· Città del Vaticano ·

Hic sunt leones
Dopo l’elezione di Donald Trump

Quale futuro
nelle relazioni Usa-Africa?

 Quale futuro  nelle relazioni Usa-Africa?  QUO-265
22 novembre 2024

Quando era ormai chiaro che il nuovo inquilino della Casa Bianca era diventato per la seconda volta Donald Trump, i leader africani hanno iniziato a twittare le loro congratulazioni. Lo hanno fatto non solo per scongiurare uno sgarbo diplomatico, come potrebbero pensare i maligni, ma anche per tendere una mano alla nuova amministrazione statunitense, nella consapevolezza che l’Africa intende dimostrare di essere protagonista sul palcoscenico internazionale in considerazione della difficile congiuntura politico-economica che sta attraversando il nostro povero mondo. Ecco alcuni esempi emblematici a riguardo.

Il presidente del Senegal Bassirou Diomaye Faye, in un messaggio pubblicato sulla piattaforma social media X, ha espresso il proprio desiderio di «rafforzare la cooperazione tra le due nazioni e di lavorare insieme per la pace, la prosperità e il rispetto dei valori comuni». Il nigeriano Bola Tinubu ha formulato la speranza che il secondo mandato di Trump possa portare «reciproche partnership economiche e di sviluppo tra Africa e Stati Uniti». Mano tesa nei confronti della nuova amministrazione della Casa Bianca anche da parte del presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa: «Lo Zimbabwe è pronto a collaborare con voi», ha dichiarato in una nota.

Sempre su X, il capo dello stato sudafricano Cyril Ramaphosa ha riferito di aver parlato al telefono con il presidente eletto Trump e di avergli espresso i migliori auguri e le congratulazioni del suo Paese. «Durante la nostra telefonata – ha scritto - abbiamo entrambi convenuto sulla necessità di rafforzare i nostri legami commerciali e politici». Ramaphosa ha anche detto di essere impaziente di ricevere Trump al vertice dei capi di Stato del G20 che si terrà in Sud Africa l’anno prossimo.

Il presidente keniota William Ruto ha invece tardato, rispetto ad altri leader africani, a congratularsi con Trump per la sua vittoria alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Ruto, d’altronde, era diventato uno stretto alleato dell’amministrazione del presidente uscente Joe Biden, con grande disappunto di una consistente parte dell’opinione pubblica keniota. Emblematiche sono state le proteste di piazza, soprattutto da parte dei giovani, contro le politiche economiche del governo di Nairobi e la sua presunta corruzione. Biden ha designato il Kenya come un importante alleato non-Nato e ha garantito il suo coinvolgimento nella missione di mantenimento della pace ad Haiti. Nel suo messaggio di congratulazioni a Trump, Ruto ha ribadito l’impegno del Kenya nei confronti della partnership di lunga data con Washington in materia di «commercio, investimenti, tecnologia e innovazione, pace e sicurezza e sviluppo sostenibile».

Il presidente dell’Eritrea Isaias Afwerki ha affermato che l’elezione di Trump «è avvenuta in un momento cruciale, in cui la pace globale è più che mai di fondamentale importanza», stando a quanto pubblicato su X dal ministro dell’Informazione di Asmara, Yemane G. Meskel. Ha inoltre espresso la speranza che la rielezione di Trump «inauguri un nuovo capitolo di fruttuosi e costruttivi legami di cooperazione tra l'Eritrea e gli Stati Uniti». Il presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, ha affermato di essere impaziente di proseguire la loro solida collaborazione e partnership per promuovere la pace, la sicurezza e la prosperità comune per le due nazioni. Anche il presidente della Guinea Bissau, Umaro Sissoco Embalo, si è congratulato con Trump: «Gli auguro ogni successo per il suo mandato e non vedo l'ora di rafforzare le relazioni tra i nostri due Paesi con lui. Possa questo nuovo mandato portare pace e progresso», ha scritto sul suo account ufficiale X.

Toni entusiasti hanno caratterizzato anche le reazioni delle leadership dello Zambia e del Burundi. «Non vediamo l’ora di rafforzare la nostra cooperazione bilaterale e di approfondire i nostri legami», si legge in una dichiarazione del presidente Hakainde Hichilema diffusa dal governo di Lusaka. Dello stesso tenore le parole del suo omologo burundese Evariste Ndayishimiye che ha scritto su X: «Non vedo l'ora di rafforzare ulteriormente la cooperazione Burundi-Usa». Anche il presidente della Sierra Leone, Julius Maada Bio, e il presidente di Gibuti, Ismail Omar Guelleh, hanno espresso i loro migliori auguri a Trump, sottolineando un interesse comune nell'approfondimento delle relazioni diplomatiche.

