· Città del Vaticano ·

La prefazione di Papa Francesco al libro “Giubileo della speranza”

Nell’Anno Santo
un cessate il fuoco
su tutti i fronti di guerra

TOPSHOT - A Palestinian boy carries a bag of flour he received from an aid distribution center in ...
03 dicembre 2024

Un mondo in pace durante l’Anno santo con un cessate il fuoco su tutti i fronti di guerra: Papa Francesco confida questo suo sogno nella prefazione al libro “Giubileo della speranza” (Editrice Elledici, 2024, pagine 144, euro 14), scritto dal vaticanista Francesco Antonio Grana. Ecco il testo pontificio.

Oggi ci sono tante Turandot nella vita che dicono: «La speranza che sempre delude». La Bibbia, invece, ci dice: «La speranza non delude» (Rm 5, 5). Spes non confundit. È proprio questo il titolo della bolla con la quale ho indetto ufficialmente il Giubileo 2025. Dobbiamo metterci in cammino, insieme, e diventare davvero pellegrini di speranza, motto che ho scelto per il prossimo Anno Santo. La speranza, infatti, non è, come spesso si pensa, ottimismo, né un vago sentimento positivo sull’avvenire. No, la speranza è un’altra cosa. Non è un’illusione o un’emozione. È una virtù concreta, un atteggiamento di vita e ha a che fare con scelte concrete. La speranza si nutre dell’impegno per il bene da parte di ciascuno. Cresce quando ci sentiamo partecipi e coinvolti nel dare senso alla vita nostra e degli altri. Alimentare la speranza è, dunque, un’azione sociale, intellettuale, spirituale, artistica e politica nel senso più alto della parola. È mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune. È seminare futuro. La speranza genera cambiamento e migliora l’avvenire. È la più piccola delle virtù, diceva Charles Péguy, è la più piccola, ma è quella che ti porta più avanti. E la speranza non delude. Mai!

Cosa significa allora diventare pellegrini di speranza? Il pellegrinaggio è un movimento fisico: si lascia la propria casa con le proprie certezze e ci si mette in viaggio verso una meta. A volte si compie un pellegrinaggio per chiedere una grazia per sé o per una persona cara e, solo quando si ritorna a casa, si comprende, invece, che il vero miracolo non è quello della guarigione fisica, ma è il dono della fede che esce fortificata, confermata da quel viaggio. Ma il pellegrinaggio non è soltanto mettersi in cammino fisicamente. È anche un viaggio all’interno di sé stessi, mettendosi in discussione alla luce del Vangelo. «Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita» (Spes non confundit, 5).

La saggezza popolare si prende beffa degli uomini e delle donne di speranza: «Chi di speranza vive disperato muore». E il mondo di oggi sembra confermare questa convinzione con le sue contraddizioni, con le guerre che aumentano di giorno in giorno, con le fabbriche di armi che accrescono in modo esponenziale e rapidamente i loro profitti, con la denatalità sempre crescente, con i femminicidi e con tanto odio che sembra prendere sempre più il sopravvento. Ma, grazie a Dio, c’è tanto bene silenzioso, anche nella Chiesa, che ogni giorno risponde a quello che può sembrare l’abisso del male. Lo vediamo nella mancanza di accoglienza dei migranti — sono nostri fratelli! — che, affrontando quelli che vengono chiamati viaggi della speranza, ma che, invece, sono veri e propri viaggi della disperazione, trovano la morte in quel Mediterraneo che è diventato un grande cimitero. Lo vediamo in coloro che alimentano i conflitti troppo spesso dimenticati perché sono drammi umanitari che, purtroppo, non fanno notizia.

Quanto vorrei che il prossimo Giubileo fosse davvero l’occasione propizia per un cessate il fuoco in tutti i Paesi dove si combatte! «Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra» (Spes non confundit, 8). Dalla guerra, da ogni guerra, — questo dev’essere chiaro — tutti escono sempre sconfitti, tutti! Dalla guerra tutti escono sempre sconfitti dal primo giorno. Non ci sono vincitori e vinti, ma solo sconfitti! «Da questo intreccio di speranza e pazienza appare chiaro come la vita cristiana sia un cammino, che ha bisogno anche di momenti forti per nutrire e irrobustire la speranza, insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù» (Spes non confundit, 5).

La speranza non delude nessuno. «Per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza, io stesso desidero aprire una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita» (Spes non confundit, 10). Nella bolla di indizione del Giubileo 2025, ho chiesto forme di amnistia o di condono della pena, condizioni dignitose per i reclusi — sono nostri fratelli! — e l’abolizione della pena di morte. Essa «è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona» (Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, 11 ottobre 2017). Ogni volta che io entro in un carcere, soprattutto per la messa in Coena Domini del Giovedì Santo con il rito della lavanda dei piedi, penso sempre: «Perché loro e non io?». È la misericordia di Dio!

Nel Giubileo 2025 milioni di pellegrini attraverseranno la Porta Santa di San Pietro e quelle delle altre tre Basiliche Papali: San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura. Vorrei che questo pellegrinaggio non fosse un viaggio turistico o il raggiungimento di un traguardo, come avviene alle Olimpiadi. Vorrei che fosse davvero un’occasione di conversione, di revisione della propria vita alla luce del Vangelo, di ascolto dell’unica Parola che salva, quella di Gesù Cristo. E vorrei che questo pellegrinaggio fosse accompagnato sempre da un gesto di carità da compiere nel segreto. Ognuno potrà farlo secondo le proprie possibilità per aiutare un fratello a rialzarsi. C’è, infatti, un solo caso in cui è lecito guardare una persona dall’alto in basso: quando gli si tende la mano per sollevarlo da terra. E vorrei anche che il pellegrinaggio fosse accompagnato da una preghiera per me, per il Papa, perché questo lavoro non è facile.

