Nei giorni scorsi è uscita l’enciclica di Papa Francesco “Dilexit nos” in edizione congiunta “Ave” e “Vita e Pensiero” (pp 144, euro 3,50), con introduzione scritta dal vescovo assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica italiana e dell’Università cattolica del Sacro Cuore. Di seguito il primo e l’ultimo capitolo del testo del presule, intitolati rispettivamente «Il cuore di Cristo tra tradizione e profezia» e «Il Cuore pulsante del mondo».
Questa quarta Enciclica di Papa Francesco è sorprendente per diverse ragioni. In primo luogo, per il tema a cui è dedicata: il Cuore di Cristo. Non è certamente il primo intervento su questo tema di un Pontefice. Ma certamente la lunghezza e l’articolazione del testo ci dicono che si tratta di una ripresa tutt’altro che celebrativa o di circostanza. Ci troviamo di fronte ad una trattazione di ampio respiro che approfondisce il significato del Cuore di Gesù sotto diversi profili, da quello antropologico a quello spirituale, da quello biblico a quello teologico, dagli insegnamenti del magistero alle prospettive per la missione della Chiesa oggi, valorizzando quanto di più bello e significativo sia stato prodotto sino ad oggi come riflesso delle varie esperienze spirituali e come elaborazione dottrinale e pastorale.
In secondo luogo, sorprende il fatto che Papa Francesco affronti nella sua ultima enciclica un argomento di tenore decisamente diverso rispetto alle due precedenti . Mentre con la Laudato si’ (2015) e la Fratelli tutti (2020) è entrato nel vivo di questioni decisive per l’attuale contesto sociale e culturale, oltre che ecclesiale, esprimendo visioni e valutazioni che interpellano tutta l’umanità, con un documento sul Cuore di Cristo si potrebbe avere l’impressione che si tratti di una questione di carattere spirituale, sostanzialmente interna alla vita della Chiesa e di scarsa rilevanza sociale. In realtà, questo documento è tutt’altro che una semplice ripresa della tradizione legata al Sacro Cuore, erroneamente relegata alla dimensione devozionale. Scorrendo i cinque capitoli e seguendo l’incalzante riflessione che si snoda per ben 220 paragrafi, si resta decisamente sorpresi, certamente dalla profondità teologico-spirituale, ma soprattutto dalla rilevanza antropologico-sociale delle riflessioni proposte dal Pontefice.
In terzo luogo, mi sembra che con questa Enciclica venga posta in evidenza una questione fondamentale per la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo: dove trovare una risposta compiuta alle attese insopprimibili del cuore umano? Da chi e come può giungere una indicazione plausibile e non effimera alla ricerca di senso, di autenticità e di verità che, nonostante tutti i marasmi culturali e le derive sociali del nostro tempo, abita il cuore degli esseri umani? Di fronte a questi interrogativi che abitano il cuore di ogni essere umano, il Pontefice intende offrire una proposta efficace e non scontata. Egli muove alla consapevolezza che «in questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte» (n. 9). Il malessere del cuore umano viene da lontano. Se «il problema della società liquida è attuale», le sue radici le troviamo «già nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo nelle sue varie forme» (n. 10).
Il quarto aspetto che suscita una certa sorpresa è la profondità teologica. Scevro da ogni sentimentalismo spirituale — come ci si poteva aspettare nella trattazione di un tema che è stato appannaggio di una certa riduzione emozionale e intimistica — troviamo invece una esposizione approfondita dei fondamenti teologici che illuminano la riflessione attorno al Cuore di Cristo. Non è un caso che ci sia anche un’attenzione minuziosa nell’uso delle espressioni. “Cuore di Cristo” è, infatti, la definizione di gran lunga preferita che ricorre per ben 91 volte e viene utilizzata dal Pontefice nelle parti in cui esprime e sviluppa in modo esplicito il suo pensiero; mentre “Sacro Cuore”, espressione più classica, che è presente soprattutto nelle citazioni dei vari autori e del magistero, ricorre complessivamente 27 volte (eccettuate le note); così come “Cuore di Gesù” lo troviamo solo 26 volte e con gli stessi criteri dell’espressione precedente; lo stesso si può dire di “Cuore del Signore” utilizzato solo 5 volte.
