In un oceano di dolore
Parla di dolore ma ancora di più di speranza l’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk, ripercorrendo i mille giorni della guerra che, dal febbraio 2022, ha travolto il suo paese, l’Ucraina. A colloquio con i media vaticani, il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina ribadisce la condanna verso una guerra stigmatizzata come «insensata e sacrilega» e rilancia l’appello a nome della popolazione a non essere abbandonata: «Non lasciateci soli», dice, «anche in silenzio ma siate presenti accanto a noi».
Sua beatitudine, quali sentimenti prevalgono tra la gente in Ucraina dopo i mille giorni della guerra su larga scala, anche considerando gli attacchi russi dell’ultima settimana?
Se parliamo di sentimenti, da una parte cresce il profondo senso di dolore perché ogni giorno dobbiamo vedere con i nostri occhi il terribile volto della morte, della distruzione. Dall’altra parte prevale la virtù, la capacità di avere speranza, perché senza speranza oggi è impossibile continuare a vivere in Ucraina.
Tanti ucraini dicono che la guerra li ha cambiati. Quali trasformazioni, secondo lei, sperimenta la Chiesa in Ucraina? E cosa di questa esperienza può essere condiviso con i cattolici nel mondo?
Quando è scoppiata la guerra e in un istante ci siamo trovati sotto le bombe, abbiamo vissuto uno shock profondo: le relazioni umane si sono rotte, tutto ciò che fino ad allora avevamo conosciuto, vissuto, è stato distrutto. Questo ha provocato un rinnovamento delle relazioni, anzitutto con noi stessi. Tale sconvolgimento ha provocato anche un altro fenomeno: perdere e ritrovare la relazione con Dio. Quando vivi il bombardamento, vedi tremare la tua casa, è come se ti trovassi in una notte spirituale e ti viene da gridare: «Signore dove sei? Perché mi hai abbandonato?», come Gesù sulla croce. Ma poi questo Dio, che in un momento sembrava essersi oscurato, si fa presente e la Chiesa assiste un fenomeno di profonda conversione. Questo è il senso della vita spirituale ed ecclesiale: perdersi e ritrovarsi in un mondo, in una società, in un paese diverso.
Il dono più prezioso di Dio è la vita. In Ucraina tante famiglie vivono i lutti per la perdita dei propri cari caduti al fronte o morti nei bombardamenti. La Chiesa come aiuta le persone ancora ad amare e proteggere la vita?
Immersi in un oceano di dolore, è importante essere presenti anche se non possiamo dire nulla. Chiediamo «state in silenzio ma accanto a noi, non lasciateci soli». La presenza della Chiesa è un sacramento che rende visibile la presenza reale del Signore in mezzo al suo popolo. Poi, la forza della parola che porta la forza di Dio, la vita, la speranza, la capacità di rinnovare le risorse umane e spirituali. La parola del Vangelo è vita.
Qual è la fonte della speranza che possa arrivare una pace giusta e duratura?
Si trova in noi. Ci davano tre giorni e adesso stiamo parlando del millesimo giorno di una guerra insensata, blasfema, sacrilega. Abbiamo visto che proprio dentro di noi c’è una fonte zampillante di resistenza, resilienza, speranza, che diventa anche un problema politico, militare, diplomatico. Una fonte di speranza, una scintilla di vita che l’aggressore vuole annientare. In Ucraina oggi stiamo sperimentando qualcosa che oltrepassa i confini di una sola nazione, anche di una sola Chiesa. Si svela l’autentico volto dell’umanità e quelli che saranno capaci di riconoscerlo capiranno che l’Ucraina oggi non è un problema ma una parte della soluzione.
di Svitlana Dukhovych