A colloquio con il cardinale vicario Baldassare Reina alla vigilia dell’apertura
Roma soffre di disagi sociali il Giubileo
Roma, città con criticità più o meno macroscopiche ma con una comunità ecclesiale aperta alla collaborazione con gli organismi territoriali per mettere a fattor comune le proprie energie propositive anche per rivitalizzare la pratica religiosa. Sono alcuni accenti dell’intervista ai media vaticani del cardinale Baldassare Reina, vicario generale di Papa Francesco per la diocesi di Roma, alla vigilia dell’apertura della Porta Santa della basilica papale di San Giovanni in Laterano, in programma domani, domenica 29 dicembre, alle ore 10.
Varcare la Porta Santa per essere uomini e donne rinnovati dalla misericordia. Dinanzi a conflitti sempre più esacerbati nel mondo, e a varie forme di conflittualità sempre più marcate nelle città, e in particolare a Roma, questa occasione di vivere il perdono che valore assume?
Mi sembra una vera e propria profezia, quella del perdono, in un tempo in cui il vocabolario del perdono e del perdonarsi è uscito fuori di scena. Papa Francesco non perde occasione per invitarci a pregare per la pace chiedendo che i popoli sappiano tendersi la mano. Credo quindi che sia un messaggio estremamente attuale.
La Basilica lateranense è madre di tutte le chiese. Il rito dell’apertura della Porta Santa evoca anche la questione della crisi delle “chiese vuote”. Lei che percezione ha di questo fenomeno? È un tempo opportuno anche per riflettere eventualmente su nuovi stili pastorali?
Sì, la Chiesa italiana ormai da almeno quindici anni si pone il problema di evangelizzare in un mondo che cambia. Il tempo del Giubileo ci aiuta ancora meglio ad aprire gli occhi su questo tempo di crisi, di indifferenza, ancora meglio, perché i dati dicono un allontanamento dalla pratica ecclesiale ma anche il bisogno di infinito, di assoluto, che è presente nel cuore dell’uomo e non potrebbe che essere così, vista la sua natura. C’è e c’è stato un allontanamento dalla pratica ecclesiale che è uno stimolo a riflettere. Lo stiamo facendo con gli organismi di partecipazione, con tanti laici che avvertono il problema per il tema della trasmissione della fede, che adesso procura molta fatica. È una difficoltà che ci sta tutta, però la stiamo accogliendo come una grande sfida e una occasione di crescita per tutta la comunità ecclesiale.
C’è un elemento che ritiene più di altri generi questa indifferenza?
È un fenomeno che interessa tutte le religioni, è trasversale. Io credo che sia una questione culturale. Certamente il tempo del Covid ha allentato molte cose però c’è da considerare tutte le difficoltà che hanno le famiglie, il mondo giovanile con un linguaggio che è molto diverso, con dei disagi non sempre facili da intercettare. Dall’epoca del razionalismo, l’aver puntato di più sulla spinta della ragione umana allontanandosi o prendendo le distanze dal fenomeno spirituale ci ha portato a quello che oggi constatiamo. Ma leggo questo fenomeno anche in una chiave biblica: il Signore non ci chiama a fare grandi numeri. È un problema di sostanza, di comunità che credono in quello che hanno abbracciato nella fede. Sarei preoccupato se vedessi che non si riesce a portare avanti una prova testimoniale, quella invece la vedo in tante persone. Visitando le parrocchie della nostra diocesi vedo veramente un fermento di bene straordinario, che magari non è subito evidente agli occhi. Non dobbiamo dimenticare che c’è un lavoro nel silenzio fatto molto bene.
Lei ha avuto modo di mettere in luce di recente la forte crisi abitativa che c’è a Roma; peraltro il Papa, proprio su questo aspetto, ha chiesto alla sua diocesi di mettere a disposizione alloggi per i senzatetto, come segno concreto da praticare per il Giubileo. Come state rispondendo a questo appello?
