Nella mattina di oggi, sabato 16 novembre, il cardinale prefetto del Dicastero delle Cause dei santi ha presieduto a Scutari in Albania, in rappresentanza di Papa Francesco, la messa per la beatificazione dei martiri Luigi Paliq e Gjon Gazulli. Di seguito ampi stralci dell’omelia pronunciata dal porporato.
Il panorama che la proclamazione delle Beatitudini evangeliche (cfr. Mt 5, 1-12) apre ai nostri occhi è splendido e spazioso, un po’ somigliante a quello che il pellegrino nella Terra Santa ammira, quando si affaccia a quella meravigliosa «finestra» sul Mare di Galilea che è la «Montagna delle Beatitudini». C’è questa parola Beati che ricorre come le note di una sinfonia e ogni volta apre scenari di bellezza interiore: la consolazione nel pianto, la pace e la giustizia, la non violenza, la forza del perdono. Ogni volta, è come se ci ripresentasse un aspetto del volto di Gesù.
All’improvviso, però, questo scenario, così colmo di promesse che aprono alla speranza, è come offuscato, come quando una nube nera sopraggiunge a nasconderci il sole e, allora, sentiamo dire: «Beati i perseguitati per causa della giustizia. Beati quando vi insulteranno. vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia». Accade, allora, che queste parole, arrivate al termine della proclamazione delle Beatitudini, ci riportino alle storie di dolore sofferte da tanti cristiani, dall’inizio sino ancora a oggi. Ci riportano pure alla storia di sofferenza e di morte vissuta dai due martiri, che oggi la Chiesa ha proclamato Beati, aggregandoli ai trentotto martiri beatificati ancora qui a Scutari, il 5 novembre di otto anni or sono.
Il primo, Luigi Paliq, è un sacerdote dei Frati minori, nato a Janievo, in Kossovo, una terra che san Giovanni Paolo ii una volta ricordò come «ricca di storia gloriosa» (15 novembre 1989); l’altro, Gjon Gazulli, è sacerdote diocesano di questa santa Chiesa di Scutari. Per ambedue si è verificata la parola di Gesù: «vi insulteranno. vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia»!
Nel testo evangelico c’è questa parola tremenda, che appesantisce tutto e fa venire i brividi: mentendo! È la precisazione che fa l’evangelista Matteo rispetto a quanto affermato nella versione secondo Luca: lì i cristiani sono perseguitati proprio perché tali, qui si precisa che è pure riguardo alla loro condotta che sono accusati. Questo, però, con la falsità, con la menzogna.
San Girolamo, dottore della Chiesa originario di questa sponda del Mediterraneo, commentava che proprio qui è la ragione della Beatitudine: perché sono molti quelli che sono perseguitati e messi a morte, ma non sono Beati; lo sono invece quelli che sono «maledetti», ossia calunniati, oppressi e messi a morte per causa di Gesù. Conclude: dove c’è di mezzo Cristo, allora essere maledetti vuol dire diventare beati.
Papa Francesco, il quale proprio nel contesto della chiamata universale alla santità ha lasciato un commento alle Beatitudini del Vangelo, ha con poche, ma efficaci parole attualizzato questa presenza della menzogna nella persecuzione. Ha scritto che a volte si tratta pure «di scherni che tentano di sfigurare la nostra fede e di farci passare per persone ridicole». Intende dirci che la parola della beatitudine evangelica è attuale anche laddove non c’è persecuzione, ma c’è indifferenza, o derisione. Ha perciò concluso che «accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità» (Gaudete et exsultate n. 94).
I nostri due Beati facevano del bene e furono calunniati e con la menzogna furono condannati. Così avvenne per padre Paliq, la cui vicenda è da collocarsi durante la Prima Guerra Balcanica, nella sua parrocchia di Pejë. Qui gli occupatori del Montenegro, alleato della Serbia, esercitavano una politica repressiva contro la popolazione di etnia albanese, commettendo pretestuosamente violenze e omicidi. Egli, camminando verso il luogo del martirio, diceva: «O Gesù, sia per il tuo amore».
Anche l’uccisione del beato Gazulli fu falsamente motivata e all’origine ci fu un processo-farsa: fu condannato con false accuse e quindi impiccato nella periferia di Scutari, nella zona chiamata «Fushë druve». Egli, come Gesù, morì perdonando i suoi uccisori.
Quanto importante è divenuto, specie nella nostra epoca, questo tema della menzogna, della falsità, dell’inganno! Questi tristi comportamenti umani ci sono sempre stati, si direbbe; oggi, però, in quella che è chiamata l’epoca della post-verità (post-truth) la questione si è ulteriormente complicata. Basti pensare a quanta disinformazione e a quante bugie che rovinano la vita del prossimo e di un popolo passano sul web, al punto da rendere estremamente problematico separare il vero dal falso. Oggi, ci interessa ancora la “verità”? Non è una questione da trattare in una omelia. Almeno, però, una affermazione dovrebbe rimanerci nel cuore e nella mente circa lo splendore e la santità della verità. La riprendo da san Tommaso d’Aquino, il quale abitualmente ripeteva che «la Verità, chiunque la dica, viene dallo Spirito Santo». Per questo l’apostolo san Paolo poteva scrivere: «chi ci separerà dall’amore di Cristo?». La menzogna divide: allontana non soltanto da Cristo, ma pure dai fratelli, dagli altri perché la falsità è divisiva, crea inimicizie, lotte, morte. La verità, invece, unisce: non soltanto ci unisce fra di noi, ma ci unisce al Signore Gesù, che è Verità e Vita.
Dalla beatificazione dei nostri due martiri portiamo con noi questa parola di guida e di conforto. Abbiamo, cioè, come san Paolo, la persuasione che nulla «potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo, nostro Signore».
di Marcello Semeraro