La scelta di prediligere l’espressione “Cuore di Cristo” nasce dalla precisa intenzione di mettere in evidenza la chiave teologica che non fa del cuore un elemento a sé stante, ma sempre deve essere colto come espressione sintetica dell’intera persona del Cristo. Su questo punto il Pontefice ritorna spesso per ribadire che «la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore» (n. 48). Questo dato teologico rappresenta anche la chiave fondamentale per comprendere il senso dell’esperienza umana che trova appunto nel cuore il suo centro unificatore: «Il nucleo di ogni essere umano, il suo centro più intimo, non è il nucleo dell’anima ma dell’intera persona nella sua identità unica, che è di anima e corpo. Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche» (n. 21). Il dato antropologico e quello cristologico convergono e contribuiscono a dare concretezza e solidità ad una riflessione che diventa passo dopo passo rivelatrice di verità fondamentali sul senso del vivere umano e sulla possibilità di sperimentare in pienezza l’amore di Cristo.
In questo orizzonte così unitario dal punto di vista antropologico e teologico, possiamo intravedere come il riferimento al Cuore di Cristo non sia tanto un retaggio del passato, quanto piuttosto una prospettiva profetica per il cammino dell’umanità. Anzi, solo in questo orizzonte si può immaginare un profondo e vero cambiamento sociale: «Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro — afferma il Pontefice —. In Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale» (n. 28). Da questo punto di vista comprendiamo che la visione da cui parte e a cui rimanda Papa Francesco non è poi così lontana da quanto insegnato e sollecitato nelle precedenti Encicliche. Un reale e decisivo cambiamento culturale e sociale è impossibile senza un profondo rinnovamento del cuore umano. Tra le righe, quindi, cogliamo anche un forte appello a lasciarci afferrare dall’amore che sgorga dal Cuore di Cristo per essere artefici di una vera trasformazione interiore e sociale. «Quello stesso Gesù oggi aspetta che tu gli dia la possibilità di illuminare la tua esistenza, di farti alzare, di riempirti con la sua forza» (n. 38) perché «insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore» (n. 182).
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Nel solco della tradizione ignaziana, tra i teologi che hanno dato un contributo fondamentale alla elaborazione di un pensiero sul rapporto tra il Cuore di Cristo e la missione della Chiesa nel nostro tempo, oltre a Karl Rahner citato espressamente da Papa Francesco, credo sia doveroso annoverare anche Hans Urs von Balthasar, in particolare per un suo scritto di teologia spirituale del 1945, ispirato anche dal dialogo con la mistica Adrienne von Speyr, in cui pone in evidenza la centralità del Cuore di Cristo e il dinamismo della sua relazione con il mondo attraverso la Chiesa sua Sposa. È in questa consapevolezza di correlazione concreta e incarnata nella storia che vanno ripensati anche gli aspetti più tradizionali e tipici della spiritualità del Sacro Cuore. Essi, in vario modo, evidenziano come il Cuore di Cristo porta con sé sulla croce le sofferenze dell’umanità e come il cuore dell’uomo, vivendo il dinamismo della consolazione, della riparazione e della compunzione, come «pungolo benefico che brucia dentro e guarisce» (n. 159), sperimenta la tensione virtuosa del dialogo d’amore che purifica, trasfigura e rende solidali (cfr. nn. 151-163).
È così possibile sperimentare, in modo profondo e coinvolgente, la partecipazione al mistero Pasquale e al «destino del corpo mistico di Cristo che cammina nel popolo santo di Dio e che porta in sé il destino di Cristo in ogni tempo e luogo della storia. La devozione della consolazione non è astorica o astratta, si fa carne e sangue nel cammino della Chiesa» (n. 157). Da questi presupposti discende la visione fiduciosa e carica di speranza che troviamo nel quinto ed ultimo capitolo, dove il Pontefice fa vedere tutti i risvolti e le ricadute sociali di una rinnovata sintonizzazione dei credenti con la spiritualità autentica del Cuore di Cristo. Con il suggestivo titolo “amore per amore”, ci indica quale sia l’esito del dialogo profondo tra il Cuore di Cristo e il cuore delle sue creature. Alla luce della Scrittura dobbiamo essere consapevoli che «la migliore risposta all’amore del suo Cuore è l’amore per i fratelli; non c’è gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore» (n. 167). Tutta la storia della spiritualità, come viene ricordato in questa parte conclusiva dell’Enciclica, conferma che un’esperienza autentica dell’amore di Cristo genera l’esigenza di corrispondergli amando i fratelli perché, «in definitiva, la chiave della nostra risposta all’amore del Cuore di Cristo è l’amore per il prossimo» (n. 178).