Da oltre un anno stiamo riflettendo sulla povertà abitativa insieme ad altre forme di povertà che creano disuguaglianze. Stiamo ascoltando il grido di dolore di tante persone che purtroppo la casa la perdono per un mercato sempre più spinto sul tema del profitto, persone giovani che una casa non riescono a trovarla — l’anno scorso abbiamo avuto oltre cinquemila studenti universitari che dopo diversi tentativi sono stati costretti a tornare nelle Regioni di origine, per lo più in Sud Italia, perché non riuscivano a trovare un posto letto o i prezzi erano proibitivi — oppure quelli che una casa non ce l’hanno. Ne stiamo dialogando con l’amministrazione capitolina: ci sono scelte, in merito all’edilizia popolare, che non sono state fatte negli anni. L’appello del Santo Padre è stato accolto dagli istituti religiosi, dalle parrocchie che già per la crisi in Ucraina avevano aperto le porte, sempre su indicazione del nostro Pastore, ai tanti che arrivavano nel nostro Paese. Stiamo censendo gli immobili che si possono valorizzare per questa finalità e stiamo lavorando con le associazioni di volontariato perché non è un problema che si risolve aprendo una stanza. Bisogna accompagnare persone che spesso sono fragili, vulnerabili, che hanno bisogno di assistenza. Serve un supporto che stiamo chiedendo e ricevendo anche da loro. C’è un interesse comune e lo stiamo affrontando nella speranza di riuscire a dare qualche risposta.
Nella Lettera che lei ha inviato alla diocesi in vista del Giubileo ha rimarcato che la terra è di Dio e l’uomo è chiamato solo ad amministrarla. Il patto con l’amministrazione di Roma Capitale in che termini può trovare un rilancio in questo tempo?
Io sono abituato da sempre ad avere un dialogo con le istituzioni al di là del colore politico, perché credo che compito della Chiesa sia dialogare con tutti. Io non sono interessato alle questioni di partito, sono interessato alle persone, alle persone che vivono in questa città. Questa è stata la premessa che ho fatto all’attuale amministrazione ed è ciò che dico alle istituzioni che sto incontrando, e sto trovando delle risposte, certo nel rispetto delle competenze di ognuno. Pur nel distinguo delle reciproche responsabilità, finora il dialogo è buono. È vero che c’è il Giubileo che per ora interessa tutti ma poi c’è un tempo ordinario che ci interessa tanto o forse più del Giubileo. Chi vive in questa città ha il diritto di avere i servizi, le scuole, le strade, gli asili nido. Stiamo immaginando dunque anche il dopo, perché durante il Giubileo siamo chiamati anche a ricostruire questa città, la stiamo ripensando insieme a tanti sacerdoti che vivono nelle prefetture per delle risposte puntuali che la Chiesa può dare e nel dialogo con le istituzioni territoriali, soprattutto i municipi, più esposti ai bisogni dei cittadini.
A questo proposito, Francesco nel Motu Pproprio “La vera bellezza” ha ripensato il rapporto centro-periferia a Roma. Come sta andando questa riconfigurazione?
La vediamo molto bene. Negli ultimi anni molti cittadini dal centro si sono spostati nelle periferie, dove è più facile trovare una casa, il verde, i servizi. Nel centro abbiamo solo centomila abitanti, a fronte di due milioni e ottocento complessivi. Stiamo cercando di mettere in contatto le chiese del centro con quelle delle periferie perché ci si senta tutti di un’unica città. Perché la città non è quella che c’è dentro le mura aureliane ma tutta. Come famiglia di Dio dobbiamo camminare insieme. Se dovessimo alimentare le distanze tra chi vive particolari privilegi e chi vive ai margini verrebbe meno la nostra missione.
Come sta vivendo queste prime settimane di cardinalato?
Mi piace raccontare il desiderio di visitare tutte quelle realtà che ancora non conosco. Rimango molto colpito dalle periferie. Mi piacerebbe raccontare il disagio di alcune di esse, l’ho toccato con mano, l’ho visto ed è una cosa che mi preoccupa molto. Ho l’impressione che lì ci sia un disagio sociale molto forte che va ascoltato, dopo di che bisogna prendere delle misure per cercare di allentare le possibili tensioni che può creare. In particolare, ciò che mi colpisce di più è la realtà delle dipendenze che coinvolge i nostri giovani. Faccio appello affinché si cerchi di arginare la diffusione delle droghe, di quelle nuove soprattutto.
di Antonella Palermo