Quando si parla di speranza, il pensiero non può non andare anche alle persone migranti, che sono l’emblema della
speranza. La
speranza è il sentimento che anima i viaggi che percorrono, è il sentimento che palpita nel loro cuore quando bussano alle porte delle nostre città: speranza di una vita buona, speranza di accoglienza, speranza di fraternità. La speranza che le persone migranti portano nel loro cuore ci viene affidata: tante volte le nostre società tradiscono questa speranza, mentre altre volte la accolgono e in questo modo si lasciano contagiare da questo anelito alla fraternità universale, che è il sogno di Dio, di cui lo Spirito Santo semina il germoglio nel cuore di ogni persona.
Mediterranea Saving Humans, insieme a tante altre realtà, lavora perché la speranza non sia delusa: lavora perché nessuno sia lasciato solo, perché la fraternità, che è stata rotta con le ingiustizie e con i respingimenti, si risani.
Tra le tante storie che incontriamo ce n’è in particolare una, che esprime bene il tradimento della speranza e il risanamento operato dall’amore: è la storia di Pato.
Pato è nato in Camerun nel 1993 e ha dovuto lasciare la terra di origine per cercare una vita degna. In Libia ha conosciuto un’altra giovane migrante proveniente dalla Costa d’Avorio: Matyla, che essendo cristiana, come Pato, temendo persecuzioni religiose ha cambiato il proprio nome in Fati. Pato e Fati si sono innamorati e hanno concepito un figlio. Non potendo restare in Libia per le violazioni dei diritti umani, si sono imbarcati per l’Europa, ma sono stati catturati in mare e respinti sulla base degli accordi Italia-Libia. Nel respingimento Fati ha avuto un aborto spontaneo. I due giovani migranti hanno provato altre quattro volte ad arrivare in Europa via mare, ma tutte le volte sono stati catturati, respinti e deportati in lager.
Nell’estate del 2023, data l’impossibilità di restare in Libia e l’estrema fatica ad attraversare il mare a causa dei respingimenti nei lager, hanno deciso di andare in Tunisia, sperando che lì la loro figlia, Marie, possa trovare una vita degna. Proprio in quei giorni, però, mentre l’Europa e la Tunisia hanno fatto gli accordi per il contenimento dei migranti, la polizia tunisina ha iniziato la pratica, tuttora in atto, di catturare i migranti e di abbandonarli nel deserto. Lì Fati e Marie non sono riuscite a sopravvivere. La foto con loro abbracciate, uccise dalla sete nel deserto, ha fatto il giro del mondo. La loro speranza è stata tradita da noi, dal nostro cinismo e dalla nostra indifferenza.
Pato, dopo essere sopravvissuto, è finito nuovamente in Libia, poi è riuscito ad arrivare in Italia. Ad essere stati sempre accanto a lui sono Refugees in Libya e Mediterranea Saving Humans, insieme ad altre organizzazioni e a trasmissioni come Il cavallo e la torre di Marco Damilano.
Dopo alcuni mesi, Pato si è imbarcato ed è arrivato in Italia. Quando ha saputo del suo arrivo, il Papa lo ha ricevuto a Casa Santa Marta, accompagnato da Mediterranea Saving Humans, lo ha abbracciato, ha messo la sua mano sulla sua testa. Quelle foto hanno fatto il giro del mondo, come quelle di Fati e Marie. Quelle foto sono diventate l’emblema di come l’amore di Dio, che passa anche attraverso il nostro amore, raggiunga coloro che sono scartati o oppressi e li elevi alla loro dignità di fratelli prediletti di Gesù e di fratelli e sorelle di tutti noi. Quelle foto sono diventate un emblema del Magnificat. La speranza, tradita dai respingimenti, dal cinismo, dall’indifferenza, rinasce dall’amore.
Quando accogliamo la speranza di fraternità delle persone migranti e apriamo loro le porte del nostro cuore, non si ha semplicemente la risposta alla loro speranza: si riaccende anche la nostra speranza. È l’esperienza che fanno tutte le persone che praticano il soccorso e l’accoglienza. Noi siamo in una società dove la speranza spesso si è fatta rara, perché abbiamo dimenticato la fraternità: siamo diventati così quella che gli psichiatri definiscono “l’epoca delle passioni tristi”. Siamo presi in una spirale di individualismo, siamo sottomessi al principio di prestazione. Abbiamo bisogno che la speranza si riaccenda nei nostri cuori. La speranza si riaccende proprio grazie alle relazioni con i poveri, con gli esclusi, con i migranti: le relazioni con loro ci liberano dalle tante prigioni mentali che la nostra società ci impone e ci restituiscono alla dimensione più bella e più autentica della nostra vita, quella di essere tutti figli di Dio, amati da Lui, chiamati ad essere fratelli e sorelle e ad amarci tra di noi. Lo ha detto una nostra attivista bolognese: «Nel farci tutti quanti fratelli e sorelle dei migranti ci siamo riscoperti fratelli e sorelle tutti anche fra di noi, che ci eravamo dimenticati di esserlo».
Ecco perché dalla nostra esperienza in mare è nato uno slogan: «Noi li soccorriamo, loro ci salvano». La relazione con i poveri e con i migranti è veramente una Porta Santa speciale del Giubileo della Speranza.
di Mattia Ferrari *
* Cappellano di Mediterranea Saving Humans