Sovranità, stabilità e sicurezza. Con l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, Joseph Aoun, comandante dell’esercito, il Libano prova a riemergere da un periodo di grande difficoltà economica, iniziato almeno dal 2019, e di vuoto istituzionale e di potere che durava da più di due anni. Ovvero dalla fine di ottobre 2022, quando terminava il mandato di Michel Aoun e le forze politiche, in particolare per il veto dei partiti sciiti Amal e Hezbollah, iniziavano un braccio di ferro sull’accordo per il successore destinato ad allargare nel Paese e fra la popolazione una già profonda crisi finanziaria e sociale.
I più recenti sviluppi geopolitici, spiega a «L’Osservatore Romano» Elie Al Hindy, libanese, oggi docente al dipartimento di sicurezza e global studies della American University in the Emirates a Dubai, hanno certamente influito sull’accelerazione del processo. Tra questi, soprattutto «la guerra di Israele contro Hezbollah», dalla quale «l’organizzazione islamista è uscita con molte perdite», e «il ridisegno delle alleanze in tutto il Medio Oriente, a cominciare dalla Siria», verso la quale hanno iniziato a rientrare migliaia di profughi che proprio in Libano avevano trovato rifugio, per sfuggire alle atrocità del potere di Bashar al-Assad e alla guerra civile durata 13 anni. Questi due fattori «hanno indebolito il potere dell’Iran e spinto i partiti e i gruppi sostenuti da Teheran a chiudere adesso, senza aspettare — terzo fattore — l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, massimizzando oggi un accordo che in futuro sarebbe stato probabilmente più svantaggioso per loro». Aoun è risultato eletto, nella seconda seduta parlamentare della giornata, da 99 su 128 membri.
Un ruolo significativo nello sbloccare la situazione viene attribuito poi anche al pressing di Riyad. Secondo quanto riferito dal sito di notizie «Lebanon 24», il presidente del parlamento libanese e leader del partito sciita Amal, Nabih Berri, ha dato il via libera all’elezione dopo i contatti avuti non soltanto con rappresentanti della comunità internazionale e del Libano, ma anche dell’Arabia Saudita. L’8 gennaio il principe saudita, Yazid bin Farhan, si è recato in Libano per la sua seconda visita in cinque giorni, dove ha tenuto colloqui con i leader del Paese dei cedri allo scopo di facilitare il processo di elezione. E il re Salman bin Abdulaziz Al Saud è stato tra i primi a congratularsi con il nuovo presidente. «L’elezione segnala un passo significativo del Libano fuori dall’asse iraniano e verso una normale collocazione nel contesto arabo. Mi sembra che il ridimensionamento di Teheran e dei suoi obiettivi di influenza e controllo politico in Siria, nel territorio palestinese di Gaza e in Libano siano evidenti. Non mi meraviglierei se la prima visita all’estero di Aoun fosse a Riyad», aggiunge Al Hindy.
Adesso si procederà alle consultazioni per la formazione del nuovo governo, la cui responsabilità è stata, dal 2021 ad oggi, in capo a Najib Miqati. Il Paese è chiamato ad avviare riforme strutturali e a trovare la strada della stabilità e della sicurezza, dopo episodi internazionali e interni — non ultima l’esplosione al porto di Beirut il 4 agosto 2020, a causa della quale morirono 218 persone — che hanno contribuito a metterne in ginocchio l’economia, decimando il valore della moneta e azzerando i risparmi. Il primo a rendersene conto è proprio il neo-presidente, che in una prima dichiarazione dopo aver prestato giuramento ha detto: «Ora inizia una nuova era». Nominato capo dell’esercito nel marzo 2017, Aoun era considerato il candidato preferito dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita, della cui assistenza il Libano avrà ora bisogno per la ricostruzione post-conflitto. Sarebbe dovuto andare in pensione a gennaio del 2024, ma il suo mandato è stato prorogato due volte durante il conflitto fra Israele ed Hezbollah. «Il discorso di Aoun è stato molto dettagliato — afferma ancora Al Hindy, che è anche analista dell’emittente saudita «Al Arabiya» —, ma se vogliamo individuare delle assolute priorità, direi: l’implementazione del cessate-il-fuoco e dell’accordo con Israele, che include l’attuazione della risoluzione Onu 1701 e passi significativi verso la completa sovranità statale e la concentrazione di tutte le armi presenti sul territorio nelle mani del governo di Beirut»; quindi, «ed è anche una conseguenza della prima, il pieno controllo di tutti confini del Paese, includendo anche infrastrutture strategiche come porti e aeroporti naturalmente, per garantire non solo sicurezza e stabilità, ma anche reddito e crescita economica»; infine, «il controllo totale del budget governativo, con riforme che taglino le spese per indirizzare gli investimenti verso ciò che è veramente necessario: vuol dire ridefinire il settore pubblico. Rimane però da vedere come su questi punti il presidente riuscirà a confrontarsi con Hezbollah». E rimane la questione della «pace con Israele, alla quale si arriverà in via definitiva — nonostante la situazione sia ora più calma — in una fase successiva», conclude.
L’importanza che con questa elezione «si affrontino i bisogni e le aspirazioni del popolo libanese, rafforzando l’autorità statale e realizzando le riforme tanto necessarie», è stata sottolineata dal segretario generale Onu, António Guterres. Adesso «ci aspettiamo che venga rapidamente formato un governo in grado di portare avanti un programma orientato alle riforme», ha scritto su x l’Alta rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Kaja Kallas. Congratulazioni anche da parte del ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, e dal presidente Usa uscente, Joe Biden, che ha chiamato Aoun per ribadire una partnership di lunga data. Ma l’elezione è stata poi commentata anche da parte dell’Iran, che ha chiesto a Beirut di «cooperare per gli interessi comuni».
di Roberto Paglialonga