· Città del Vaticano ·

Il sacerdozio come dono totale di sé nella testimonianza di un prete argentino

L’infinità del nulla

SS. Francesco - Udienza Generale  22-08-2018
21 novembre 2024

«Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2 Corinzi, 4,-10).

Le parole dell’apostolo Paolo risplendono in controluce nella riflessione che ha condiviso con i suoi amici padre Raúl Perrupato in occasione del suo 93° compleanno lo scorso 17 novembre. Uno di questi amici è Papa Francesco che con padre Perrupato è legato da un forte legame d’amicizia che dura più di 80 anni, essendo stati i due vicini di casa negli anni ‘40. Padre Perrupato, nato nel barrio de Flores a Buenos Aires, svolgeva insieme al giovane Jorge Mario Bergoglio il servizio di ministrante in parrocchia e, più grande di cinque anni, ha in pratica insegnato a fare il chierichetto al suo giovanissimo amico. Anche per questo molto volentieri pubblichiamo la bella riflessione da lui condivisa in occasione del suo compleanno e inviata anche al suo vecchio amico d’infanzia.

Grazie per i tanti auguri per il mio 93° compleanno. Questa ricorrenza ha riportato alla mia memoria un ricordo del passato, importante perché ha rafforzato la mia vocazione. L’ho messo per iscritto e forse voi avete il tempo e la pazienza di leggerlo. L’ho intitolato “L’infinità del nulla”.

«Il quale, pur essendo di natura divina … spogliò sé stesso… divenendo simile agli uomini» (Filippesi, 2,6-7).

Questa è la testimonianza di un sacerdote giovane, appena ordinato, e di due sacerdoti anziani e malati, al tramonto della vita.

Il sacerdote giovane ero io, ordinato il 14 dicembre 1958. Quelli anziani erano Padre Eulogio Justel e padre Julián Hurley.

Padre Eulogio Justel era spagnolo, del clero diocesano, e aveva abbandonato la sua patria con anima di missionario per consumare la sua vita donandosi alla nostra gente. Quando lo conobbi, offriva un intenso servizio pastorale nella parrocchia di Luján Porteño, e inoltre scriveva dei bei editoriali su una rivista che veniva distribuita allora a tutte le parrocchie, con un contenuto comune a tutte e con una parte dedicata alle attività proprie di ciascuna.

Ma, con il trascorrere degli anni, un giorno, ormai vecchio, si ammalò e, poiché a quell’epoca non c’era assistenza sociale, dovettero ricoverarlo in un ospedale pubblico nelle vicinanze. Andai a visitarlo lì, stava seduto su un letto, in una stanza dell’ospedale, e lui che era un grande, stava lì con il camice consunto di tutti i ricoverati, muto, solo, abbandonato, incapace di stabilire un vincolo comunicativo con quanti lo visitavano. Dall’essere tutto per me, ridotto al nulla.

L’altro sacerdote era padre Julián Hurlay, gesuita. Era il direttore spirituale del seminario e, al tempo stesso, si occupava della Chiesa del seminario dove si recavano, soprattutto la domenica, molti abitanti del posto. Quando ero seminarista, lo scelsi come direttore spirituale, perché vedevo in lui un uomo di Dio. Ma, in una giornata piovosa, uscì per assistere un malato del quartiere e ritornò fradicio di pioggia. Si ammalò seriamente e i gesuiti lo portarono in un’infermeria improvvisata nel collegio di El Salvador.

Andai a trovarlo lì e vidi che era soltanto l’ombra dell’enorme sacerdote che avevo conosciuto.

Pensai allora che anch’io avrei potuto ritrovarmi così un giorno. Ma in entrambi i casi scoprii la grandezza del sacerdozio e mi sentii felice di essere stato scelto.

Donare a Dio anche l’ultima cartuccia della mia vita, senza il tocco finale di un tramonto brillante.

A tale proposito, ricordo un piccolo aneddoto della vita del cardinale Pironio. In una diocesi vicina a Buenos Aires, avevano nominato vescovo un sacerdote molto malato. Il giorno della sua ordinazione episcopale lo portarono in ambulanza dall’ospedale alla cattedrale dove fu consacrato. E, tenendo presente l’animazione che accompagna l’elezione di un vescovo, un sacerdote amico, molto competente in materia, disse a Pironio: «Che spreco!». Pironio gli rispose: «Come che spreco? Mai più vescovo di ora che è inchiodato alla croce».

È evidente che la logica di Dio non è la nostra logica. E che i nostri pensieri non sono i Suoi pensieri.

di Raúl Perrupato