Unire la testimonianza
«Ti raccomandiamo di svolgere la tua opera pastorale» unendo, «come un monaco pellegrino, la testimonianza di Cristo con l’opera di evangelizzazione»: è l’invito rivolto dal vescovo di Roma al vicegerente della diocesi, monsignor Renato Tarantelli Baccari nella lettera scrittagli in occasione della sua ordinazione episcopale, svoltasi il 4 gennaio nella basilica papale di San Giovanni in Laterano.
Come annunciato nella missiva Papa Francesco ha voluto essere personalmente presente al rito, presieduto dal cardinale vicario Baldassarre Reina. Co-ordinanti sono stati il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo metropolita di Vienna, e il vescovo Michele Di Tolve, ausiliare di Roma.
Nell’omelia, pronunciata prima dell’imposizione delle mani e della preghiera di ordinazione, il cardinale Reina ha anzitutto ringraziato il Pontefice «per quanto realizza ogni giorno a favore della Chiesa universale a partire» dalla diocesi di Roma «che presiede nella comunione e nella carità» e gli ha assicurato un costante sostegno con la preghiera. Poi si è soffermato sulle tre azioni che delineano «la vocazione dei pastori» e «la missione affidata a don Renato» con la nomina papale del 21 novembre scorso a vescovo titolare di Campli, ausiliare e vicegerente della diocesi di Roma. Una missione articolata in tre azioni: indicare, seguire, rimanere.
La prima, «indicare», riguarda la «testimonianza missionaria», ha spiegato il cardinale vicario, che ha ricordato in proposito la figura di Giovanni Battista, il quale riesce «a vedere quello che altri non vedono, e spostare da sé lo sguardo di chi lo segue» indicando «la presenza di Gesù». Il pastore è riconoscibile «dalla sua capacità di farsi tramite», ha specificato il porporato, «trasformando il proprio io in trasparenza di Cristo, facendo della sua persona un continuo rinvio a Chi veramente salva».
«Abbiamo bisogno di pastori che non si sostituiscano a Cristo — ha aggiunto il celebrante — e che guidino servendo una Chiesa sacramento della relazione con Cristo». Dunque il pastore è chiamato a essere guida «ma anche un custode, capace di discernere e valorizzare i segni della presenza di Dio nel mondo, per condurre ogni uomo e donna a contemplare il volto misericordioso di Cristo». Quanto alla seconda azione, «seguire», riferita a Cristo, essa «implica una continua conversione, un dinamismo spirituale», così il vescovo, che «è chiamato ad essere il primo testimone», a «camminare con il suo popolo, ma sempre con lo sguardo rivolto al Maestro, in costante ascolto della sua voce e dei suoi segni». In tal senso il cardinale Reina ha detto, come ribadito più volte da Papa Francesco, che «la sequela cristiana è intrinsecamente dinamica» e che «la fede non può essere statica», essendo «un cammino che si deve compiere, e non si può pensare di viverla stando fermi», poiché «quando la fede si ferma, si corrompe».
«La Chiesa ha bisogno di pastori che siano pellegrini instancabili — ha affermato il vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma — con l’orecchio teso verso la Parola di Dio e il cuore aperto per comprendere dove il Signore vuole condurli e, con loro, l’intero gregge affidato alla loro cura».
Infine «rimanere» vuol dire «radicarsi nella Parola, assimilare i passi di Gesù e trovare in Lui la dimora del cuore, in cui il credente può sperimentare la pienezza della grazia e la certezza del perdono». E allora il pastore è colui che indica permanentemente «dov’è Dio», «dove trovare la sua pace, la sua grazia, il suo perdono». Perciò, «“rimanere” in Cristo non è un atto passivo», ha precisato Reina, «ma una continua conformazione al Suo amore e alla Sua volontà», e per questo «il pastore è chiamato a rimanere nella comunione con Dio attraverso una vita di preghiera incessante, di ascolto della Parola e di dedizione al ministero».
«In un mondo segnato dalla frammentazione e dall’incertezza, il pastore che rimane in Dio diventa un punto di riferimento stabile, una luce che orienta il cammino dei fedeli verso il Regno di Dio», ha rimarcato il cardinale vicario, puntualizzando che l’episcopato «non è un onore, ma un servizio» e chiedendo, infine di pregare affinché monsignor Tarantelli Baccari «sia capace di indicare il Maestro, di seguirlo con fedeltà e di rimanere in Lui» e di «guidare il popolo di Dio verso le sorgenti della vita eterna, affinché la Chiesa, peregrinante nel tempo, si riveli sempre più come sacramento universale di salvezza e testimonianza viva dell’amore del Padre».
Prima della conclusione della celebrazione, il nuovo vescovo — che ha scelto come motto Semper orare et non deficere — ha salutato e ringraziato il Papa per essere «qui oggi nella sua cattedrale, tra la gente della sua amata diocesi, questa bella Chiesa di Roma». E di Francesco, Tarantelli ha ricordato le raccomandazioni valide per ogni pastore e ogni «pellegrino di speranza: pregare sempre, stancarsi mai, perdonare sempre, andare avanti con coraggio e non perdere il sorriso, e soprattutto non perdere mai l’umorismo».
All’uscita da San Giovanni in Laterano, il Papa si è fermato brevemente con il vaticanista Rai Ignazio Ingrao e ha ribadito i suoi auguri di buon anno a tutti. La pace è, in particolare, l’augurio di Francesco al mondo: «Sempre la pace, la pace nel mondo, la pace nel cuore. Se non c’è pace nel cuore… Preghiamo l’un l’altro per la pace». Dal Pontefice anche gli auguri all’Italia: «Che vada avanti, che vada sempre avanti che si mettano d’accordo i politici, che facciano lavori d’accordo, ma sempre avanti».
di Tiziana Campisi