Si innesta in questa corrispondenza d’amore quello che Papa Francesco chiama: “significato sociale della riparazione al cuore di Cristo”. Ci ricorda che non si tratta di una contabilità del dare e ricevere o di ripagare il danno fatto, ma di entrare nella logica della gratuità e della possibilità di essere rigenerati nell’amore di Cristo. Per questo, «la riparazione cristiana non può essere intesa solo come un insieme di opere esteriori, che pure sono indispensabili e talvolta ammirevoli. Essa esige una spiritualità, un’anima, un senso che le conferiscano forza, slancio e creatività instancabile. Ha bisogno della vita, del fuoco e della luce che vengono dal Cuore di Cristo» (n. 184). Tra le dimensioni che maggiormente testimoniano l’efficacia di una vera conformazione al Cuore di Cristo c’è la capacità di perdono e di riconciliazione. Sono il segno di un cuore che è entrato nella logica della gratuità dell’amore ricevuto a cui non si può che corrispondere con la stessa libertà di amare disarmando i sentimenti di odio e di risentimento per arrivare fino ad amare i nemici (cfr. nn. 187-190).
In questo senso, la riparazione non è un ripristinare qualcosa che manca all’amore misericordioso di Dio, perché «non c’è nulla da aggiungere all’unico sacrificio redentore di Cristo, ma è vero che il rifiuto della nostra libertà non permette al Cuore di Cristo di dilatare in questo mondo le sue “ondate di infinita tenerezza”» (n. 197), secondo l’espressione tanto cara a Santa Teresina di Gesù Bambino. Più si entra nel mistero dell’amore infinito del Cuore di Cristo, che ha dato la sua vita per noi imprimendo un senso eucaristico a tutte le cose, più si diventa capaci di spendere la propria vita per gli altri con vera libertà e grande generosità. «Un cuore umano che fa spazio all’amore di Cristo attraverso la fiducia totale e gli permette di espandersi nella propria vita con il suo fuoco — afferma in conclusione il Pontefice —, diventa capace di amare gli altri come Cristo, facendosi piccolo e vicino a tutti. Così Cristo sazia la propria sete e diffonde gloriosamente in noi e attraverso di noi le fiamme della sua tenerezza ardente. Notiamo la bella armonia che c’è in tutto questo» (n. 203).
L’orizzonte verso cui si proietta la potenza dell’amore che promana dal Cuore di Cristo è quello missionario, senza del quale sarebbe minata l’essenza stessa del palpito d’amore di Cristo. Il suo Cuore freme perché ancora a molti non è giunta la testimonianza della bellezza del vivere in Lui e del dimorare nel suo Cuore. «La missione, intesa nella prospettiva di irradiare l’amore del Cuore di Cristo — afferma il Santo Padre —, richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita» (n. 209). Comprendiamo così quanto sia vero ciò che fin dall’inizio abbiamo affermato sulla natura e sulle finalità di questa Enciclica, ossia che non è di minor valore o efficacia profetica rispetto alle precedenti. Lo afferma esplicitamente anche il Santo Padre: «Ciò che questo documento esprime ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune» (n. 217).
Una sintesi efficace dell’ispirazione e del fulcro teologico della Dilexit nos la possiamo ricavare da un’espressione di Benedetto xvi che scriveva: «La fede, che prende coscienza dell’amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l’amore. Esso è la luce— in fondo l’unica — che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire» . Da ultimo, non possiamo non cogliere il profondo legame che esiste tra il percorso che ci prepara al Giubileo del 2025 e questa Enciclica. La stessa Bolla di indizione ci ricorda che «la speranza nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce» . Una lettura attenta e meditata di questo documento dedicato al Cuore di Cristo non potrà che rafforzare l’impegno a testimoniare l’amore del Signore in tutti quegli ambiti già delineati da papa Francesco nelle precedenti Encicliche e nello stesso tempo a rendere ancora più fecondo e fruttuoso l’evento giubilare. Perché, come scrive Bruno Forte, «l’Enciclica può essere considerata una sorta di compendio di quanto Papa Francesco ha voluto e vuole dire a ogni fratello o sorella in umanità». Per questo non possiamo non unirci a lui nell’invocazione finale: «Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno» (n. 220).
di Claudio Giuliodori