· Città del Vaticano ·

Conclusi i lavori all’Augustinianum

Un grido profetico
di destabilizzante urgenza

 Un grido profetico di destabilizzante urgenza   QUO-258
14 novembre 2024

Al volto sereno di sant’Albano, protomartire britannico giustiziato nei primi secoli dopo Cristo, si può a ragione affiancare quello di Akash Bashir, il primo servo di Dio del Pakistan, «un’immagine che ci dice molto sul martirio e sul dono della vita» ha sottolineato il cardinale prefetto Marcello Semeraro a conclusione del convegno organizzato dall’11 al 14 novembre dal Dicastero delle cause dei santi.

Bashir è il giovane pakistano che il 15 marzo 2015, mentre svolgeva il suo servizio d’ordine, si è accorto della minacciosa presenza di un terrorista kamikaze che voleva entrare in chiesa per compiere una strage, lo ha fermato, lo ha abbracciato ed è saltato in aria insieme con lui. La sua storia, con quelle di tanti altri martiri da terre africane, dall’Europa e dall’America Latina è stata tra quelle tratteggiate nel corso di preziose giornate di studio e di riflessione che hanno spaziato e proposto una ricca molteplicità di interventi: da una panoramica sull’odio contro la fede cristiana nel mondo di oggi, declinato nei vari contesti geografici, fino all’approfondimento antropologico, teologico e giuridico sulla oblatio vitae, l’offerta della vita, come nuova via canonicamente prevista per il rinascimento della santità.

L’assemblea riunitasi al Pontificio Istituto Patristico Augustinianum per riflettere sul tema «Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita» è stata accompagnata ad esplorare piste meno battute come la concezione del martirio nelle varie confessioni cristiane («qui si sono aggiunti arricchimenti e ulteriori spessori» ha rimarcato il prefetto Semeraro); e anche a indagare come la produzione cinematografica ha trattato il tema del martirio e dell’offerta di vita, grazie alla presenza del regista Krzysztof Pius Zanussi, autore di Vita per vita, dedicato al martire san Massimiliano Kolbe, e di Da un Paese lontano, il primo film che conteneva gli archivi della vita di Giovanni Paolo ii .

Il cuore della seconda giornata del simposio è stato lo sguardo a 360 gradi sulla realtà del martirio in età contemporanea e sull’odio alla fede che ancora oggi nel mondo genera martiri. L’arcivescovo redentorista Alfonso V. Amarante, rettore della Pontificia Università Lateranense, ha voluto rimarcare che la «cristianofobia» che ancora si riscontra in contesti di Oriente e Occidente, in nazioni, società e culture che marginalizzano o penalizzano i credenti, è in primis un «cristofobia», ovvero un rigetto della persona e del messaggio di Cristo stesso: è Cristo che risulta scomodo e rivoluzionario, è il Vangelo che appare controcorrente rispetto a logiche di violenza, di prevaricazione, di ingiustizia e di oppressione, che poteri mondani promuovono calpestando la dignità umana. «Il messaggio di amore di Gesù fa ancora scandalo, è segno di contraddizione nell’età contemporanea» ha ricordato il presule nella panoramica condotta a livello globale, e questo produce la reazione e la persecuzione sui battezzati che lo vivono e testimoniano nella mitezza.

Tra gli esempi citati da Amarante, uno dei meno noti quello di Pietro Ernesto Domenico Gatti, francescano e cappellano militare che nel 1949 vene accusato in Romania di essere una spia: fu processato e torturato, fino a morire paralizzato. Il frate avrebbe potuto lasciare quella terra in cui già avvertiva di essere in pericolo, ma non lo fece: la scelta di “rimanere” rappresenta una costante nelle storie di martirio come in quelle di offerta della propria vita.

«L’introduzione, avvenuta nel 2017, dell’oblatio vitae quale via alla santità canonizzabile rappresenta un grido profetico, di attualissima e destabilizzate urgenza per il nostro tempo e per i giovani, ai quali vale ancora la pena di chiedere di spendersi per qualcosa di vero, di grande e di bello che resti per sempre e sia per gli altri» ha notato nell’ultima giornata dei lavori Lodovica Maria Zanet, docente all’Università pontificia Salesiana. È quanto ha testimoniato, nel corso dell’intera vita, Conchita Francisco, laica cattolica sessantaduenne, vedova e madre di due figli, che ogni giorno guidava la recita del Rosario e animava la celebrazione eucaristica nella chiesa cattolica delle piccole isole Tawi-Tawi, nell’estremo Sud delle Filippine, un’area anche rifugio di gruppi terroristici. Il 13 novembre 2012 due uomini non identificati l’hanno attesa sul sagrato della chiesa, proprio dopo la messa, e l’hanno uccisa a colpi di arma da fuoco.

La sua storia, proposta al pubblico, è accanto a quella di almeno altri cento tra operatori pastorali, sacerdoti, consacrati e consacrate, laici, volontari, uccisi in modo violento in Asia negli ultimi 25 anni, mentre stavano donando la vita in attività apostoliche. Nella ricognizione illustrata a partire dai resoconti pubblicati dall’agenzia vaticana Fides, il professor Gianni La Bella ha voluto segnalare che è l’America Latina a detenere il triste record, con 184 operatori pastorali assassinati a partire dall’anno 2000. Uccisi nella ferialità della loro vita, nelle violente periferie delle megalopoli, impegnati nell’opera di promozione sociale o di difesa dei diritti, pronti a combattere l’ingiustizia in nome del Vangelo. Accanto a loro, ai nomi censiti e pubblicamente riconosciuti, ci sonno poi i «militi ignoti delle fede», i martiri che solo Dio conosce.

di Paolo Affatato