· Città del Vaticano ·

Nella regione francese d’oltremare si temono migliaia di morti

Mayotte in ginocchio
per il ciclone Chido

This handout photograph taken on December 15, 2024 and released by the Gendarmerie Nationale on ...
16 dicembre 2024

Mamoudzou , 16. Le raffiche di vento a 220 km orari hanno tirato giù tutto, non hanno risparmiato nulla. Il ciclone Chido, che sabato scorso ha colpito l’arcipelago di Mayotte, regione d’oltremare francese nel Canale di Mozambico, è stato il più potente mai visto da quelle parti negli ultimi 90 anni. E non ha fatto nessuna fatica a cancellare in un solo colpo con le sue piogge torrenziali quasi tutte le infrastrutture e le zone abitate che non hanno opposto alcuna resistenza. Del resto, non avrebbero potuto: quasi un terzo della popolazione, che secondo le ultime ed impietose stime è considerata la più povera dell’intera Unione europea, vive in fragili capanne che alla prima folata sono volte come aquiloni stropicciati seguite da alberi sradicati, pali della luce divelti, tetti di lamiera completamente strappate via. Calcolare esattamente quanti morti ci siano sotto quelle baraccopoli, è un’impresa titanica per le autorità francesi. Gli abitanti ufficialmente censiti, secondo i dati diffusi questa mattina dal ministero dell’Interno, sono 320.000 ai quali ne vanno aggiunti almeno altri 100.000 illegali, non registrati e quindi invisibili, giunti come migranti a Mayotte dai paesi limitrofi — ancora più poveri e disperati— con il sogno di una vita migliore. Un bilancio veritiero si potrà avere solo quando i soccorritori potranno raggiungere i villaggi ridotti in macerie dopo aver liberato le strade e le vie di comunicazione ora completamente impraticabili. Ma il timore è quello di un numero elevatissimo di morti, forse addirittura migliaia.

Tutto il dolore e lo sgomento della Chiesa sono stati espressi ieri da Papa Francesco con un post su X: «Preghiamo per le vittime del ciclone che, nelle scorse ore ha colpito l’arcipelago di Mayotte. Sono spiritualmente vicino a quanti sono stati colpiti da questa tragedia».

«È una carneficina. L’ospedale è stato danneggiato e la situazione del sistema sanitario è molto degradata e diversi centri medici sono inutilizzabili» hanno dichiarato diversi esponenti delle autorità che hanno anche confermato l’invio di materiale di soccorso, tra cui ospedali da campo e strumentazione per la comunicazione satellitare. Intanto, nei centri di accoglienza allestiti già da ieri inizia a scarseggiare cibo ed acqua. «Alcuni dei miei vicini hanno fame e sete» raccontano diversi testimoni che denunciano «scene di saccheggi e attacchi violenti da parte di alcune bande criminali locali»: per contenere questi fenomeni, decine di poliziotti sono stati mobilitati con lo scopo di controllare strade e quartieri, ma non sarà certamente un’operazione facile. Mentre questa mattina il ministro degli interni, Bruno Retailleau, è arrivato nella capitale, Mamoudzou, per la giornata di oggi a Parigi è stata convocata d’urgenza una riunione interministeriale alla quale prenderà parte anche il presidente, Emmanuel Macron.

E in queste ore, la Chiesa è scesa in campo, in prima linea, per aiutare. Marc Bulteau, delegato di Mayotte per Secours Catholique di Caritas France, che al momento si trova in un un’isola comoriana a un centinaio di chilometri dall’arcipelago, sta coordinando tutti gli interventi di sostegno. «Sul posto — ha raccontato ai media vaticani — abbiamo 5 cinque dipendenti e circa 80 volontari e dobbiamo sostenere tra le 300 e le 400 persone, quindi a poco a poco cominciamo ad avere qualche notizia e, grazie a Dio, finora non ci sono stati feriti gravi o morti tra i nostri volontari. Una delle nostre priorità è fare il punto su di loro, riprendere i contatti con ciascuno di loro, valutare le loro esigenze, e lo stesso vale per le persone che accogliamo». Poi ha lanciato un appello, accorato, a tutta la comunità internazionale: «Abbiamo bisogno di un’enorme quantità di cibo, ci servono navi ma le navi ci mettono molto tempo ad arrivare perché siamo dall’altra parte del mondo. Penso che per riprenderci da questa tragedia ci vorranno almeno dieci anni». La mancanza di derrate alimentari e di condizioni igieniche adeguate potrebbe anche tornare ad innescare l’epidemia di colera che nel maggio scorso era stata messa sotto controllo da Medici Senza Frontiere: proprio questa mattina l’organizzazione internazionale si è detta disponibile a tornare nell’arcipelago con un team di esperti pronti ad affrontare la nuova emergenza. Che si presenta più complicata che mai.