Sbilanciarsi per trovare l’equilibrio. Se l’idea di prendersi cura di qualcuno facilmente suggerisce l’ipotesi di arrivare a mettere a dura prova il proprio baricentro per “chinarsi” verso l’altro, è molto meno immediatamente concepibile l’idea di cercare il proprio “disequilibrio” per far bene a sé stessi. Ma è proprio quello che suggerisce il libro di Stefano Redaelli intitolato per l’appunto Esercizi di squilibrio (Roma, Città Nuova, 2024, pagine 107, euro 14) che nel sottotitolo spiega: «Per imparare a prendersi cura di sé e dell’altro».
Gli imperanti luoghi comuni sul mantenersi in forma praticamente a tutti i costi abbinano alla prestanza fisica, che spesso scivola nel giovanilismo forzato, l’idea della necessità, legittima, di trovare un giusto equilibrio psicologico. Redaelli, studioso di fisica e letteratura con la passione di indagare i rapporti tra narrativa, medicina, scienza e spiritualità, lancia la sua provocazione: per stare bene le rassicurazioni e le certezze «statiche» possono essere controproducenti. Molto meglio la capacità «dinamica» di mettersi in discussione e di seguire il mondo interiore sempre assetato di relazioni ricche di affetti e di significati. Alla ricerca di una forma sempre nuova da dare alla nostra vita. Quando parla dell’arte di essere “squilibristi”, l’autore suggerisce in sostanza di osservare il mondo da una prospettiva inedita: «Pensavo di dover trovare un nuovo equilibrio, un punto di stabilità, in un mondo sempre più instabile e complesso. Mi sono accorto, al contrario, che ognuno di questi esercizi richiedeva uno sbilanciamento, un rischio, un moto di uscita da sé (e di ritorno), l’abbandono di una posizione rassicurante». Gli “strumenti” suggeriti sono molto semplici. Si tratta in sostanza di riscoprire azioni come l’ascolto, l’immedesimazione, la lettura, o valorizzare accenti dell’anima come il senso di fragilità, la mitezza, la benedicenza. Così facendo porta il lettore su un terreno che se non è proprio di squilibrio è di sana inquietudine. Come dice Papa Francesco, ogni uomo è un pellegrino e i due verbi essenziali dei pellegrini sono «cercare e rischiare». Per non «fermarsi» a quel senso di autosufficienza e narcisismo sul quale tanta parte di narrazione collettiva si posa.
di Fausta Speranza