· Città del Vaticano ·

La voce delle associazioni che non si arrendono alle logiche belliciste

Serve un cambio
di paradigma per rimettere
al centro i diritti umani
e le persone

epa11753466 Internally displaced Palestinian children play next to a mural painted on the rubble of ...
03 dicembre 2024

«Siamo dentro una spirale bellicista. È in atto un tentativo finanziario, economico, politico e anche culturale di rendere la guerra più accettabile: una cosa un pò brutta, ma un grande affare che fa guadagnare punti di Pil in un periodo di crisi economica». Così Don Renato Sacco, rappresentante del movimento Pax Christi, commenta per i media vaticani l’ultimo rapporto del Sipri sul “valore record” di 632 miliardi di dollari di fatturato per le principali 100 aziende mondiali che vendono armamenti. La società civile, osserva, «prima prendeva atto della tragedia della guerra e tutti noi eravamo convinti che non si può preparare la pace preparando la guerra»; mentre oggi sembriamo quasi assuefatti e la voce instancabile di Papa Francesco, «che nell’indire il Giubileo ci invita a sognare un mondo senza armi», rischia di rimanere isolata.

Dal rapporto Sipri emergono numeri inquietanti, risultato di una drammatica tendenza trainata dalle guerre. «Questo aumento sarà ancora più misurabile nei prossimi anni», ammonisce Francesco Vignarca rappresentante dell’Osservatorio Milex.org e di Rete Italiana Pace e Disarmo. «L’aumento del fatturato —– spiega ai media vaticani — riguarda al momento soprattutto le aziende che producono “strumenti immediati”: per esempio i produttori di munizioni, che hanno venduto in Ucraina e non solo, hanno registrato un grande rialzo. I sistemi d’arma più complessi, invece, hanno bisogno di più tempo per essere sviluppati».

Il rapporto Sipri segnala in particolare che i ricavi per le vendite delle armi crescono fino ad occupare quasi il 26 per cento (dal 22 per cento) della spesa militare mondiale complessiva del 2023 (2.443 miliardi). «Quindi la spesa militare in crescita va soprattutto a nuove armi, ovvero ad affari militari che adesso vedono crescere tantissimo il fatturato delle industrie che hanno le produzioni più semplici e più immediate per le guerre. Ma l’aumento è ormai strutturale e quindi lo vedremo tantissimo anche nei prossimi anni soprattutto per i sistemi d’arma più complessi». Vignarca evidenzia in particolare l’aumento esponenziale del fatturato delle aziende militari di Russia e Israele. «In questi casi c’è un collegamento molto diretto tra le esigenze delle forze armate e l’aspetto di produzione militare — afferma —. Mentre per altri Stati l’acquisto di armi viene fatto da fuori, Russia e Israele hanno una forte industria militare nazionale e, soprattutto, un’industria militare direttamente collegata a quelle che sono le esigenze delle forze armate del Paese».

L’esperto di Rete Italiana Pace e Disarmo individua infine altre due notizie allarmanti: la prima è che la Lituania si è ritirata dalla Convenzione sulle munizioni a grappolo; la seconda è che gli Usa hanno deciso di mandare alcuni stock di mine antiuomo in Ucraina. «Queste decisioni evidenziano anche un problema politico, che attesta una erosione di quello che per anni è stato costruito come un tentativo di mettere al bando questi sistemi d’arma inumani. C’è inoltre un altro elemento di preoccupazione: ovvero l’aumento dell’utilizzo delle armi esplosive in contesti popolati. Un recente rapporto del Consiglio danese per i rifugiati fornisce dati impressionanti sulla situazione nelle aree popolate di Gaza: il 99% delle persone nella Striscia ha visto in prima battuta l’uso di armi esplosive, il 95% delle persone di Gaza conosce qualcuno che è stato ucciso o ha avuto una ferita da armi esplosive e l’80 % di quelli che sono stati colpiti da tali armi non ha potuto ricevere cure mediche».

Proprio quello del mancato accesso alle cure mediche, concorda Don Sacco, è un elemento inquietante di questa logica bellicista che predilige «gli affari delle armi, ovvero i grandi interessi di pochi» alle esigenze di una popolazione sempre più povera e senza accesso ai servizi di base. «La domanda da farsi è: vengono prima i diritti delle persone e una cultura dei diritti umani o il business e il guadagno ?», si chiede il rappresentante di Pax Christi, rimarcando che esiste un tentativo “culturale” di rendere la guerra normale: ad esempio in Italia vi è un tentativo — che potrebbe ripresentarsi da gennaio — di cancellare la legge 185 del 1990 che traccia e documenta l’export di armi. «Quando non ci sarà più questa legge, questa possibilità di sapere a chi vendo armi, la coscienza rischia di essere più tranquilla».

Per chiedere un cambio di paradigma e per la cessazione delle guerre, Pax Christi tornerà in piazza il prossimo 10 dicembre, in occasione della Giornata che ricorda l’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani da parte dell’Onu nel 1948. «È un’occasione per denunciare tutti insieme che i diritti umani vengono calpestati da questa ondata tragica delle spese militari», sottolinea Don Sacco: «Fermiamo questi investimenti e questa produzione. Quando c’era la guerra in Iraq, i morti venivano considerati effetti collaterali; mentre la Giornata del 10 dicembre ci dice che le persone non sono mai effetti collaterali e, insieme ai loro diritti fondamentali, devono essere rimesse al centro».

di Valerio Palombaro