· Città del Vaticano ·

Dopo il Sinodo sulla sinodalità

Per una lettura ecclesiologica
del “Documento finale”

 Per una lettura  ecclesiologica  del “Documento finale”  QUO-293
28 dicembre 2024

Quale visione ecclesiologica ispira il Documento finale (DF) della xvi Assemblea del Sinodo dei Vescovi? e quali le prospettive che essa lascia immaginare per la missione della Chiesa? Mi limito a offrire in merito una semplice considerazione di ordine generale e alcuni spunti utili per un approfondimento.

1. Il significato ecclesiologico alla luce della «Nota di accompagnamento»


2021-2024: tre gli anni di cammino nel processo sinodale i cui frutti sono stati raccolti nel DF, come tre sono stati gli anni del Vaticano ii . Il parallelo può sembrare azzardato, ma forse non lo è. Non solo perché il Sinodo dei Vescovi è frutto tra i più importanti dell’ultimo Concilio, come attesta la sua lungimirante istituzione da parte di Paolo vi per continuarne e promuoverne la spinta di rinnovamento. Ma anche perché questo Sinodo costituisce senz’altro una tappa specifica e di rilievo nel cammino della Chiesa messo in moto dal Vaticano ii : per la prima volta, l’Assemblea ha visto la convocazione non solo del Collegio episcopale ma — nella fase di consultazione e, in modo appropriato, anche in quella celebrativa — di tutto il Popolo di Dio. Oltre a ciò il DF che ha prodotto, approvato da Francesco, è restituito a tutto il Popolo di Dio.

Importante la formula usata dal Papa nella «Nota di accompagnamento»: «Ora il cammino prosegue nelle Chiese locali e nei loro raggruppamenti, facendo tesoro del DF che il 26 ottobre è stato votato e approvato dall’Assemblea in tutte le sue parti. Anch’io l’ho approvato e, firmandolo, ne ho disposto la pubblicazione, unendomi al “noi” dell’Assemblea che, attraverso di esso, si rivolge al santo Popolo fedele di Dio». Si tratta di formula pregnante e di efficace valore orientativo nel mettere in atto e nel dare impulso, con l’autorità specifica del Vescovo di Roma, alla sinodalità quale dimensione costitutiva e qualificante della missione della Chiesa. Con essa infatti, richiamandosi ad At 15, 28 («è parso bene allo Spirito Santo e noi»), Francesco riconosce e promuove il Sinodo dei Vescovi, «nella forma di un processo per fasi», come «espressione e strumento della relazione costitutiva tra l’intero Popolo di Dio, il Collegio dei Vescovi e il Papa… (essi infatti) partecipano a pieno titolo al processo sinodale, ciascuno secondo la propria funzione. Questa partecipazione è resa manifesta dall’Assemblea sinodale riunita intorno al Papa» (n. 136).

Ne deriva che la composizione della xvi Assemblea è «più che un fatto contingente. Essa esprime una modalità di esercizio del ministero episcopale coerente con la Tradizione viva delle Chiese e con l’insegnamento del Concilio Vaticano ii » (Intervento di Papa Francesco alla Prima Congregazione Generale della Seconda Sessione, 2 ottobre 2024, cfr. DF, n. 136). Tale composizione sottolinea che «è essenziale che nel processo sinodale e nelle Assemblee appaia e si realizzi concretamente l’articolazione tra il coinvolgimento di tutti (il santo Popolo di Dio), il ministero di alcuni (il Collegio dei Vescovi) e la presidenza di uno (il successore di Pietro)» (n. 136), e pertanto che la conclusione dell’Assemblea «non pone fine al processo sinodale», ma impegna «le Chiese locali e i raggruppamenti di Chiese…a dare attuazione, nei diversi contesti, alle autorevoli indicazioni contenute nel DF, attraverso i processi di discernimento e di decisione previsti dal diritto e dal DF stesso» (Nota di accompagnamento).

