«La fede
Il «concentrato di umanità» vissuto nelle villas miserias di Buenos Aires e la «ferita al cuore» rappresentata dall’Iraq, visitato nel 2021: c’è questo e altro nelle due anticipazioni della autobiografia di Papa Francesco intitolata Spera, scritta con Carlo Musso. Il volume, edito da Mondadori, verrà pubblicato il 14 gennaio in oltre cento Paesi del mondo. Oggi, 17 dicembre — nel giorno in cui il Pontefice compie 88 anni — i quotidiani italiani «La Repubblica» e «Il Corriere della Sera» ne anticipano alcuni estratti.
«Quando qualcuno mi dice che sono un Papa villero, prego solo di esserne degno», afferma Francesco, ripercorrendo con la memoria quel «microcosmo complesso, multietnico, multireligioso e multiculturale» rappresentato dal barrio Flores, il quartiere di Buenos Aires dove ha vissuto la sua infanzia. Qui «le differenze erano normalità e ci si rispettava», ricorda Bergoglio, rammentando gruppi di amici cattolici, ebrei e musulmani, senza distinzioni.
Il Papa ricorda l’incontro con delle prostitute, immagine di quel «lato più oscuro e faticoso dell’esistenza» che ha conosciuto fin da bambino nelle periferie argentine. «Maddalene contemporanee», le definisce Francesco. Divenuto vescovo, Bergoglio celebrerà la messa per alcune di queste donne che avevano nel frattempo cambiato vita. Una di loro, Porota, lo chiamerà un’ultima volta, dall’ospedale, poco prima di morire, per avere l’Unzione degli infermi e la Comunione. «Se ne è andata bene — scrive il Papa — come “i pubblicani e le prostitute” che ci “passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21, 31). E molto bene io le ho voluto. Anche adesso, il giorno della sua morte non dimentico di pregare per lei».
Non manca il ricordo dei detenuti, che fabbricavano spazzole per i vestiti, così come il racconto della nascita dell’amicizia con don José de Paola, noto come “padre Pepe”, parroco alla Virgen de Caacupé, nella Villa 21, e sorretto con ascolto e vicinanza dal futuro Pontefice in un momento di crisi vocazionale. In quei territori posti ai margini della città, là dove «lo Stato per quarant’anni è stato assente» e dove la tossicodipendenza è «un flagello che moltiplica la disperazione», proprio lì — ribadisce il Pontefice — «in quelle periferie che per la Chiesa devono essere sempre più nuovo centro, un gruppo di laici e di sacerdoti come padre Pepe vivono e testimoniano il Vangelo ogni giorno, tra gli scartati di un’economia che uccide».
Una realtà difficile dalla quale emerge nitidamente che la religione non è affatto, come dicono alcuni, «l’oppio dei popoli, un rassicurante racconto per alienare le persone», ribadisce ancora il Papa. Anzi: è proprio «grazie alla fede e a quell’impegno pastorale e civile» che le villas «sono progredite in modo impensabile, pur tra enormi difficoltà». E «proprio come la fede, ogni servizio è sempre un incontro, e siamo noi soprattutto che dai poveri possiamo molto imparare».
Dal dramma delle periferie urbane al dramma dell’Iraq devastato dai confitti lo sguardo di Francesco non cambia, ma resta sempre quello colmo di attenzione e cura per un’umanità ferita. Di quella storica visita compiuta dal 5 all’8 marzo 2021 — la prima di un Pontefice nel Paese — Francesco ricorda «la ferita al cuore» rappresentata da Mosul: «Una delle città più antiche del mondo — afferma —, traboccante di storia e tradizioni, che aveva visto nel tempo l’avvicendarsi di civiltà diverse ed era stata emblema della convivenza pacifica di differenti culture in uno stesso Paese — arabi, curdi, armeni, turcomanni, cristiani, siriaci —, si presentava ai miei occhi come una distesa di macerie, dopo i tre anni di occupazione da parte dello Stato Islamico, che l’aveva scelta come propria roccaforte». E sorvolato dall’alto di un elicottero, il territorio appariva come «la radiografia dell’odio, uno dei sentimenti più efficienti del nostro tempo».
Di quel viaggio, Francesco ricorda il difficile contesto organizzativo, dovuto sia alla persistenza della pandemia di covid-19, sia alla questione della sicurezza. «Mi era stato sconsigliato quasi da tutti … ma — scrive — sentivo che dovevo» andare nella terra di Abramo, «l’ascendente comune di ebrei, cristiani e musulmani». Non nasconde, Bergoglio, l’informativa giunta dai servizi segreti inglesi riguardante due attentati in preparazione durante la sua visita a Mosul. Uno degli attentatori era una donna, imbottita di esplosivo, un altro era a bordo di un furgone. Entrambi erano stati intercettati e uccisi dalla polizia irachena, prima di riuscire nel loro intento. «Anche questo mi ha colpito molto — sottolinea Francesco —. Anche questo era il frutto avvelenato della guerra».
In tutto quell’odio, tuttavia, una luce di speranza il Papa l’ha intravista nell’incontro con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, il 6 marzo di tre anni fa, a Najaf: un incontro che «la Santa Sede preparava da decenni», svoltosi in un clima fraterno proprio nell’abitazione di al-Sistani: «Un gesto che in Oriente è eloquente perfino più delle dichiarazioni, dei documenti, poiché significa amicizia, appartenenza alla stessa famiglia — spiega —. Mi ha fatto bene all’anima e mi ha fatto sentire onorato». Dell’Ayatollah il Pontefice ricorda in particolare «la comune esortazione alle grandi potenze a rinunciare al linguaggio delle guerre, dando priorità alla ragione e alla saggezza». E poi una frase, portata con sé «come un dono prezioso: “Gli esseri umani sono o fratelli per religione o uguali per creazione”».
Oltre al libro Spera, la vita di Papa Francesco sarà raccontata anche in un film tratto da Life. La mia storia nella Storia , autobiografia scritta con Fabio Marchese Ragona e pubblicato lo scorso marzo dalla casa editrice HarperCollins.
di Isabella Piro