· Città del Vaticano ·

Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria
La denuncia di Francesco all’omelia della messa con i nuovi cardinali e il collegio cardinalizio

Mezzo mondo muore di fame
di conflitti e di indifferenza

 Mezzo mondo muore di fame  di conflitti e di indifferenza  QUO-279
09 dicembre 2024

I 21 porporati vengono da tante parti, portatori di un’unica Sapienza dai molti volti


Nella mattina di domenica 8 dicembre, seconda di Avvento e solennità dell’Immacolata Concezione, Papa Francesco ha celebrato nella basilica vaticana la messa con i nuovi cardinali e il collegio cardinalizio. Ecco l’omelia pronunciata dal Pontefice.

«Rallegrati, piena di grazia» (Lc 1, 28). Con questo saluto, nell’umile casa di Nazaret, l’Angelo svela a Maria il mistero del suo Cuore immacolato, fin dal concepimento «immune da ogni macchia di peccato originale» ( B. Pio ix , Cost. ap. Ineffabilis Deus, 8 dicembre 1854). In tanti modi, nei secoli, con parole e immagini, i cristiani hanno cercato di rappresentare tale dono, sottolineandone la grazia e la dolcezza nei lineamenti della “Benedetta fra tutte le donne” (cfr. Lc 1, 42), attraverso i tratti somatici e le categorie delle più diverse etnie e culture.

E di fatto la Madre di Dio — come osservò San Paolo vi — ci mostra «ciò che abbiamo tutti in fondo al cuore: l’immagine autentica dell’umanità […] innocente, santa, […] perché il suo essere è tutto armonia, candore, semplicità — così è Maria: tutto armonia, candore, semplicità —; è tutto trasparenza, gentilezza, perfezione; è tutto bellezza» (Omelia nella Solennità dell’Immacolata, 8 dicembre 1963).

Fermiamoci allora un momento a contemplarla, questa bellezza, alla luce della Parola di Dio, in tre aspetti della vita di Maria che ce la rendono vicina e familiare. E quali sono questi tre aspetti? Maria figlia, Maria sposa e Maria madre.

Prima di tutto guardiamo all’Immacolata come figlia. Della sua infanzia i Testi sacri non parlano. Il Vangelo ce la presenta invece, al suo ingresso sulla scena della storia, come una giovane ragazza ricca di fede, umile e semplice. È la “vergine” (cfr. Lc 1, 27), nel cui sguardo si riflette l’amore del Padre e nel cui Cuore puro la gratuità e la riconoscenza sono il colore e il profumo della santità. Qui la Madonna ci appare bella come un fiore cresciuto inosservato e finalmente pronto a sbocciare nel dono di sé. Perché la vita di Maria è un continuo dono di sé.

Il che ci porta alla seconda dimensione della sua bellezza: quella di sposa, cioè di colei che Dio ha scelto come compagna per il suo progetto di salvezza (cfr. Conc. Eum. Vat. ii , Cost. dogm. Lumen gentium, 61). Questo lo dice il Concilio: Dio ha scelto Maria, ha scelto una donna come compagna per il suo progetto di salvezza. Non c’è salvezza senza la donna perché anche la Chiesa è donna. E Lei risponde “sì” dicendo: «Ecco la serva del Signore» (Lc 1, 38). “Serva” non nel senso di “asservita” e “umiliata”, ma di persona “fidata”, “stimata”, a cui il Signore affida i tesori più cari e le missioni più importanti. La sua bellezza allora, poliedrica come quella di un diamante, rivela una faccia nuova: quella della fedeltà, della lealtà e della premura che caratterizzano l’amore reciproco degli sposi. Proprio come intendeva San Giovanni Paolo ii, quando scriveva che l’Immacolata «ha accettato l’elezione a Madre del Figlio di Dio, guidata dall’amore sponsale, che “consacra” totalmente a Dio una persona umana» (Lett. Enc. Redemptoris Mater, 39).

