Vivere insieme
«Cara Delia, siamo la classe seconda a delle scuole medie San Simone di Livorno…». È l’incipit di una lettera contenuta in un quaderno custodito gelosamente anche in ospedale, quando la lotta contro la malattia si faceva in salita. A ritrovarla è Sharon, una delle nipoti di Delia Buonomo, conosciuta a Ventimiglia come “Mamma Africa” e scomparsa il 24 ottobre 2024. Nelle frasi dei ragazzi ci sono parole importanti, scrivono di “compassione”, di aver capito attraverso la sua storia il valore del “vivere insieme nonostante le tante diversità”, parlano di “coraggio pur tra le lamentele e le minacce”.
Bisogna riavvolgere il nastro per comprendere la forza di questa donna nata a Ferrara nel 1963, sbarcata in Australia per qualche tempo e poi approdata a Ventimiglia dove ha soccorso tanti migranti nel passaggio verso la Francia, persone in cerca di fortuna, aggrappate agli scogli del Mar Ligure perché aggrappate ad un sogno di libertà.
Delia aveva l’anima da migrante e per questo capiva le urgenze e le necessità di tanti che si ritrovano soli e senza dignità. Il suo porto dal 2015 era il bar Hobbit di via Hambury, a due passi dalla stazione ferroviaria, qui offriva da mangiare e da bere a chi aveva bisogno, la possibilità di andare in bagno o di ricaricare il cellulare, offriva una poltrona per riposare o allattare, i pannolini per i bambini da lavare e cambiare. In fondo portava avanti quello che i suoi genitori facevano sempre. «La nonna — racconta Sharon — aveva assistito una famiglia che veniva dal Marocco. Ancora oggi, che i bimbi sono diventati grandi, vengono a salutarci e a ringraziarci». Delia è cresciuta così, «tutti in famiglia siamo così, mettiamo ogni cosa in comune, ci aiutiamo e lo abbiamo fatto anche con la zia che ci ha cresciuti come una seconda mamma».
Il bene che Delia fa diventa insopportabile per alcuni. Dalla solidarietà si passa al fastidio e all’intolleranza. I clienti del suo bar pian piano diminuiscono, spaventati dall’idea di prendere la scabbia dai migranti. Lei, dopo la pandemia, lancia un crowdfunding che però non riesce a coprire i costi del bar. Poi i problemi di salute. Così, nel 2021, decide di abbassare la serranda. Non molla però la sua opera di sostegno verso chi ha bisogno e se non può dare direttamente a qualcuno, porta alla Caritas. «Ancora oggi facciamo così — sottolinea la nipote —: ci chiedono delle cose e se le abbiamo le portiamo lì».
Ci vorrà tempo per lavar via le ferite di un luogo che non l’ha capita, ci vorrà tempo per veder fiorire un mondo diverso, ma se gli occhi dei giovani hanno visto qualcosa, la speranza c’è.
Nel girovagare su internet alla ricerca di informazioni, colpisce la definizione che è stata data di lei sul sito di Articolo 21, punto di riferimento di tanti giornalisti. Delia — si legge — è stata «un faro di umanità» capace di guidare «l’ultimo avamposto del confine» tanto da meritarsi il titolo di «Bar del mondo». «Per anni ha incarnato — lei sì — il precetto evangelico di dar da mangiare agli affamati e acqua agli assetati, tendendo la mano a chi ne aveva bisogno, accogliendo i migranti disperati che tentavano di varcare l’ennesimo confine. Delia Buonomo ha sfidato razzismo, minacce, multe e indifferenza senza alcuna paura, facendo ciò che andava fatto senza proclami. Grazie Delia, ti sia lieve la terra così come è stata lieve la tua carezza per tanti poveri Cristi».
di Benedetta Capelli