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Nell’isola della bellezza

 Nell’isola della bellezza  QUO-285
16 dicembre 2024

Rue e Boulevard, boulangerie e brasserie dai nomi caratteristici come “A calata” o “A marinata”, navi da carico e barche a vela, mare cristallino e montagne con la vetta innevata, alberi secolari e giardinetti con ciclamini e caprifogli. Poi villette e condomini dai movimenti curvilinei, parchi e musei, nicchie con la Madonna e statue di Napoleone. E ancora stendardi con san Giuseppe e san Giovanni, icone, ghirlande, ceri, bandiere con la testa di moro e striscioni di «Vivu Papa» o «Papa Francescu», con la u finale come vuole la lingua corsa. Infine il rumore della risacca, il suono della pivana, l’odore della salsedine e dell’erba umida.

L’arte, la storia, le bellezze naturali e le tradizioni popolari hanno fatto da cornice ieri alla visita di Papa Francesco ad Ajaccio, risparmiata per tutta la giornata dal vento impetuoso delle Bocche di Bonifacio che, come dicono gli abitanti, fa volare anche i muri. Un sole caldo riflesso sul Mediterraneo ha accompagnato le circa dieci ore del Pontefice nell’Île de beauté, isola della bellezza, sin dal suo atterraggio con un AirBus A320 Neo di Ita Airways che da Roma-Fiumicino lo ha portato nel capoluogo corso insieme a 67 giornalisti di tutto il mondo. Quelli che, nonostante i tempi stretti del volo (circa 55 minuti), ha voluto salutare e ringraziare per «il servizio» e che gli hanno fatto recapitare libri, lettere e doni.

Tra questi, il più simbolico, la statua distrutta e sporca di fango di un angelo, senza testa e senza ali, ma con le braccia intatte in gesto di adorazione, proveniente dal tabernacolo della parrocchia di Picanya, a Valencia, devastata dalla tempesta Dana. Lo ha consegnato al Papa la corrispondente dell’emittente spagnola Radio Cope, Eva Fernández, insieme a una lettera del vicario episcopale di Valencia, Jesús Corbí, che indica la scultura come «memoria» di quanti sono morti nell’alluvione, delle famiglie che hanno perso tutto, dei volontari e sacerdoti che non hanno esitato a buttarsi nel fango per aiutare.

L’arrivo del Pontefice all’aeroporto di Ajaccio è stato salutato da bambini con in mano mazzi di fiori e da una «nana», una nenia intonata da tre giovani con flauti e archi, che ha lasciato il posto agli inni e agli onori militari. Ad accogliere il Papa, oltre al cardinale François-Xavier Bustillo, due ministri francesi del Governo dimissionario di Michel Barnier, il ministro dell’Interno Bruneau Retailleau e quello degli Affari esteri Jean-Noel Barrot. Con loro alcuni minuti di colloquio privato in una sala dell’aeroporto.

Nessuno spazio per lo scenario circostante, né per i saluti istituzionali: dopo un breve tratto in autovettura chiusa, una volta che il Pontefice è salito sulla papamobile (la nuova, donatagli di recente dalla Mercedes) lo sguardo è stato tutto il tempo rivolto alla gente. Tanta, tantissima gente, affacciata dai balconi o sistemata dietro le transenne, sopra i tetti dei bar o stretta nei dedali di viuzze e traverse del centro città. Tanti i bambini, tanti i membri delle varie Confraternite coi loro abiti rossi, viola, bianchi, neri, che tenevano sulle spalle le portantine con la statua della Madonna o di Gesù bambino. Tanti anche gli anziani, tra cui «la più anziana di Ajaccio», Jean-Marie, 108 anni, come lei stessa dichiarava fieramente in un cartello esibito al passaggio del Papa. «Bonavinuta! Salut, salut!» ha gridato a Francesco che è sceso dalla papamobile per stringerle la mano. L’incontro è avvenuto dinanzi al Battistero di Saint-Jean, struttura risalente al vi secolo ma riemersa solo nel 2005 durante gli scavi per un parcheggio pubblico. Piazzato in mezzo a due palazzi, custodito dietro una teca di vetro, il Pontefice ha voluto farvi sosta per benedirlo, mentre un giovane recitava il Credo in francese e un gruppo di bambini coi maglioncini bianchi cantava in coro.

Quello al Battistero è stato il primo dei due “fuori programma” del Papa durante la mattinata di Ajaccio, caratterizzata dalla partecipazione alla sessione conclusiva del congresso sulla Religiosità Popolare del Mediterraneo nell’ultramoderno Palais de Congrès. Il secondo è stato la preghiera davanti alla statua della Vergine della Misericordia, o meglio, la “Madunnuccia”, come i cattolici dell’isola venerano la loro patrona che nel 1656, quando un’epidemia di peste colpì gravemente l’Italia, compresa la città di Genova sotto il cui possesso si trovava la Corsica, cambiò il corso del vento impedendo alle navi cariche di malati di attraccare ai porti ajaccini. E quindi il diffondersi dell’epidemia.

Collocata nella nicchia di una casa — ieri adornata di ghirlande blu, bianche e verdi — nella parte alta di Place Foch, a sinistra di Rue Bonaparte, la “Madunnuccia” è meta di processioni e intorno a Lei il 18 marzo si celebra una delle feste religiose più sentite. Francesco ha voluto renderle omaggio fermandosi alcuni istanti per accendere un cero e pregare in silenzio. Silenzio interrotto dalle urla di «Santo Padre, Santo Padre», provenienti da ogni parte: dal basso e dall’alto, da destra e da sinistra.

Nella piazza Francesco ha fatto fermare la papamobile davanti ad ogni bambino o neonato: carezze, benedizioni, buffetti sulle guance. Un tragitto di circa 200 metri è durato almeno mezz’ora. È giunto in ritardo, infatti, il Pontefice alla cattedrale di Santa Maria Assunta, dove lo attendeva il clero locale per la recita dell’Angelus. Ieri era difficile far passare pure una bicicletta davanti a questo edificio barocco cinquecentesco, non solo per la sua collocazione in mezzo a case, bar, botteghe e negozi, ma anche per la quantità di gente accalcatasi intorno per rubare uno scatto del Papa.

Da un palco allestito sul sagrato, talentuosi cantanti locali si sono esibiti in un mini concerto per Francesco che, dal portone del duomo, ha applaudito l’esibizione. Suggestivo l’ingresso in cattedrale, tra i colori, i ricchi ornamenti e un maestoso presepe allestito in una cappella laterale, una selva di stemmi e stendardi, issati per tutto il tempo dell’incontro. Un clima familiare ha caratterizzato il secondo appuntamento del Papa, tanto da spingerlo ad integrare il testo scritto con ampi passaggi a braccio, intervallato da battute, confessioni personali, forti incoraggiamenti ai sacerdoti al perdono e alla misericordia, salutati da esclamazioni nel pubblico: «Vivu Maria!», «Vivu Gesù!». «È un richiamo che va sempre bene sentire che noi sacerdoti dobbiamo amare di più, perdonare di più», ha commentato ai media vaticani don Biasgiu Santu, sacerdote del Cammino neocatecumenale, fidei donum in Madagascar ma studente a Roma, da dove è partito di corsa per vedere il primo Papa in visita nella sua terra. «Noi qui abbiamo gente con tante ferite, quindi portare la misericordia senza limiti a cui ci chiama il Santo Padre è fondamentale e fa del bene anche noi». 

dal nostro inviato Salvatore Cernuzio