Tutte le parrocchie
Questi mille giorni di guerra sono mille giorni di tragedia di ogni singola persona. A questa guerra non ci si può abituare. Ci deve inquietare, ci deve preoccupare, ci deve mobilitare. È quanto afferma don Leszek Kryża TChr, direttore dell’Aiuto alla Chiesa dell’Est presso la Conferenza episcopale polacca in un’intervista ai media vaticani.
Dallo scoppio della guerra su vasta scala, don Kryża ha visitato l’Ucraina circa 30 volte. Definisce ognuna di queste spedizioni una “grande lezione” che non può essere sostituita da relazioni, foto o persino incontri con coloro che, di fronte al dramma della guerra, hanno trovato rifugio in Polonia. Secondo i dati di maggio di quest’anno, sono attualmente oltre 950.000, senza contare circa un milione e mezzo di persone che sono arrivate in Polonia prima del 2022. Molti e, allo stesso tempo, pochi, dato che solo nel 2023 15,9 milioni di persone hanno attraversato il confine polacco-ucraino in entrambe le direzioni, il 94 per cento dei quali erano ucraini.
«Siamo vicini di casa, abbiamo tappe storiche comuni. Questo costruisce un tipo di relazione che sicuramente ci fa capire meglio di altri questa guerra», dichiara don Kryża, non con orgoglio, ma con la preoccupazione di come continuare a tradurre questa compassione per il dramma ucraino in un sostegno reale per le vittime del conflitto. Dall’inizio della guerra, il sostegno dalla Polonia è fluito ampiamente e gran parte di esso viene trasmesso attraverso canali ecclesiali. Nei primi due anni di guerra, Caritas Polska ha stanziato quasi 600 milioni di zloty per aiutare l’Ucraina (140 000 Euro). Solo nei primi mesi della guerra, l’Ordine di Malta in Polonia ha inviato 210 camion pieni di aiuti alle città ucraine e i Cavalieri di Colombo in Polonia hanno raccolto in poche settimane oltre 60 mila dollari e continuano ad aiutare.
Circa un migliaio di case di suore in Polonia hanno accolto rifugiati ucraini, principalmente donne e bambini. Hanno anche aiutato le vittime di guerra, tra l’altro, fornendo medicine, pasti, vestiario o aiuto scolastico agli studenti. Nelle case religiose dove le suore gestivano asili e scuole, sono stati accolti i figli dei rifugiati ucraini.
Gli esempi e i numeri possono essere moltiplicati, anche se è difficile contare le preghiere, le iniziative educative e caritative. E sebbene l’entità degli aiuti sia diminuita nel tempo, il loro scopo è aumentato. Gli aiuti provenienti dalla Polonia sono diretti proprio alle esigenze più diverse e concrete della nazione dilaniata dalla guerra. Un esempio possono essere alcune delle iniziative della Caritas: 18 punti di Calore e Speranza, che forniscono riparo durante le incursioni e i blackout; assistenza psicologica per 70.000 persone alle prese con traumi di guerra, oltre a 30.000 bambini che ricevono sostegno educativo.
Come sottolinea don Leszek Kryża, dietro tutti i numeri c’è sempre una persona concreta, sia il donatore che colui a cui va l’aiuto. Ricorda con commozione, ad esempio la generosità dei bambini della Prima Comunione in Polonia che, in risposta a un appello a donare “alcuni” abiti ai bambini delle parrocchie ucraine, nel giro di poche settimane hanno riempito il suo ufficio con diverse centinaia di pacchi, contenenti non solo abiti per la comunione, ma anche regali per i coetanei dell’est e lettere che chiedevano al nuovo “proprietario” della veste bianca di far sapere chi era e dove esattamente viveva. «Abbiamo dovuto comunicare che non sapevamo più dove mettere i pacchi, ma sono arrivati ancora per almeno un anno», racconta don Kryża.
Ripercorrendo i suoi viaggi in Ucraina, il sacerdote direttore dell’Aiuto alla Chiesa dell’Est ricorda esempi straordinari di persone che, nonostante esperienze estremamente difficili, cercano di non perdere la fede. Come quelli che ha incontrato la vigilia di Natale, trascorsa nel seminterrato di un edificio bombardato di Kharkiv. «Gli abitanti di molti piani distrutti vivevano lì insieme. Pregavano e cantavano i canti natalizi. Erano persone con radici polacche, ucraine, armene e probabilmente di molte altre nazionalità. C’era un’atmosfera straordinaria, tanto più che quando pregavamo in questo scantinato, ogni momento suonava un ennesimo allarme, avvertendo che probabilmente ci sarebbe stato presto un altro raid, che un altro razzo si stava dirigendo in questa direzione».
«Un’altra volta abbiamo avuto un incontro con i soldati che combattevano in prima linea e avevamo con noi dei rosari», afferma don Leszek Kryża. Uno dei soldati gli ha chiesto di dargli il rosario, e un altro ha detto al primo: «Ma tu non sei credente, cosa te ne fai di questo rosario?» Allora il primo ha risposto: «In guerra non ci sono non credenti. Adesso insegnami cosa devo fare con questo rosario».
di Dorota Abdelmoula-Viet