A dispetto, dunque, del numero tutto sommato esiguo delle persone sinora coinvolte e dello scarso impatto mediatico, il processo sinodale costituisce un segno chiaro e di rilevante portata se vediamo le cose nella prospettiva del Vaticano ii: un segno non solo della perenne generatività del Vangelo, ma anche di quella cultura della pace e della fraternità che, nonostante tutto e contro tutto, come un seme che germoglia bucando la crosta del terreno — anche se arido, contrastante e inospitale — oggi fa capolino in superficie vigoroso, promettendo sostanziosi frutti. Al di là dei limiti che il DF — come tutti i documenti — senz’altro ha, esso risulta dunque prezioso e si propone come un autorevole punto di riferimento per il prosieguo del cammino: in quanto offre una sorta di road map in cui tutti, senza rigidità e uniformità, ci si possono ritrovare. Sotto almeno due profili.

2. Al cuore della sinodalità: la «coscienza» della Chiesa tra conversione e riforma


Il primo profilo tocca la coscienza della Chiesa, sul cui significato cruciale richiamava l’attenzione Paolo vi nell’Ecclesiam suam, in qualche modo riassumendo il grande messaggio del Vaticano ii . «Noi pensiamo — scriveva — che sia doveroso oggi per la Chiesa approfondire la coscienza ch’ella deve avere di sé, del tesoro di verità di cui è erede e custode e della missione ch’essa deve esercitare nel mondo» (n. 19); «La Chiesa ha bisogno di sentirsi vivere [...] ha bisogno di sperimentare Cristo in se stessa» (n. 27), per ritrovare la sua forma e il suo stile di vita in Cristo e farsi, in Lui, parola, messaggio, dialogo di salvezza per e con tutti.

A ben vedere è proprio questo il guadagno che il DF registra con chiarezza, nella prima parte, come convergenza corale del Popolo di Dio sul «cuore della sinodalità». Leggiamo al n. 28: «La sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, per renderla cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna irradiando la luce di Cristo».

Il secondo profilo articola, in questa luce, la configurazione pratica di questa coscienza: come oggi, in modo non teorico e uniforme, ma concreto e calato nei diversi contesti, la Chiesa è chiamata a incarnare creativamente questa realtà? Il DF propone alcuni orientamenti di fondo per coniugare in concreto questo «come?», invitando a puntare lo sguardo su due obiettivi: conversione e riforma.

3. Una conversione spirituale e culturale come «conversione relazionale»


La conversione
tocca innanzi tutto il cuore. Provvidenziale la coincidenza con l’enciclica Dilexit nos. Chiesa sinodale non c’è senza conversione spirituale.

La spiritualità sinodale, partendo dal cuore, dal rapporto con Dio, che è Padre, vissuto in Cristo nel soffio dello Spirito Santo grazie alla mistagogia sacramentale, «culmine a cui tende l’azione della Chiesa e al tempo stesso fonte da cui promana tutta la sua energia» (SC 10, cfr. DF, nn. 21-27), è segnata dalla fraternità, dalla comunione, dal servizio reciproco e verso tutti. Per questo — puntualizza il DF — siamo tutti chiamati a una conversione relazionale, a cominciare dal rapporto tra donne e uomini (cfr. nn. 52, 60), nel nostro modo di vivere ed esercitare i diversi carismi e ministeri nella vita e nella missione della Chiesa (cfr. parte 2). Si tratta di «sperimentare come praticare il comandamento dell’amore reciproco sia luogo e forma di un autentico incontro con Dio. In questo senso la prospettiva sinodale, mentre attinge al ricco patrimonio spirituale della Tradizione, contribuisce a rinnovarne le forme: una preghiera aperta alla partecipazione, un discernimento vissuto insieme, un’energia missionaria che nasce dalla condivisione e si irradia come servizio» (n. 44).