Queste dichiarazioni esigono comunque una sorta di esegesi che non può prescindere da una lettura del passato – quando Trump venne eletto per la prima volta alla Casa Bianca e dalla politica perseguita dall’amministrazione di Joe Biden – ma anche del presente momento storico, segnato dagli effetti devastanti della crisi russo-ucraina. Ma andiamo per ordine. Secondo William Gyude Moore, ricercatore del Center for Global Development ed ex ministro della Liberia, l’amministrazione uscente di Biden «ha cercato con tutte le proprie forze di dare l’impressione che l’Africa fosse un partner prezioso e importante». In un’intervista all’emittente britannica Bbc, ha però spiegato che Biden «ha fatto fatica a soddisfare questo entusiasmo con accordi e partnership sostanziali, anche se poi sarebbe esagerato dire che la sua strategia nei confronti dell’Africa sia stata infruttuosa». Ad esempio, gli Stati Uniti sono stati elogiati per aver investito nel Corridoio di Lobito, una linea ferroviaria che attraversa Angola, Repubblica Democratica del Congo e Zambia e che verrà utilizzata per il trasporto di materie prime essenziali.

Di converso, durante il suo primo mandato Trump era stato accusato spesso e da più parti di ignorare il continente africano. Di fatto aveva delegato le questioni dell’Africa subsahariana al suo consigliere John Bolton e non si è mai recato sul suolo africano, liquidando l’Africa con tagli ad alcuni finanziamenti e disponendo il divieto di ingresso negli Stati Uniti da Paesi a maggioranza musulmana, alcuni dei quali africani, come Somalia, Sudan e Libia.

Ma nel frattempo qualcosa sembra cambiato. Lo si evince, per esempio, da una tavola rotonda promossa da Foreign Policy alla quale ha preso parte Martin Kimani, ex ambasciatore del Kenya presso le Nazioni Unite: «Trump rappresenta un ampio gruppo di cittadini che sente di non essere rappresentato dalle istituzioni e dai politici che finora hanno governato gli Usa. Molti africani vogliono a loro volta fare piazza pulita dei propri sistemi politici e in qualche modo le tendenze di Trump si adattano molto bene alla volontà della popolazione africana». In altre parole, Trump è stato percepito come un candidato che si oppone all’establishment. Ecco che allora, nell’immaginario di almeno una parte dell’opinione pubblica africana non è stato visto come esponente della classe politica che per anni ha sfruttato l’Africa e, anzi, viene sentito vicino da molti di coloro che vorrebbero un cambiamento radicale della politica africana.

Inoltre, occorre considerare che in questi ultimi decenni le chiese pentecostali americane si sono ben radicate nel continente africano, in alcuni casi associandosi ad alcune delle chiese indipendenti (indipendent churches) autoctone, sorte in Africa nell’epoca post-coloniale. “Molto del supporto di cui Trump gode negli Stati Uniti viene dalle comunità pentecostali, che gli sono profondamente vicine – ha spiegato Kimani - e non poche di queste comunità hanno legami profondi con comunità cristiane presenti in Africa”.

Sul piano economico, un’incognita è rappresentata dal futuro di Agoa (African Growth and Opportunity Act), che dal 2000 consente ai paesi africani idonei di esportare parte dei loro prodotti negli Stati Uniti con sgravi notevolissimi nei dazi, in alcuni casi addirittura annullati. Durante la sua precedente amministrazione, Trump aveva dichiarato che il programma non sarebbe stato rinnovato alla scadenza nel 2025. Nella campagna elettorale di quest’anno si è spinto anche inoltre, impegnandosi a implementare una tariffa universale del 10 per cento sul reddito per tutti i beni di fabbricazione estera. Ciò renderebbe i beni importati più costosi e quindi gli esportatori africani venderebbero probabilmente meno dei loro prodotti nel grande mercato statunitense.

È comunque importante ricordare che nel 2018 l’amministrazione Trump presentò “Prosper Africa”, un’iniziativa che aiuta le aziende statunitensi che intendono investire in Africa, e la Development Finance Corporation (Dfc), che finanzia progetti di sviluppo in Africa e nel mondo. Biden ha mantenuto entrambe in funzione. Secondo quanto riportato in un comunicato della Dfc, finora sono stati investiti oltre 10 miliardi di dollari Usa in Africa. Considerando che la Cina è il più importante player economico straniero in Africa, soprattutto in termini di investimenti, e che inevitabilmente i mercati africani rappresenteranno un terreno di confronto tra i governi di Washington e Pechino, molti osservatori ritengono che Trump ci penserà due volte prima di tagliarle, essendo stato oltretutto egli stesso ad averle introdotte. Una cosa è certa: l’Africa sarà sempre più espressione del Global South e sarà difficile ignorarla nel consesso internazionale. Se non altro perché gli africani hanno imparato a pretenderlo e possono mettere sul loro piatto della bilancia materie prime strategiche alle quali gli Stati Uniti e non solo non possono rinunciare.

di Giulio Albanese