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Il nome e basta: una sottile discriminazione che tocca anche la Chiesa

 Il nome e basta: una sottile discriminazione che tocca anche la Chiesa  DCM-011
07 dicembre 2024

Lo ammetto. A malincuore, ma lo ammetto. C’è una cosa che proprio non mi va giù nella Chiesa e che riguarda il suo rapporto con le donne. Sto parlando dell'abitudine di chiamare le donne con il solo nome di battesimo in quegli stessi contesti in cui agli uomini viene riconosciuto anche un cognome e, soprattutto, un titolo o un «ruolo».

Un esempio? Ho assistito qualche tempo fa, in una località di vacanza, a un dibattito su «Donne e Chiesa», organizzato dalla locale Pastorale del turismo. Erano state invitate tre donne, tre professioniste mature e molto conosciute, una delle quali ricopre anche un ruolo istituzionale. Al termine dell’incontro, il sacerdote che aveva organizzato l’evento ha ringraziato le tre chiamandole con il nome di battesimo e, contemporaneamente, ha ringraziato il vescovo presente definendolo sua eccellenza e facendo seguire nome e cognome. E una cosa analoga è accaduta anche al termine del Sinodo sulla sinodalità, quando, ringraziando gli organizzatori, l’unica a essere chiamata da Papa Francesco solo per nome è stata suor Natalie Becquart, la stessa che, con una decisione storica, il Papa aveva nominato sottosegretaria del Sinodo. Perché? Mettiamo pure in conto che a motivare tutto ciò siano state le migliori intenzioni, e magari pure una certa vicinanza e una sintonia di intenti, un sincero affetto e una stima profonda. Ma, al di là di tutto questo, dobbiamo soffermarci, a mio avviso, sul significato più profondo, e spesso inconsapevole, che il chiamare per nome una donna nel momento stesso in cui a un uomo vengono riconosciuti un cognome e dei titoli, rischia di assumere: infantilizzarla.

È un po’ paradossale che ciò avvenga in contesti, come quelli citati, e da parte di persone, come quelle coinvolte, che pure le donne le rispettano profondamente e stanno agendo in modo forte e deciso per un cambiamento sostanziale del rapporto tra donne e Chiesa. Con un agire, dunque, che di fatto contraddice e indebolisce le proprie parole e le proprie scelte. Per questo dovremmo cominciare a riflettere su questi atteggiamenti, a farci caso, tutti, a partire da noi donne. Perché i cambiamenti profondi passano dalle parole, passano dagli atteggiamenti comuni, passano da un pensiero critico che va a riflettere sul significato di alcune azioni e sulle loro ripercussioni, il più delle volte inconsapevoli, ma non per questo prive di importanza.

di Sabina Fadel
Vicedirettrice «Messaggero di sant’Antonio»