Un sospiro di sollievo e una grande gioia, nonostante l’orizzonte di rovine causato dalla guerra e le enormi sfide legate alla ricostruzione. Padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano, in un’intervista ai media vaticani illustra i sentimenti contrastanti che hanno accompagnato l’atteso annuncio del cessate-il-fuoco di 60 giorni in Libano.
«Questo cessate il fuoco è una speranza di pace: la gioia la sentiamo nel profondo di noi stessi, la vediamo negli sguardi che incontriamo», racconta padre Abboud. Ma con risorse insufficienti, il direttore di Caritas Libano è impegnato nella sfida di poter dare un orizzonte di speranza a chi ha perso tutto. In particolare agli oltre 1,2 milioni di sfollati libanesi causati dal conflitto. «Migliaia di persone sono scese di nuovo in strada in auto», causando grossi ingorghi verso la valle della Bekaa e verso il sud. L’esercito però, sottolinea il sacerdote carmelitano, ha messo in guardia da un ritorno prematuro in quelle aree, così segnate nelle scorse settimane dalle violenze della guerra. La situazione è ancora tesa nel sud. Le truppe israeliane hanno 60 giorni per lasciare l’area mentre, nello stesso lasso di tempo, Hezbollah deve ritirarsi a nord del fiume Litani, a più di 20 km dal confine. Ieri, nel tentativo di arginare un flusso incontrollato di civili, l’esercito israeliano ha sparato colpi di artiglieria verso Kfar Kila e Khyam, quattro ore dopo l’entrata in vigore del cessate-il-fuoco. E anche oggi un drone delle Forze di difesa israeliane ha sparato contro un auto in una zona “vietata” del Libano meridionale.
Tra gli sfollati c’è la speranza di poter riavvicinarsi alla propria casa, anche se ciò significa vederla distrutta e dormire con i vicini, mentre in molti sono rimasti in centri di accoglienza improvvisati alla fine di settembre in più di 340 edifici pubblici in tutto il Paese. I loro villaggi sono stati completamente distrutti. «Vogliamo e dobbiamo aiutarli», sottolinea padre Abboud. Resta da vedere come. Ieri il ministero dell’Istruzione ha annunciato la ripresa delle lezioni in presenza da questo giovedì nelle scuole e nelle università private, ma sono destinate a riaprire anche gli istituti scolastici dipendenti dallo Stato.
«Dove andrà tutta questa gente?», si chiede il direttore della Caritas Libano pensando ai tanti sfollati: «Ci stiamo preparando per la crisi post-crisi». «Tante persone hanno perso il lavoro», perché, ricorda, la guerra si è innestata su una crisi economica che durava da più di 5 anni. Queste persone non hanno la possibilità di vivere con dignità, «sono state aiutate da associazioni di beneficenza, e noi vogliamo continuare a sostenerle», assicura il sacerdote libanese, lamentando tuttavia la scarsità delle risorse. «Non è come dopo l’esplosione del porto di Beirut, e nemmeno come dopo la guerra del 2006. Nel 2006 diversi Paesi hanno contribuito alla ricostruzione delle case. Ora no. Per il momento non è previsto alcun progetto di ricostruzione individuale», spiega il direttore di Caritas Libano, che conta sul sostegno dei donatori. «La Divina Provvidenza è stata con noi durante questa guerra, abbiamo fiducia che non ci deluderà».
di Marie Duhamel
e Valerio Palombaro