· Città del Vaticano ·

Aperta dal cardinale arciprete Harvey la Porta Santa della basilica papale di San Paolo fuori le Mura

Anche nel presente ferito
da guerre e tragedie
si sperimenta la speranza

 Anche nel presente ferito  da guerre e tragedie si sperimenta la speranza  QUO-004
07 gennaio 2025

Sono istanti e immagini che si legano a quanto già vissuto, in questo scorcio iniziale del Giubileo della Speranza, nella basilica di San Pietro, nel carcere romano di Rebibbia, a San Giovanni in Laterano e a Santa Maria Maggiore. Nella basilica papale di San Paolo fuori le mura, che sorge sulla via Ostiense nel quartiere omonimo vicino alla riva sinistra del Tevere e a pochi chilometri dal luogo dove l’Apostolo delle Genti subì il martirio, il rito di apertura della quinta e ultima Porta Santa è stato presieduto dal cardinale arciprete James Michael Harvey alla vigilia della solennità dell’Epifania, nella seconda domenica del tempo di Natale.

Lo sguardo dei fedeli, prima di addentrarsi nella basilica che custodisce le spoglie dell’Apostolo delle Genti, si è rivolto verso la croce sulla cima del timpano della facciata mosaicata. Sotto questo simbolo di vita che supera morte e peccato sono riportati due vocaboli in latino: “Spes unica”. Parole che ricordano all’uomo una certezza: Cristo è la speranza, la Porta per entrare nel Regno di Dio.

Il cardinale Harvey, dopo l’orazione con parole ispirate alla vita di san Paolo, si è avvicinato alla Porta, sulla destra della facciata, realizzata in bronzo con bassorilievi raffiguranti episodi significativi della vita dell’apostolo. Il porporato ha aperto la Porta in un susseguirsi di emozioni avvolte da un silenzio orante.

Il suono delle campane della basilica ha poi preceduto i momenti successivi. Il cardinale arciprete ha varcato la soglia mentre è risuonato l’inno del Giubileo. La processione, alla quale hanno partecipato anche i membri della comunità monastica benedettina di San Paolo fuori le Mura, si è avviata verso l’altare della Confessione.

Il cardinale Harvey, insieme tra gli altri all’arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione e organizzatore del Giubileo, ha percorso poi la navata della basilica. Alla celebrazione eucaristica hanno partecipato oltre 2.800 persone.

Fedeli e pellegrini hanno ascoltato il passo del Vangelo di Giovanni sull’incarnazione del Verbo che «venne ad abitare in mezzo a noi». Nell’omelia il celebrante si è soffermato sull’apertura della Porta Santa, «un atto tanto semplice quanto suggestivo. Abbiamo varcato la soglia del tempio sacro con immensa gioia, perché in modo emblematico abbiamo varcato la porta della speranza», ha detto. Il binomio che ha delineato il rito liturgico presieduto nella basilica, distrutta da un incendio nel xix secolo, è stato ritmato da due parole centrali dell’Anno Santo: gioia e speranza.

«La gioia — ha spiegato Harvey — perché è nato il Salvatore, la speranza perché Cristo è la nostra speranza».

La gioia, «il sentimento giusto anche per il dono della Redenzione in Gesù Cristo», unisce i tempi vissuti, in questo frangente attuale, dalla Chiesa e dal Popolo di Dio. La letizia per il periodo natalizio è infatti accompagnata quest’anno dal Giubileo, un cammino che trova nel perdono la stella per tutti i passi di ogni uomo. «L’apertura della Porta Santa — ha affermato il porporato nell’omelia — segna il passaggio salvifico aperto da Cristo, con la sua incarnazione, morte e risurrezione, chiamando tutti i membri della Chiesa a riconciliarsi con Dio e con il prossimo».

Varcare con fede la soglia della Porta Santa significa entrare «nel tempo della misericordia e del perdono», affinché ad ogni persona «sia dischiusa la via della speranza che non delude. Quanto mai abbiamo bisogno adesso della speranza! In questo periodo post pandemia — ha affermato l’arciprete della basilica — purtroppo ferito da tragedie, guerre e crisi di varia natura, la speranza, benché indubbiamente legata al futuro, la si sperimenta anche nel presente».

Del resto la speranza, come ha detto Papa Francesco all’udienza generale dello scorso 11 dicembre, «non è una parola vuota, o un nostro vago desiderio che le cose vadano per il meglio. La speranza — ha commentato Harvey ricordando quanto affermato dal Pontefice — è una certezza, perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse». Non si deve pensare che la speranza sia «una virtù passiva», un tempo in cui ci si «limita ad attendere che le cose succedano». È in realtà, come ha sottolineato Francesco, «una virtù sommamente attiva che aiuta a farle succedere».

Il Giubileo del 2025, come ogni Anno Santo, chiede di diventare pellegrini. Questo, ha osservato il cardinale, comporta «il sentirsi parte di una comunità che da duemila anni percorre le strade di questo mondo, proclamando la risurrezione del Signore Gesù». La Chiesa invita ciascun pellegrino «a intraprendere un viaggio spirituale sulle orme della fede. La speranza cristiana — ha concluso il porporato — davvero ci sostiene nel nostro pellegrinaggio». Il Natale, il Giubileo e il cammino dell’umanità attendono ora i passi dei pellegrini di speranza.

di Amedeo Lomonaco