· Città del Vaticano ·

Dal 26 dicembre nel carcere romano di Rebibbia

Un varco per l’accoglienza
e la fraternità

 Un varco per l’accoglienza  e la fraternità  ODS-027
30 novembre 2024

Una Porta Santa a Rebibbia, in un carcere. È come i doni troppo grandi, che fai fatica ad accogliere, tanto è forte l’emozione. Non si è abituati a tanto amore. Anzi, si è provati da tante disillusioni che bruciano ancora.

Ma quando inizi ad assaporarlo questo dono, quando inizi a capire che sei nel cuore di Papa Francesco e che lui ha invitato tutti a guardare con rispetto e amore te e le tue fragilità, i tuoi errori e la tua sofferenza, allora non lo lasci più. Allora quel dono d’amore diventa parte di te. Trasforma la tua vita, comprendi che c’è qualcosa che va oltre la durezza di ogni giorno, della vita “reclusa”. Che, malgrado tutto, c’è spazio per la speranza e per una vita nuova, per sentirsi persona rispettata e amata.

Allora quella Porta Santa che forse non potrai fisicamente neanche attraversare, perché sei sempre un recluso, sarà il varco dell’accoglienza e della fraternità che attraverserai con il cuore, con commozione e desiderio di pentimento. Lo farai tenendo per mano i tuoi cari, che ti mancano tanto, gli amici, i compagni e le compagne di detenzione, chi ti sta vicino, le persone che hai nel cuore, ma anche le vittime dei tuoi comportamenti, quelli a cui hai causato sofferenza. Anche loro non vanno dimenticate. Sono dentro di te anche loro, con il peso dei tuoi errori. Il pentimento è una cosa seria e difficile. Serve l’aiuto di Dio, va invocato come un dono che libera.

Papa Francesco, in questi tempi difficili, di grande sofferenza delle carceri, rappresenta la speranza, forse l’unica, di un gesto di grazia, quello che ha chiesto ai governanti di tutto il mondo. In fondo è anche questo il Giubileo, l’occasione “per rimettere i debiti, restituire le terre, liberare gli schiavi, ridare la libertà ai carcerati”. Anche se l’aria che si respira è diversa. C’è poca disponibilità verso gesti umanitari. Per questo c’è tanta attenzione per il grande gesto del 26 dicembre, quando Papa Francesco aprirà la Porta Santa della chiesa al Nuovo Complesso di Rebibbia. Si attendono le parole che pronuncerà, i suoi moniti e ai suoi inviti ai governanti per gesti di misericordia verso tutti i carcerati del mondo, ma anche per chi è a Roma, la sua diocesi, e in Italia. Perché ci siano atti concreti e non simbolici, che vadano oltre le frasi di circostanza, e che diano speranza a chi è provato dalla sofferenza.

È il dramma degli ottanta suicidi di persone detenute a interpellare tutti. Segno di un fallimento, di una disumanità intollerabile a cui porre rimedio. Ci auguriamo che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ascolti e ne tenga conto.

Nella Bolla di indizione del Giubileo 2025, Spes non Confundit, il Papa ha espressamente richiesto «forme di amnistia o di condono della pena, volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società, percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto rispetto delle leggi». Un invito che è ancora più pressante per il nostro Paese dove la popolazione detenuta vive il dramma del sovraffollamento. Ma c’è chi invoca sicurezza senza umanità, un’illusione. O chi resta prigioniero dei pregiudizi e della paura. Quella Porta Santa al penitenziario di Rebibbia è anche per loro.

Ci sarà un anno intero per varcare il portone blindato del carcere per interrogarsi, convertirsi e comprendere la profondità dell’invito di Papa Francesco ad abbracciare i fratelli sofferenti nelle carceri. Un percorso di conversione al Vangelo. Questo pontefice con i suoi gesti simbolici ci porta dentro la profondità della vita e delle scelte, a toccare le ferite dell’anima. Lo ha fatto già nel 2015 quando per il Giubileo della Misericordia volle una Porta Santa all’ostello dei Poveri della Caritas di don Luigi Di Liegro a via Marsala a Roma. Nello stesso anno, testimone di pace, di riconciliazione e di perdono, aprì la Porta Santa a Banguì, capitale della Repubblica Centrafricana, paese segnato da una guerra sanguinosa che si fermò grazie a questo gesto.

Papa Francesco, anche in tempi di lacerazione e conflitti, invita al coraggio dell’amore, ad atti di clemenza e di liberazione. Ora anche a Rebibbia. 

di Roberto Monteforte