E giungiamo così alla terza dimensione della bellezza. Qual è questa terza dimensione della bellezza di Maria? Quella di madre. È il modo più comune in cui la raffiguriamo: con in braccio il Bambino Gesù, oppure nel presepe, chinata sul Figlio di Dio che giace nella mangiatoia (cfr. Lc 2, 7). Sempre presente accanto a suo Figlio in tutte le circostanze della vita: vicina nella cura e nascosta nell’umiltà; come a Cana, dove intercede per gli sposi (cfr. Gv 2, 3-5), o a Cafarnao, dove è lodata per il suo ascolto della Parola di Dio (cfr. Lc 11, 27-28) o infine ai piedi della croce — la mamma di un condannato —, dove Gesù stesso ce la consegna come madre (cfr. Gv 19, 25-27). Qui l’Immacolata è bella nella sua fecondità, cioè nel suo saper morire per dare la vita, nel suo dimenticare sé stessa per prendersi cura di chi, piccolo e indifeso, si stringe a Lei.

Tutto questo è racchiuso nel Cuore puro di Maria, libero dal peccato, docile all’azione dello Spirito Santo (cfr. S. Giovanni Paolo ii , Lett. enc. Redemptoris Mater, 13), pronto a prestare a Dio, per amore, «il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà» ( Conc. ecum. Vat. ii , Cost. dogm. Dei Verbum, 5; cfr Conc. Vat. i , Cost. dogm. Dei Filius, 3).

Il rischio, però, sarebbe di pensare che si tratti di una bellezza lontana, una bellezza troppo alta, irraggiungibile. Non è così. Anche noi infatti la riceviamo in dono, nel Battesimo, quando veniamo liberati dal peccato e fatti figli di Dio. E con essa ci è affidata la chiamata a coltivarla, come la Vergine, con amore filiale, sponsale e materno, grati nel ricevere e generosi nel donare, uomini e donne del “grazie” e del “sì”, detti con le parole, ma soprattutto con la vita — è bello trovare uomini e donne che con la vita dicono grazie e dicono “sì” —; pronti a far posto al Signore nei nostri progetti e ad accogliere con tenerezza materna tutti i fratelli e le sorelle che incontriamo sul nostro cammino. L’Immacolata allora non è un mito, una dottrina astratta o un ideale impossibile: è la proposta di un progetto bello e concreto, il modello pienamente realizzato della nostra umanità, attraverso cui, per grazia di Dio, possiamo tutti contribuire a cambiare in meglio il nostro mondo.

Vediamo purtroppo, attorno a noi, come la pretesa del primo peccato, di voler essere “come Dio” (cfr. Gen 3, 1-6), continui a ferire l’umanità, e come questa presunzione di autosufficienza non generi né amore, né felicità. Chi esalta come conquista il rifiuto di ogni legame stabile e duraturo, infatti, non dona libertà. Chi toglie il rispetto al padre e alla madre, chi non vuole i figli, chi considera gli altri come un oggetto o come un fastidio, chi ritiene la condivisione una perdita e la solidarietà un impoverimento, non diffonde gioia né futuro. A cosa servono i soldi in banca, le comodità negli appartamenti, i finti “contatti” del mondo virtuale, se poi i cuori restano freddi, vuoti, chiusi? A cosa servono gli alti livelli di crescita finanziaria dei Paesi privilegiati, se poi mezzo mondo muore di fame e di guerra, e gli altri restano a guardare indifferenti? A cosa serve viaggiare per tutto il pianeta, se poi ogni incontro si riduce all’emozione di un momento, a una fotografia che nessuno ricorderà più nel giro di qualche giorno o qualche mese?

Fratelli e sorelle, oggi noi guardiamo a Maria Immacolata, e le chiediamo che il suo Cuore pieno d’amore ci conquisti, che ci converta e che faccia di noi una comunità in cui la figliolanza, la sponsalità e la maternità siano regola e criterio di vita: in cui le famiglie si riuniscono, gli sposi condividono ogni cosa, i padri e le madri sono presenti in carne e ossa vicino ai loro figli e i figli si prendono cura dei genitori. Questa è la bellezza di cui ci parla l’Immacolata, questa è la “bellezza che salva il mondo” e di fronte a cui vogliamo rispondere anche noi al Signore, come Maria: «Eccomi […], avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1, 38).

Celebriamo questa Eucaristia assieme ai nuovi Cardinali. Sono fratelli a cui ho chiesto di assistermi nel servizio pastorale della Chiesa universale. Vengono da tante parti del mondo, portatori di un’unica Sapienza dai molti volti, per contribuire alla crescita e alla diffusione del Regno di Dio. Affidiamoli in modo particolare all’intercessione della Madre del Salvatore.