· Città del Vaticano ·

Il Natale nel progetto umanistico cristiano

Osare la pace

 Osare la pace  QUO-001
02 gennaio 2025

«Noi osiamo sperare», «osiamo rivolgere [...] la nostra voce, umile e forte», «noi osiamo dire», così Paolo vi ribadiva nelle prime Giornate mondiali della pace. Nell’ultimo messaggio di questa serie, rivolto «al mondo, all’Umanità», ripeteva: «noi osiamo» pronunciare una «parola mite e solenne», di cui «avvertiamo la trascendenza profetica».

A sei mesi dalla crisi dei missili a Cuba, venne promulgata l’enciclica Pacem in terris. Nel 1967, se ne riprendevano i fili, che oggi, di nuovo a un passo da una guerra nucleare, il Santo Padre torna a tessere in occasione del Giubileo della speranza. «Oso [...] rilanciare un altro appello» — si legge nel messaggio per il 2025, un’esortazione al «disarmo del cuore», richiamando le parole di Paolo vi che già nel 1975 invitava a «disarmare gli spiriti».

Poiché né la violenza né la disperazione conoscono barriere religiose, si volle interpellare non solo i cristiani, ma ogni persona nella quotidianità. Per questa ragione, la Giornata mondiale della pace non ricorre nel calendario liturgico, ma si celebra a gennaio, ovvero — citando Papa Montini — all’alba dell’anno nascente, al «primo sole» che irradia sull’anno civile (1968-1969).

Nell’arco di quattro pontificati, si sono susseguiti 58 messaggi a difesa del valore della vita e dei diritti umani. Si dichiarano fallite le politiche della pace fondate sull’equilibrio tra forze contrapposte e su un certo «equilibrismo diplomatico» (1973). Si smascherano le contraffazioni che surrogano la pace con semplici tregue, mantenendo un equilibrio del terrore» (1981), descritto come «quanto mai instabile, sospeso sull’orlo del baratro nucleare» (2020). Persino nei bilanci di guerra è ancora consuetudine calcolare le perdite per far quadrare i conti. Meno evidente, ma ancor più antica di queste prassi di bilanciamento, è la scomparsa radicale del «senso dell’uomo» (1969). È la sua svalutazione, il suo autolesionismo; è l’inumanità la questione principale, non i contrappesi che si illudono di riportare l’ago al centro.

In queste giornate di riflessione, la pace è stata definita lo «specchio dell’umanità» (1971): un’immagine che, distorta dai conflitti, si deforma in una «concezione errata dell’uomo», rendendo la sua «vera natura» irriconoscibile. La guerra è la «prima menzogna», la «falsità fondamentale» che va «contro la verità [...] della nostra umanità» (1980); rappresenta il «test della nostra umanità» (1985), una prova che rimane tutta da «dimostrare» (1987). Quando scelta, la violenza si rivela «disumana» (1993), facendo perdere all’uomo le proprie sembianze e trasformandolo in qualcosa di bestiale. Di questa deriva è simbolo l’accezione licantropa dello stato naturale, espressa nell’antropologia del homo homini lupus, da cui la «civiltà deve [...] redimersi» (1973-1974; 1978).

La questione della pace viene affrontata in termini di «sviluppo umano integrale» (2011), un tema già centrale nell’enciclica Populorum progressio di Paolo vi (1967), ripreso successivamente nella Caritas in veritate (2009) e culminato, il 1° gennaio 2017 — mese cattolico dedicato alla pace — con l’istituzione di un Dicastero specifico «per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale».

La pace è il fondamento del «progresso umano» (1970), poiché nasce dall’integrazione della componente «spirituale dell’umanità» (1974). Al contrario l’umanità degenera per il «difetto» del «coefficiente spirituale», al punto che «riconciliazione con Dio e pace nostra coincidono» (1975). Questa formula viene ribadita: «se l’uomo non è in pace con Dio, la terra stessa non è in pace» (1990).

Secondo l’enciclica Caritas in veritate, «l’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano», una citazione ripresa nel 2011 per sottolineare l’importanza dell’integrità. Proprio questa esclusione è la radice dell’«indifferenza verso il prossimo», che Papa Francesco definisce «figlia di quella verso Dio», richiamandosi agli appelli dei suoi predecessori per una «apertura trascendente», un movimento «verso l’Assoluto» (2016).

Riconoscere una trascendenza nella storia, persino nella politica, significa reintegrare il «sacro» nell’Uomo, affinché ogni persona venga riconosciuta per ciò che è: «inviolabile» (1972). Seguendo questa logica della «sacralità della Vita», la guerra sarebbe virtualmente «squalificata» (1977). La pace, dunque, deve essere difesa «sotto il suo aspetto [...] metafisico, anteriore e superiore» rispetto a quello «contingente» della «pausa militare» o dei trattati ridotti a meri armistizi (1978).

La vera pace presuppone una «Paternità trascendente», traboccante di amore «metafisico» (1971), ma al tempo stesso «personale» di Dio per ciascun uomo (2014). A rivendicare questa paternità celeste sono i «figli di Dio», definiti «operatori di pace» e dunque dichiarati «beati» in Mt 5, 9, nel versetto più evocato alle Giornate mondiali (1969, 1971, 1973, 1974, 1978, 1979, 1982, 1984, 1988, 1992, 2004, 2012, 2013, 2016 e 2017). Il «Figlio di Dio» per eccellenza non cerca manifestazioni di «potenza», ma si presenta a noi con dolcezza, «come bambino» (1996); egli nasce come «primogenito tra molti fratelli» (secondo Rm 8, 29, citato nel 2015 e 2016) ed è il maggiore nella fratellanza trascendente.

«Fin dalla nascita» Gesù porta «la pace sulla terra agli uomini che Dio ama», come indicato in Lc 2, 14 (1982), tema centrale dell’anno 2000. A Betlemme, gli angeli annunciarono questa pace «alla nascita» del Figlio di Dio (2017). È dunque nella «notte di Natale» che il Signore ci ha resi «custodi» di una pace proclamata ai «pastori» (1983 e 2018). A questi temi si intrecciano quelli legati alla «divina maternità» (1968) e alle invocazioni a Maria, Regina e Madre del Principe della Pace (1979, 1995, 2000, 2006, 2017, 2019, 2020, 2023), affinché ci mostri nel volto del Figlio il «volto di ogni persona umana» (2007).

Questo peculiare «lessico familiare», che per i cristiani culmina nel racconto del Natale e nella tenera adorazione di una Sacra Famiglia, è per sua stessa natura un «lessico di pace». Si esprime attraverso una «grammatica» prelinguistica — e perciò universale — fatta di «gesti e sguardi» affettuosi tipici della vita familiare (2008). A Natale, questo linguaggio rivela una vera e propria pedagogia della pace, portando alla luce la sintassi trascendente della famiglia umana.

di Pino Esposito