Verità e trasparenza: i due criteri imprescindibili, mutuati anche dai messaggi di Papa Francesco per le Giornate della Comunicazione Sociale, di un buon giornalismo. Ne è convinto monsignor Baldo Reina, vicario per la diocesi di Roma, il cui saluto ha aperto stamane il convegno-corso all’università Lumsa, a Roma, Giornalismo e speranza, le speranze del giornalismo, organizzato per celebrare il mezzo secolo di vita di «Roma Sette», il settimanale diocesano dorso domenicale di «Avvenire». Un’occasione, promossa anche da Ucsi Lazio e dall’ordine dei giornalisti, per approfondire alcuni aspetti cruciali che toccano questo mestiere, ché di mestiere si tratta, essendo un artigianato della parola, ha osservato Fabio Zavattaro, direttore del master in giornalismo in codesto ateneo. «In un tempo di guerre, cambiamenti climatici, disuguaglianze, tante cose che non vanno, bisognerebbe lasciare un po’ più di spazio alla speranza perché è quella che ci fa alzare la testa», ha insistito monsignor Reina.
A mettere a fuoco la responsabilità degli operatori di settore è padre Giulio Albanese, che guida l’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali: «L’informazione è la prima forma di solidarietà», ha scandito. Da questo presupposto discende il rischio, molto concreto nell’oggi, che sia la comunicazione istituzionale sia certa cattiva informazione non aderiscano ai principi di verità. «Il tema della mobilità umana e quello dei femminicidi non possono essere assolutamente strumentalizzati dalla politica per ottenere il consenso», spiega ai media vaticani il comboniano. «Il compito dei politici non è solo servire la res publica — aggiunge — ma educare le coscienze. E trovo disdicevole, per non dire penoso, avere giornalisti che spesso sono mercenari della parola, questo non è giornalismo». Anche i giornalisti devono fare il proprio esame di coscienza, aveva detto in conferenza, hanno bisogno di conversione, guardando al Giubileo.
Numerosi i temi portati sul tavolo dal moderatore Ignazio Ingrao, vaticanista Rai: dall’impatto dell’intelligenza artificiale alle sfide per illuminare le periferie, dal problema del lavoro povero ai linguaggi di odio alimentati dai social. Che il giornalismo soffra di una crisi profonda è un dato su cui tutti i relatori sono convenuti, in particolare Vincenzo La Manna, vicedirettore di «Askanews»: tagli di risorse, pirateria, appiattimento verso il basso di una professione che abdica troppo spesso nella verifica delle notizie, all’inseguimento di quanto viene ogni giorno scaraventato sul web. Tutto concorre a un abbassamento della qualità, eppure, proprio in un’epoca di sovrabbondanza di informazioni, è possibile continuare a garantire onestà da cui nasce la fiducia dei lettori. Lo ribadisce il direttore di «Avvenire», terzo quotidiano in Italia per diffusione, Marco Girardo, il quale si sofferma sulla necessità di tener fede ai pilastri fondamentali: verifica delle fonti e delle notizie, cura nel proporle, gentilezza. Un aspetto, quest’ultimo, tutt’altro che trascurabile, a detta di tutti i presenti, in un tempo in cui la violenza verbale è pervasiva. La clamorosa vicenda che sta riguardando la piattaforma x , minata da un evidente conflitto di interessi, pone dei seri obblighi di riflessione da parte delle aziende, è stato detto.
A esplicitare il tema è stata Roberta Serdoz, vicedirettrice Tgr Rai che, citando ancora il Pontefice, ha ricordato: «La disinformazione è il primo peccato del giornalismo». Bisogna vigilare, ha proseguito, e l’informazione di prossimità è un banco di prova essenziale e ricco di gratificazioni. Perché in questo ambito il contatto diretto con la cittadinanza offre una ricchezza di storie e un ventaglio di esigenze dalla base sociale che, se ben raccontate, hanno la potenzialità di affrancarsi da certe dinamiche tipiche dell’informazione nazionale che più risente dei condizionamenti della politica e dei palazzi. «Il metodo migliore per arrivare ai cittadini è disarmare le parole, imparare che siamo dei mediatori», ripete Serdoz.
Ma come trovare il giusto equilibrio tra lo smanettare sul web e il consumare le suole delle scarpe, come invita a fare il Papa? Virginia Piccolillo, del «Corriere della Sera», è chiara: «Il giornalismo si porta dentro tutto il bagaglio culturale, affettivo, relazionale che si è maturato», questo è l’antidoto alla superficialità, afferma, perché il giornalista è il testimone di lettori che non possono essere pilotati da nessun potere. «La distinzione è solo tra chi cerca di dire la verità, cercando di capirla e di spiegarla nel miglior modo possibile, e chi cerca di dimostrare qualcosa».
di Antonella Palermo