Vorrei anche sottolineare che tutti, tutti, tutti possono compiere questo pellegrinaggio. Tutti! Il Giubileo non è un’autostrada preferenziale per il Paradiso destinata esclusivamente a coloro che si ritengono perfetti. No, l’Anno Santo con l’indulgenza giubilare è rivolto a tutti. Tutti! Perché tutti siamo peccatori, anche il Papa, e abbiamo bisogno di essere perdonati. Tutti! Non c’è peccato che il Signore non possa perdonare e non c’è nessuno che non possa chiedere il perdono del Signore. E ai confessori, in particolare ai missionari della misericordia che ho istituito nel recente Giubileo straordinario, chiedo che «continuino ad essere strumenti di riconciliazione e aiutino a guardare l’avvenire con la speranza del cuore che proviene dalla misericordia del Padre» (Spes non confundit, 23).

Come non andare con la mente alla scena poetica del pane del perdono de I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Lì dove fra Cristoforo dice: «Qui dentro c’è il resto di quel pane... il primo che ho chiesto per carità; quel pane, di cui avete sentito parlare! Lo lascio a voi altri: serbatelo; fatelo vedere ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondo, in tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! Tutto, tutto! E che preghino, anche loro, per il povero frate!» (I promessi sposi, xxxvi, 580).

Sono grato a Francesco Antonio Grana che ha voluto sintetizzare il significato del Giubileo 2025 con questo libro. Mi fa piacere che sia stato messo in luce come l’Anno Santo non è esclusivamente un appuntamento dettato dal calendario, ma un vero e proprio strumento pastorale che i pontefici, dal 1300 a oggi, hanno utilizzato secondo le esigenze del tempo in cui sono stati chiamati a guidare la Chiesa. «Mi piace pensare che un percorso di grazia, animato dalla spiritualità popolare, abbia preceduto l’indizione, nel 1300, del primo Giubileo. Non possiamo infatti dimenticare le varie forme attraverso cui la grazia del perdono si è riversata con abbondanza sul santo popolo fedele di Dio. Ricordiamo, ad esempio, la grande “perdonanza” che san Celestino v volle concedere a quanti si recavano nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila, nei giorni 28 e 29 agosto 1294, sei anni prima che Papa Bonifacio viii istituisse l’Anno Santo. La Chiesa già sperimentava, dunque, la grazia giubilare della misericordia. E ancora prima, nel 1216, Papa Onorio iii aveva accolto la supplica di san Francesco che chiedeva l’indulgenza per quanti avrebbero visitato la Porziuncola nei primi due giorni di agosto. Lo stesso si può affermare per il pellegrinaggio a Santiago di Compostela: infatti Papa Callisto ii, nel 1122, concesse di celebrare il Giubileo in quel Santuario ogni volta che la festa dell’apostolo Giacomo cadeva di domenica. È bene che tale modalità “diffusa” di celebrazioni giubilari continui, così che la forza del perdono di Dio sostenga e accompagni il cammino delle comunità e delle persone» (Spes non confundit, 5).

Il Giubileo 2025 ci offrirà altri due esempi concreti di speranza: i beati Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis che saranno canonizzati proprio durante l’Anno Santo. Due santi giovani che hanno compreso fin da subito nelle loro vite che il centro di tutto è unicamente Gesù Cristo che si rende presente negli ultimi, nei poveri, in coloro che sono scartati dalla società.

Frassati, ucciso a 24 anni da una poliomielite fulminante, affermava che bisogna vivere, non vivacchiare. «Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani-divano» (Veglia di preghiera con i giovani in occasione della xxxi Giornata mondiale della gioventù, 30 luglio 2016). Pier Giorgio «diceva di voler ripagare l’amore di Gesù che riceveva nella Comunione visitando e aiutando i poveri» (Christus vivit, 60). È quello che viene chiesto anche a noi oggi. Il Giubileo è un’occasione propizia per vivere la carità: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-37).

Acutis, qualche giorno prima di morire a 15 anni a causa di una leucemia fulminante, disse: «Offro tutte le sofferenze che dovrò patire al Signore per il Papa e per la Chiesa, per non fare il Purgatorio e andare dritto in cielo». Carlo usava internet per evangelizzare, ma «sapeva molto bene che questi meccanismi della comunicazione, della pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati, dipendenti dal consumo e dalle novità che possiamo comprare, ossessionati dal tempo libero, chiusi nella negatività. Lui però ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo, per comunicare valori e bellezza. Non è caduto nella trappola. Vedeva che molti giovani, pur sembrando diversi, in realtà finiscono per essere uguali agli altri, correndo dietro a ciò che i potenti impongono loro attraverso i meccanismi del consumo e dello stordimento. In tal modo, non lasciano sbocciare i doni che il Signore ha dato loro, non offrono a questo mondo quelle capacità così personali e uniche che Dio ha seminato in ognuno. Così, diceva Carlo, succede che “tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie”» (Christus vivit, 105-106). Un insegnamento molto attuale e valido per tutti.

Spero che la lettura di questo libro aiuti a vivere meglio il Giubileo della speranza.