La sorgente e la forma della spiritualità sinodale infatti (e come potrebbe essere altrimenti?) è la SS.ma Trinità: da cui prende origine e forma la Chiesa, attingendo la sua vita di Popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (cfr. LG 4) dalla celebrazione della sinassi eucaristica (cfr. DF, n. 27). «Il significato ultimo della sinodalità — leggiamo al n. 154 — è la testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Armonia di amore che si effonde fuori di sé per donarsi al mondo»; infatti — si sottolinea al n. 50 — «quando le (nostre) relazioni, pur nella loro fragilità, fanno trasparire la grazia di Cristo, l’amore del Padre, la comunione dello Spirito Santo, confessiamo con la vita che Dio è Trinità». Con queste affermazioni, maturate dall’esperienza del Popolo di Dio raccolta lungo il processo sinodale, il magistero del Vaticano ii che descrive la Chiesa «in Cristo come il sacramento e cioè il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1), viene declinato dal DF nel concreto dei rapporti e delle pratiche di vita. Si tratta di un’ acquisizione che, se ben compresa e assunta in tutte le sue implicazioni esistenziali e comunitarie, può e deve avere un formidabile impatto pastorale e missionario nella nuova tappa dell’evangelizzazione cui oggi la Chiesa è chiamata.

La conversione relazionale investe infatti il modo di vedere, di pensare, di agire: si fa conversione culturale. Il modo di concepire la sequela, di edificare la comunità, di annunciare il kerigma e testimoniarlo non può restare imprigionato in pratiche che, se erano adatte ieri, oggi non sono più attuali rispetto a «ciò che lo Spirito dice alla Chiesa» e le persone e la società attendono.

Conversione spirituale e conversione culturale non avvengono però dall’oggi al domani. Chiedono apertura e impegno, allenamento e immaginazione: chiedono l’accompagnamento di una formazione che si esprima in un processo di apprendimento perseverante e condiviso delle pratiche proposte dal DF per sperimentare e mettere in atto concretamente questa conversione (Parte terza, cfr. nn. 79-80): il discernimento ecclesiale, la cura dei processi decisionali, la trasparenza nei programmi e nelle opere, col rendiconto del proprio operato e la valutazione delle iniziative. Il livello delle pratiche è quello decisivo nell’esercizio di apprendimento in cui deve proseguire con slancio ed efficacia — pena la sua irrilevanza — il cammino sinodale.

La «conversazione nello Spirito» — con le messe a punto, le declinazioni, gli adattamenti necessari — segna un punto di non ritorno. Attraverso di essa il Popolo di Dio «pratica» l’esperienza della presenza di Gesù tra i suoi (cfr. Mt 18, 20), e alla luce di questa presenza si mette in grado di ascoltare «ciò che lo Spirito dice alle Chiese». Le pratiche che esprimono e promuovono la vita sinodale della Chiesa sono indirizzate infatti, nello Spirito, a far sì che coloro che vi prendono parte possano rivivere l’esperienza dell’incontro originario e trasformante con il Signore risorto che ha assicurato di essere con i suoi tutti i giorni, fino alla fine del mondo, inviandoli a continuare la sua missione (cfr. Mt 28, 18-20).

4. Indicazioni per una riforma anche strutturale: «luoghi» e «rete di relazioni»


Ma non basta la conversione spirituale e culturale delle pratiche, occorre una riforma anche strutturale: il «vino nuovo» chiede «otri nuovi». Il Sinodo illustra due indicazioni di fondo: che bisogna partire dai «luoghi», non solo in senso geografico, ma esistenziale; e che la Chiesa, nella sua costitutiva cattolicità, va vista e realizzata per ciò che è: una straordinaria rete di relazioni, un network, in cui le esperienze vissute alla luce del Vangelo nei diversi luoghi s’incontrano e arricchiscono, nel reciproco scambio dei doni, per ridondare a beneficio di tutti (Parte 4).

