Un confuciano occidentale
Un pubblico di un miliardo di persone per un missionario di quattro secoli fa: in Cina, in poco tempo, è stata questa l’accoglienza riservata al docu-film Un confuciano occidentale in Oriente dedicato alla straordinaria figura di Matteo Ricci. Si tratta di una produzione del Kuangchi Program Service (Kps) dei gesuiti, in stretta collaborazione con la China Central Tv (Cctv), la più grande emittente televisiva al mondo. Dopo il successo dell’opera in lingua cinese prodotta nel 2020, la versione italiana del documentario televisivo in quattro parti, dedicato al gesuita nato a Macerata il 6 ottobre 1552 e morto a Pechino l’11 maggio 1610, viene presentata nella serata di giovedì 14 novembre, al Teatro Quirino. È frutto di esclusive riprese fatte in Cina, Macao, India, Italia, Portogallo e anche nell’Archivio della Curia dove sono stati filmati documenti originali.
Padre Matteo Ricci, di nobile famiglia, sceglie presto di abbracciare la Compagnia di Gesù e di guardare all’Asia, seguendo l’impulso missionario che vivrà senza rinnegare i suoi talenti di matematico, cartografo o sinologo, anzi costruendo proprio con i suoi studi ponti di dialogo. Dopo alcuni anni in India, riesce ad approdare in Cina al tempo della dinastia Ming e riceverà dai mandarini il titolo onorifico di «studioso confuciano del grande Occidente».
Al centro di tutto il suo impegno c’è la scelta di «individuare semi di bene che sempre lo Spirito regala a tutti i popoli e a tutte le culture creando così fraternità concreta». Con queste parole padre Massimo Nevola, assistente nazionale dell’associazione laicale ignaziana Comunità di Vita cristiana, ci parla di uno degli aspetti che rendono preziosi gli insegnamenti di Matteo Ricci: «La capacità di vivere nell’attitudine di rispettoso dialogo e ampie vedute che permette di riconoscere i valori di una cultura, di adattare il Vangelo alle esigenze locali, per poi annunciare la completezza e lo splendore della Croce e della misericordia di Cristo».
È quello che con un termine moderno chiamiamo inculturazione e che padre Ricci ha saputo vivere al di là delle definizioni. Padre Nevola ci aiuta con un esempio concreto: padre Ricci, approdando in Cina, ha scelto di riconoscere significati e valore al «culto dei morti», frutto degli insegnamenti del confucianesimo, prima di parlare di Vangelo.
Viene proclamato Servo di Dio da san Giovanni Paolo ii il 19 aprile 1984 e viene riconosciuto Venerabile da Papa Francesco il 17 dicembre 2022. Senza nulla negare alla memoria eccezionale che ha sempre accompagnato il gesuita, alla sua morte, nonostante i frutti raccolti, — ricorda padre nevola — le sue metodologie sono state fortemente messe in discussione e criticate da dotti religiosi, in particolare di altri ordini come domenicani o francescani, ma non solo. Si trattava di studiosi convinti che l’approccio di Ricci non potesse reggere il confronto sul piano teologico. È storia di dialetticità all’interno della Chiesa, che «all’epoca era spesso segnata da paure e rivalità — sottolinea padre Nevola — ma che è molto feconda se ci si apre al pensiero dell’altro nello spirito che Papa Francesco ci ha insegnato a chiamare sinodalità».
Il primo passo importante per rivalutare l’approccio dei “riti cinesi” è venuto da Pio xii . Lo sottolinea padre Nevola prima di ricordare la svolta decisiva su questi temi impressa dal concilio Vaticano ii .
In ogni caso, la vicenda di Matteo Ricci è anche la vicenda dei padri che lo hanno ispirato, della cultura teologica del suo tempo, dei quaranta preziosi compagni di missione, di studi, di vita che lo hanno accompagnato, così come anche della terra e del popolo che lo ha accolto in un cammino difficile e vivo. Tutto questo trapela nel docu-film in cui emerge in tutta la sua straordinarietà «l’eclettica figura» di Matteo Ricci. «Non era esattamente uno scienziato — precisa padre Nevola — ma aveva straordinarie capacità di studio che lo hanno portato nel giro di soli tre anni a sostenere una dotta conversazione in lingua locale e soprattutto a scrivere trattati in cinese e a pubblicare dizionari». Peraltro — prosegue — anche e proprio sul piano dello studioso ritroviamo la sua impronta: ha prodotto il primo mappamondo che mette la Cina e non il mondo occidentale al centro. «È un simbolo della sua fantastica opera di esaltazione del sapere locale che gli ha permesso di dare un contributo preziosissimo a quel sapere insegnando la geometria euclidea e tanto altro».
D’eccezione è anche il percorso che ha portato al documentario. Kps è una società di produzione televisiva fondata nel 1958 dal padre statunitense Phillip Bourret, che negli anni Cinquanta ha cominciato con una radio in una baracca per poi avviare l’avventura pionieristica della tv. Kps in cinese si chiama Guangqi She (Società Guangqi) e prende il nome da Paolo Xu Guangqi (1562-1633), l’amico cinese di Matteo Ricci. E Kps in collaborazione con la Jiangsu Broadcasting Corporation (Jbc) di Pechino ha già prodotto altri interessanti documentari messi in onda dalla China Central Television: la serie in quattro parti Paolo Xu Guangqi: un uomo cinese per epoche diverse; la serie in due parti Adam Schall von Bell: al servizio degli imperatori, sulla figura del gesuita tedesco Adam Schall von Bell, precettore del giovane imperatore Shunzhi; la serie in quattro parti Giuseppe Castiglione: pittore imperiale, umile servo, artista gesuita milanese. E l’impegno prosegue: sarà messa in atto la produzione sul gesuita spagnolo Diego de Pantoja, compagno di missione di Matteo Ricci. Si tratta della vita di studiosi, artisti e scienziati gesuiti che hanno dato un contributo notevole al progresso culturale e scientifico della Cina e alla crescita della nascente Chiesa cattolica cinese. Lo hanno fatto con i loro amici e collaboratori cinesi ed è bello che la realizzazione dei docu-film si avvalga di talenti locali in collaborazione con studiosi internazionali. C’è dunque un auspicio che padre Nevola ci confida: che «anche oggi un Paese come l’Italia, che non può competere minimamente con la potenza cinese in termini di sviluppo economico o tecnologico, possa continuare a offrire il suo contributo alla Cina in termini di umanità, di bellezza, di senso di tutte le cose, di spiritualità sulla scia dei grandi santi italiani».
di Fausta Speranza