Ha testimoniato
All’altare della Cattedra della basilica Vaticana sono state celebrate nel primo pomeriggio di oggi, mercoledì 27 novembre, le esequie del cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, missionario comboniano, prefetto del Dicastero per il Dialogo interreligioso, morto lunedì 25 al Policlinico Gemelli di Roma all’età di 72 anni. Al termine Papa Francesco ha presieduto il rito dell’«Ultima commendatio» e della «Valedictio». La messa è stata celebrata dal cardinale decano, di cui pubblichiamo l’omelia. Hanno concelebrato una sessantina di ecclesiastici, tra cardinali, vescovi e sacerdoti. Tra i porporati i cardinali Parolin, segretario di Stato, e Arinze, che al momento della consacrazione sono saliti all’altare; tra i prelati, monsignor Campisi, assessore della Segreteria di stato. Con i membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano l’arcivescovo Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e i monsignori Wachowski, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e Murphy, sotto-segretario per il Personale di ruolo diplomatico. Presenti, con il personale del Dicastero per il Dialogo interreligioso e numerosi rappresentanti di altre religioni, una ventina di famigliari del cardinale, alcuni dei quali giunti da Siviglia, dove Ayuso Guixot sarà sepolto.
Raccolti in preghiera attorno all’altare del Signore, nella luce della fede diamo l’ultimo saluto al Cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, che il Signore ha chiamato a Sé al termine di lunghi giorni segnati dalla malattia e da ripetuti ricoveri in ospedale.
Aveva 72 anni. I problemi di salute avevano rallentato, ma non indebolito il suo impegno di dialogo con le altre religioni nel suo servizio di prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso, per il quale si è speso fino in fondo con dedizione.
In questo momento di mestizia e di dolore, la parola di Dio illumina la nostra fede e sostiene la nostra speranza: la morte non ha l’ultima parola sul destino dell’uomo. «La vita non è tolta — ci assicura la Liturgia — ma trasformata, e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo» (Prefazio dei defunti i). Abbiamo un destino di eternità. Siamo stati creati per Dio e in Lui troveremo la felicità.
Ci sono di sostegno anche le parole, che sono risuonate nella prima lettura. Giobbe, sconfitto nelle disgrazie che gli erano successe e distrutto da una malattia che gli aveva rovinato tutta la pelle, sul punto di morire, ha una certezza: «Io so che il mio Redentore è vivo... io lo vedrò; ... I miei occhi lo contempleranno» (Gb 19, 1). Queste espressioni evocano il ricordo del desiderio di Dio che ha caratterizzato la vita del cardinale Miguel Ángel Ayuso.
Nato a Siviglia in una famiglia numerosa e profondamente cattolica, mentre frequentava l’università partecipava a ritiri spirituali per giovani. Ebbe così modo di entrare in contatto con i Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, decidendo, nel settembre del 1973, di entrare a fare parte di tale congregazione religiosa, nella quale emise la sua professione perpetua il 2 maggio 1980.
Ordinato sacerdote pochi mesi dopo, proseguì i suoi studi a Roma presso la Pontificia Università Urbaniana e presso il Pontificio Istituto di Studi arabi e di islamistica.
Nell’ottobre 1982 partì per l’Egitto, dove svolse l’incarico di parroco della comunità latina del Sacro Cuore di Abbasiyya e si prodigò nell’accoglienza e nell’assistenza dei giovani sudanesi presenti nella capitale egiziana come studenti o migranti o rifugiati. Egli vedeva in ogni persona, di qualsiasi razza, lingua o condizione un appartenente all’unica famiglia umana.
Questa esperienza, sulle orme di san Daniele Comboni, fondatore del suo istituto religioso, lo condusse in Sudan al tempo della guerra civile, dove poi, a partire dal 1989, insegnò islamologia a Khartum.
Ritornato a Roma, nel 2006 divenne Preside del Pontificio Istituto di Studi arabi e di islamistica.