Ciò implica un rilancio con spirito e stile nuovi degli organismi in cui, a livello locale (diocesi, parrocchie, comunità di vita consacrata, movimenti ecclesiali e nuove comunità), di Assemblee ecclesiali e Conferenze Episcopali sul livello nazionale e continentale, e anche di grandi ambiti geografici sovranazionali e interculturali (l’Amazzonia, il bacino del fiume Congo, il Mar Mediterraneo), nonché sul livello della Chiesa intera, già si esercita — e ancor più si deve implementare — la partecipazione e la corresponsabilità di tutti.

In questo contesto, prende rilievo e si profila realisticamente una forma di esercizio del ministero di unità del Vescovo di Roma fedele alla sua sostanza evangelica, ma rinnovato nella sua pratica e assai promettente in prospettiva ecumenica, proprio come auspicato da Giovanni Paolo ii, sulla scia del Vaticano ii , nella Ut unum sint (cfr. n. 95). Anche questo è un discriminante profilo ecclesiologico del DF (cfr. nn. 122, 137-138), come testimoniato in modo bello e costruttivo dalla attiva e convinta partecipazione dei Delegati fraterni delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali all’Assemblea sinodale.

5. Una prospettiva essenzialmente missionaria a servizio della cultura dell’incontro


Un’ultima riflessione su una dimensione che qualifica e dinamizza da cima a fondo il profilo ecclesiologico del DF in prospettiva essenzialmente missionaria. Si legge al n. 14: «La Chiesa esiste per testimoniare al mondo l’evento decisivo della storia: la risurrezione di Gesù. Il Risorto porta al mondo la pace e ci fa dono del Suo Spirito. Il Cristo vivente è la sorgente della vera libertà, il fondamento della speranza che non delude, la rivelazione del vero volto di Dio e del destino ultimo dell’uomo».

In questa prospettiva la Chiesa sinodale rilancia il messaggio conciliare della Gaudium et spes proponendosi come luogo e metodo in grado di generare «una cultura capace di profezia critica nei confronti del pensiero dominante e offrire un contributo peculiare alla ricerca di risposta a molte delle sfide che le società contemporanee devono affrontare e alla costruzione del bene comune» (n. 47). Col processo sinodale il Popolo di Dio s’impegna infatti ad «adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio» (n. 123).

Le frontiere, che sono state lungo i secoli le cerniere d’incontro e scambio tra le identità culturali come luoghi simbolici di definizione dell’identità e insieme del suo attraversamento in relazione all’altro, si trasformano troppo spesso, oggi, in teatro di inaudita disumanità ed efferata violenza. L’umanità ha bisogno urgente di riscoprire e praticare le frontiere come luoghi di relazione e d’incontro, di riconoscimento dell’identità e di ospitalità dell’altro.

Occorre con determinazione promuovere — come auspica Francesco — «un’autentica cultura dell’incontro, una cultura, anzi, dell’incontro tra tutte le autentiche e vitali culture... nello spazio di luce dischiuso dall’amore di Dio per tutte le sue creature» (VG 4b). La Chiesa sinodale missionaria è chiamata dal suo Signore a far tesoro con nuovo slancio e con ispirata immaginazione della sapienza evangelica che le viene dal dono di relazione, di reciprocità e di inclusione di cui vive e in cui è cresciuta lungo i secoli nella luce della SS.ma Trinità. Solo così potrà offrire, facendosi interprete del dono di Dio sempre più grande dei nostri cuori (cfr. 1 Gv 3, 20), un contributo controcorrente, creativo e decidente a quella cultura dell’incontro tra le persone e le culture in cui si annuncia — nel tragico travaglio del parto di una nuova umanità, custode in solido della casa comune, che oggi viviamo e soffriamo nella speranza — l’avvento del Regno di Dio nel «già» e «non ancora» del nostro pellegrinaggio terreno. Mano nella mano con tutti, tutti, tutti. Perché la Chiesa sinodale, come insegnano i Padri, è una Chiesa Madre: una Chiesa-Maria.

di Piero Coda