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DONNE CHIESA MONDO

Giubileo, tra confini
da superare e questione
delle indulgenze

 Giubileo, tra confini da superare  e questione delle indulgenze   DCM-011
07 dicembre 2024

«Come se i confini fossero superati»: la Bolla papale di indizione del Giubileo ordinario 2025 Spes non confundit così si riferisce al pellegrinaggio giubilare nel quale si passerà da un Paese all’altro. Sappiamo tutti che non lo sono, ma la speranza che “non illude e non delude” non è una vaga mozione d’anima, ma una fattiva profezia. Chiede e permette di superarli i confini, proprio perché sappiamo che ci sono.

Quello che vale per il mondo intero vale anche per la Chiesa: i confini ci sono eccome. Sono quelli tra uomini e donne, quelli che riguardano le minoranze sessuali, quelli economici e anche etnici, in un mondo sempre più mescolato ma non pacificato. A noi vivere e operare come se fossero superati, in un attraversamento che può essere faticoso come risalire contro corrente, ma è già in sé buon risultato e anche profezia di luoghi veramente aperti, per i quali anche le porte sono un po’ di troppo. Questo, senza perdere l’immagine che è evangelica; in questa accezione la porta è Cristo e in questo significato è accesso senza se e senza ma, nel quale la conversione nostra non è condizione, ma risultato. In questo caso è una metafora vera, è il segno di una realtà che ci precede, che dichiara che qualcuno ne esce di continuo perché niente vada perduto e di continuo invita a condividere la sua vita, perché passiamo «da pecore a commensali» (Hanz Gutierres Salazar, Oltre la Bibbia, oltre l’Occidente).

Tuttavia, nonostante l’alto riferimento e a dispetto del fatto che le porte sante si aprano in luoghi imprevisti, le loro ante continuano a subire spinte diverse, fra il vento che le spalanca e la corrente che tende a richiuderle: mi piace immaginare il Signore che come certi venditori a porta a porta di un tempo, infila il piede nell’uscio perché resti per lo meno socchiuso. Magari in complicità con le donne che sono custodi delle soglie della Dimora e per essa danno “da sempre” i loro ornamenti, gli specchi di bronzo, per ricorrere all’immagine biblica in Esodo 38.8.

Fra gli elementi fragili in tutto questo, sento di doverne nominare uno che resta davvero imbarazzante: le indulgenze. Se per un verso vorrebbero indicare che c’è un “resto”, un’ombra delle nostre azioni, perché mai dovremmo pensare di poterle eliminare “noi” con un sacro colpo di spugna, così che si possano lucrare? Retaggio storico, si può dire. Sarebbe però un bel segno di conversione giubilare collettiva eliminarle, un segno di pentimento e di consenso ecumenico, vista anche la parte conflittuale che hanno svolto nel confronto con la Riforma.

di Cristina Simonelli
Teologa, docente di Storia della chiesa antica, Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Milano