· Città del Vaticano ·

Conclusa la fase diocesana del processo di beatificazione di padre Arrupe

Il carisma ignaziano
nel segno del Vaticano II

 Il carisma ignaziano   QUO-259
15 novembre 2024

Un coraggioso profeta del rinnovamento conciliare. Questo il tratto peculiare, tra i molti, che ha percorso giovedì 14 novembre nel Palazzo Lateranense a Roma, il ricordo del servo di Dio padre Pedro Arrupe Gondra, 28° superiore generale della Compagnia di Gesù. Nell’anniversario della sua nascita a Bilbao nel 1907, dopo oltre cinque anni dall’apertura dell’inchiesta sulla vita, le virtù, la fama di santità e dei segni del gesuita spagnolo, si è giunti alla chiusura della fase diocesana: tutti gli atti e i documenti processuali sono stati sigillati, pronti per essere presentati al Dicastero per le cause dei santi.

Dopo le dichiarazioni di rito da parte del notaio attuario Marcello Terramani — alla presenza del vicario generale Baldassare Reina, dei membri del Tribunale diocesano monsignor Giuseppe D’Alonzo, delegato episcopale e don Giorgio Ciucci, promotore di giustizia — il ricordo di questa figura straordinaria per la storia della Chiesa nel lungo testo letto dal vicario. La difesa e la messa in pratica del concilio è stata la priorità della sua missione, sottolinea l’arcivescovo Reina, sempre in uno spirito di fedeltà e obbedienza alla Chiesa e ai Papi. Fa proprie, il vicario, le parole del padre Konvelbach, successore di Arrupe Gondra alla guida della Compagnia di Gesù, che ne ha messo in luce la franchezza e l’audacia. Per padre Arrupe il caratteristico quarto voto dei gesuiti al Pontefice è stato vissuto non solo come una convinzione intellettuale o elemento di tradizione, ma come profonda adesione affettiva. Il realismo del suo carattere ha aiutato Arrupe nei tempi non facili della 32ª congregazione generale: concepiva quella fase come opportunità per una maggiore purificazione dello spirito per i gesuiti.

Lo sforzo continuo di padre Arrupe è stato quello di una «comprensione aggiornata della consacrazione e dei voti, della vita comunitaria, della missione e della vita spirituale», continua l’arcivescovo. La diffusione della spiritualità ignaziana, soprattutto grazie agli esercizi spirituali del fondatore, ne ha tratto vantaggio. Il ritratto ideale di superiore generale che aveva in mente Arrupe era quello di un uomo capace di passare da un atteggiamento giudicante e dirigista a colui che ispira, anima, incoraggia e promuove nuove idee. «Crede nella forza generatrice della fiducia — precisa ancora il vicario — perciò sceglie di dare credito ai suoi uomini, valorizzando il buono di ciascuno, accettando il rischio di essere frainteso o ingannato».

Monsignor Reina si sofferma su quella “opzione preferenziale” per i poveri che ha fatto di Arrupe un faro e un pioniere. Ha promosso infatti l’amore per gli oppressi dalla miseria, dall’ingiustizia, dall’ignoranza e dalla disperazione. La sua più importante eredità è il «Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati» (Jrs), presente in 58 nazioni, di cui proprio giovedì si è celebrato l’anniversario di fondazione, nel 1980. Ai media vaticani Nacho Eguizábal, vice direttore di quest’opera internazionale, riflette su quanto sia urgente tornare all’insegnamento di Arrupe in un mondo, quello attuale, in cui «si sta imponendo la paura di essere accoglienti. Se padre Arrupe fosse oggi con noi, osserva, ci incoraggerebbe ad aprire il cuore, a mettere in pratica ospitalità e condivisione, che sempre fanno crescere la nostra vita. Sarebbe in totale sintonia con quanto ripete Papa Francesco su come stare accanto ai migranti».

Reina non trascura di menzionare il grande zelo evangelizzatore di Arrupe, attuato secondo uno stile di inculturazione molto rispettoso delle specificità locali. Lo ricorda ai media vaticani anche una delle persone che hanno testimoniato all’inchiesta diocesana, Miki Hayashi, studentessa giapponese alla Pontificia Università Gregoriana, convertita dal buddismo al cattolicesimo grazie al carisma ignaziano che ha respirato nel suo Paese sin dalla frequentazione del liceo. E il Giappone è stato del resto uno dei luoghi più desiderati e amati da Arrupe: vi arrivò nel 1938, restandovi ben 27 anni. Era il tempo che faceva seguito all’esplosione della bomba atomica a Hiroshima, si creava un ospedale da campo nel noviziato dei gesuiti e si prestava soccorso a circa 200 persone.

Promotore del dialogo interreligioso, padre Arrupe invitava a sostenere un buon rapporto con i non credenti. Ha incoraggiato i laici a prendere le loro responsabilità, ricorda ancora monsignor Reina, sia nelle scuole della Compagnia di Gesù sia in associazioni internazionali come le “Comunità di vita cristiana” o l’allora “Apostolato della preghiera” oggi “Rete mondiale della preghiera del Papa”. La capacità di non perdere serenità ed equilibrio interiore hanno aiutato molto il gesuita servo di Dio ad affrontare anche i momenti più critici del suo governo. Soprattutto, come ha sottolineato, commosso, anche l’attuale superiore generale padre Arturo Marcelino Sosa Abascal, Arrupe è un modello per chi cerca alibi nella preghiera: a chi gli chiedeva come facesse a trovare il tempo per ritirarsi in un dialogo quotidiano, prolungato e intimo con il Padre, egli rispondeva candidamente: «È semplicemente un problema di priorità». Questa è stata la linfa che lo ha accompagnato fino alla fine, da cui si sviluppava una tale coerenza tra parole e opere, una capacità di discernimento, di vita contemplativa nell’azione che costituiscono i pilastri del carisma di Ignazio di Loyola. Le 150 comunità, case, opere apostoliche, luoghi educativi, programmi, premi, centri pastorali, istituzioni caritative, strade che in tutto il mondo portano il suo nome ne sono la prova.

di Antonella Palermo