sono in discussione. E anche se i problemi creati da un battesimo non valido sono considerevoli, la questione di cosa fare per risolverli poteva essere affrontata solo dopo la determinazione dei fatti. In un caso particolarmente spinoso, un giovane sacerdote scoprì di essere stato battezzato in modo non valido, il che significava che anche la sua ordinazione non era valida.
Purtroppo, allontanandosi dalle parole della Scrittura e della tradizione, le formule di cui sopra cambiano sottilmente il significato del rito. “Padre” e “Figlio” implicano una certa relazione tra le persone, mentre non lo stabiliscono “Creatore” e “Liberatore”. L’identità della Trinità è profondamente minata. Passare da «Io ti battezzo» a «Noi ti battezziamo», invece, confonde la questione di chi è all’opera nel sacramento, specialmente se in tale passaggio il “Noi” viene espresso in senso orizzontale, perdendo così il primato del valore verticale del sacramento, espresso attraverso l’«Io ti battezzo» da colui che conferisce il battesimo.
La teologia cattolica ritiene che sia Cristo a battezzare attraverso le mani del ministro, rendendo il sacramento più che un’iniziazione comunitaria. Inoltre, la nuova formula faceva un’affermazione letteralmente falsa: i genitori, i padrini e la comunità non versavano l’acqua sulla testa del bambino. Le parole e le azioni non corrispondevano.
Quando questi casi si sono presentati per la prima volta, le risposte del Dicastero si sono limitate a una constatazione di fatto e a una breve spiegazione. Fin dal Medioevo le caratteristiche essenziali dei sacramenti sono state definite in termini di “materia” e “forma”. La materia corrisponde all’elemento fisico del battesimo (l’acqua) e la forma alle parole essenziali (la formula) che accompagnano le azioni rituali. Ma la proliferazione di battesimi non validi indica un deficit di comprensione del sacramento anche tra il clero. La Nota Gestis verbisque risponde a questo problema più profondo offrendo una spiegazione più completa del perché sia importante la fedeltà ai riti liturgici della Chiesa, attingendo sia alle categorie classiche della teologia scolastica sia al lavoro di teologi moderni come Romano Guardini. Inoltre, afferma con forza quanto sia importante la questione.
Dal punto di vista della teologia sacramentale, almeno tre punti della Gestis verbisque meritano un’attenzione particolare.
Il primo è che la Nota fonda la sua comprensione della validità sacramentale nella persona di Gesù e nella sua incarnazione. La corporeità e la particolarità dei sacramenti derivano dalla particolarità della vita terrena di Gesù. Tale enfasi non deve essere data per scontata. La teologia neoscolastica ha talvolta trattato la necessità dei sacramenti principalmente come una questione di obbedienza alla legge divina. Riconoscendo l’incompletezza di tale spiegazione, il Movimento Liturgico dell’inizio del xx secolo ha cercato di recuperare il senso più profondo dei Padri della Chiesa: i sacramenti sono necessari perché ci permettono di partecipare al mistero dell’azione salvifica di Dio. L’approvazione del Concilio Vaticano ii della “partecipazione attiva” alla liturgia riflette questa convinzione.
Gestis verbisque, inoltre, sottolinea anche le implicazioni di questo insegnamento. I sacramenti sono prima di tutto azioni divine, il che significa che i ministri della Chiesa non hanno il diritto di alterarne i contorni fondamentali. «La Chiesa è “ministra” dei Sacramenti, non ne è padrona», afferma il documento (n. 11). I simboli sacramentali contengono strati di significato e risonanze che non possiamo esaurire completamente, e quindi non siamo liberi di cambiare. Il linguaggio simbolico della liturgia — sia le parole che le azioni — è irriducibile.
L’apprezzamento dell’irriducibilità del linguaggio simbolico della liturgia fa da sfondo al secondo dei punti di maggior rilievo della Nota: il trattamento dell’intenzione del ministro. I sacramenti sono azioni umane, osserva il documento, e quindi richiedono una genuina intenzione umana da parte del loro ministro. Non possono essere celebrati accidentalmente (o dall’intelligenza artificiale!). Non è necessario che un ministro comprenda l’intera profondità del significato presente in ogni sacramento, ma deve avere l’intenzione di fare ciò che la Chiesa fa quando battezza.
Questa intenzione di base significa che, nel caso del battesimo, anche un non cristiano può battezzare in caso di emergenza. Chi battezza, però, deve avere l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa e non qualcos’altro. Ciò che la Chiesa intende fare, sottolinea GV, è espresso in modo fondamentale dal sacramento stesso. Alterare le parole del battesimo prescritte dalla Chiesa, quindi, significa necessariamente che non si intende ciò che la Chiesa fa, ma qualcos’altro. Nei casi di formule battesimali non valide discussi sopra, i sacerdoti coinvolti pensavano senza dubbio di migliorare l’antico rito della Chiesa, rendendolo più inclusivo, ma proprio per questo hanno aperto un varco tra l’intenzione della Chiesa e la loro.
L’ultimo punto da trarre dalla Gestis verbisque è la sua preoccupazione pastorale. I fedeli che richiedono i sacramenti della Chiesa hanno il diritto di riceverli. Sostituire le proprie preferenze personali ai riti trasmessi dalla Chiesa è un abuso di potere, un atto di clericalismo. Guardini considerava l’umiltà l’atteggiamento essenziale necessario per partecipare pienamente alla liturgia, perché celebrare i sacramenti significa agire non di propria iniziativa, ma partecipare all’azione di un Altro. Tale umiltà permette alle nostre azioni liturgiche di diventare più che espressioni di impulsi religiosi, ma sacramenti, porte di accesso al mistero divino.
*Gesuita
Pontificia Università Gregoriana