Papa Benedetto xvi nel 2007 lo nominò consultore del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, e nel 2012 gli affidò l’incarico di Segretario di detto Pontificio Consiglio.
Il 25 maggio del 2019, Papa Francesco lo nominò presidente dell’attuale Dicastero per il dialogo interreligioso e, nel concistoro del 5 ottobre 2019 lo elevò a Cardinale.
Il cardinale Ayuso aveva una particolare preparazione per l’attività di tale Dicastero, dove svolse una vasta opera con stile dinamico. Fu un susseguirsi di impegni e di viaggi in ogni angolo del mondo per testimoniare ai fratelli musulmani, indù, buddisti, sikh, shintoisti, confuciani e delle religioni tradizionali che attraverso l’amicizia personale è possibile instaurare un dialogo.
Era animato dalla convinzione che il cammino del dialogo con le persone di tradizioni religiose diverse fa parte della missione originaria della Chiesa. Citava spesso l’affermazione di Paolo vi nell’Enciclica Ecclesiam suam: «la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere» (n. 67).
Ebbe occasione di fare parte del seguito di Papa Francesco nelle visite apostoliche nei Paesi in cui i cattolici sono minoranza. In particolare nel 2019 fu presente ad Abu Dhabi, quando il Santo Padre firmò con l’Iman Ahmad Al-Tayyeb il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e per la convivenza comune. Nel marzo 2021, partecipò allo storico viaggio papale in Iraq, nella terra di Abramo.
Il cardinale Ayuso è stato un autentico uomo di Chiesa, sostenuto da spirito di fede e di preghiera; ma aveva anche un cuore aperto a tutto ciò che tocca la persona umana e interessa il suo bene. Sono innumerevoli le persone che ha incontrato nella sua vita ed a tutti ha cercato di fare del bene.
Aveva una non comune capacità di relazione e lo distingueva una cordiale attenzione a tutte le persone. Un gesto significativo della sua finezza verso gli altri è il seguente. Quando, nello scorso mese di agosto, si rese conto che i suoi giorni di vita non sarebbero stati molti, incaricò suo fratello Enrico di andare, dopo la sua morte, al Dicastero per il dialogo interreligioso per ringraziare a suo nome tutti i collaboratori per il prezioso aiuto che gli avevano dato.
Aveva un cuore compassionevole verso le persone bisognose di aiuto, credenti o non credenti.
Con serenità e abbandono alla volontà di Dio accettò il suo tramonto, ben sapendo, come abbiamo sentito nel Vangelo, che «se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12, 23-28).
Gesù applicava a se stesso queste parole, preannunciando la sua morte e risurrezione. In pari tempo indicava il segreto della fecondità spirituale dei suoi discepoli nel corso dei secoli. Solo partecipando alle sofferenze e alla Pasqua di Cristo il cristiano contribuisce alla soluzione dei problemi e al progresso dell’umanità.
Dal suddetto brano del Vangelo ci viene anche un altro insegnamento: per essere accolti nell’immensità dell’amore di Dio, vale la pena di perdere la vita, come il chicco di grano che muore e si consuma nel seno della terra per dare molto frutto.
E molto frutto ha dato, per sé e per gli altri, il confratello cardinale Ayuso. La sua lezione di vita, nel suo spendersi nel dialogo con tutti con senso di fraternità e di bontà, non sia dimenticata.
Rendiamo grazie a Dio per il dono di questo nostro fratello e per il bene da lui compiuto.
Nell’esodo da questo mondo del cardinale Ayuso, invochiamo per lui la protezione di San Giuseppe, del quale era molto devoto.
Stretti con affetto attorno alle sue spoglie mortali, lo accompagniamo con la nostra preghiera di suffragio a Dio, ricco di misericordia, perché gli apra le sue braccia e lo accolga nel suo Regno che «solo luce e amore ha per confine» (Dante).
di Giovanni Battista Re