Gli italiani e la sindrome
Quasi sette italiani su dieci (il 66 per cento) ritengono che i conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente siano colpa dell’Occidente, il 71,4 per cento che l’Unione europea è destinata a disgregarsi senza riforme radicali e il 68,5 che le democrazie liberali non funzionino più. Sono per certi versi sorprendenti, oltre che inquietanti, i dati che emergono dal 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, realizzato come ogni anno dal Censis e presentato questa mattina alla stampa nella sede del Cnel. Un rapporto che fotografa un Paese provato più culturalmente che economicamente o socialmente, ancora incapace di volare un po’ più in alto della quotidianità e anche un po’ meno disposto a credere agli ideali di un tempo, quello europeista in primo luogo. «Gli italiani galleggiano, nonostante tutto e come sempre», osservano i curatori dell’indagine. Sbarcano il lunario, «ma è alto il rischio che, dopo la vigorosa ripresa post-pandemia, le prospettive di crescita si vadano rapidamente annuvolando» mentre «resta l’antico vizio di una scarsità di direzione, di un’assenza di traguardi e di coraggio per affermarli».
Eppure le trasformazioni incalzano. La società italiana, si legge nel rapporto, «è molto più meticcia di quanto si dica, avvezza a mescolare valori e significati, persone e comportamenti». Una società aperta porta con sé dei rischi, per le istituzioni collettive e per la vita privata, rischi che al momento l’Italia «non sembra disponibile ad assumersi ma che, allo stesso tempo, non può permettersi di non correre, se vuole crescere e non più galleggiare» e guarire da quella che il Censis definisce la “sindrome italiana” della “continuità nella mediocrità”. E mentre anche il ceto medio si sfibra (i redditi sono inferiori del 7 per cento rispetto a vent’anni fa) fermenta, come accennato, «l’antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e anche nell’atlantismo» (solo il 31 per cento degli italiani infatti è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del prodotto interno lordo).
Questo mentre, secondo l’indagine, è in atto, come detto, una mutazione morfologica della nazione: l’Italia si colloca al primo posto fra tutti i paesi dell’Unione europea per numero di cittadinanze concesse (213.567 nel 2023), un dato che si accompagna a quello che indica nel 38,3 per cento la quota di italiani che si sente minacciata dall’ingresso nella Penisola dei migranti. Minacciata sotto diversi aspetti, in primo luogo quello della sicurezza. Tuttavia, se nel 2023 in effetti i reati sono aumentati del 3,8 per cento rispetto all’anno precedente (non per effetto diretto dell’immigrazione naturalmente), in dieci anni, dal 2013 al 2023, gli omicidi volontari sono diminuiti da 502 a 341 mentre le rapine sono scese nel decennio da 43.754 a 28.067 (-35,9 per cento) e i furti nelle abitazioni da 251.422 a 147.660 (-41,3 per cento). Anche a voler prendere in considerazione lo spauracchio della sedicente invasione culturale a opera dei migranti, i dati del rapporto suggerirebbero semmai altre strade rispetto a quella della chiusura delle frontiere, per esempio quella di una maggiore istruzione di base se si considera che per il 30,3 per cento degli italiani Giuseppe Mazzini è un politico della Prima Repubblica e per il 32 per cento la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo.
Le paure nei confronti dei migranti non parrebbero giustificate neanche dal vecchio luogo comune dello “straniero che ruba il lavoro”: a metà anno in corso il numero degli occupati era infatti pari a 23.878.000, con un incremento di un milione e mezzo di posti di lavoro rispetto al 2020 e un aumento del 4,6 per cento sul 2007. Ciò a fronte di dati contraddittori circa la produzione: se la manifattura ha fatto registrare un calo dell’1,2 per cento fra il 2019 e il 2023, il raffronto dei primi otto mesi del 2024 con lo stesso periodo del 2023 rivela una caduta del 3,4 per cento. Invece le presenze turistiche hanno raggiunto i 447 milioni nel 2023, con un incremento del 18,7 per cento rispetto al 2013 (a Roma le presenze turistiche nel 2023 hanno superato i 37 milioni). Tuttavia non è solo il turismo il settore che genera occupazione. Sono diverse le figure professionali che si fa fatica a trovare, vale a dire artigiani, agricoltori, operai specializzati, e poi infermieri e ostetrici, farmacisti e personale medico, e ancora idraulici ed elettricisti. Manodopera spesso offerta dal lavoro degli immigrati.
A proposito di sanità, spicca il dato per cui al 62,1 per cento degli italiani è capitato almeno una volta di rinviare un check up medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche perché la lista di attesa negli ambulatori del Servizio sanitario nazionale era troppo lunga e il costo da sostenere nelle strutture private era considerato troppo alto (tuttavia nel periodo 2013-2023 si è registrato un balzo in avanti del 23 per cento in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, pari nell’ultimo anno a oltre 44 miliardi di euro). E ancora: in media in Italia le famiglie hanno difficoltà a raggiungere una farmacia (13,8 per cento pari a 3,6 milioni) o ad accedere a un pronto soccorso (50,8 per cento ovvero circa 13 milioni); e nel caso dei comuni fino a 2000 abitanti tali problematiche riguardano rispettivamente il 19,8 e il 68,6 per cento dei nuclei familiari. Dati impressionanti che dovrebbero, questi sì, fare paura.
di Marco Bellizi