“Dilexit nos”
È possibile affrontare la lettura dell’ultima lettera enciclica Dilexit nos (Dn) di Papa Francesco dal punto di vista della comunicazione? Non solo è possibile, ma doveroso, e — aggiungo — a mio parere potrebbe essere considerata una vera e propria enciclica… sulla comunicazione.
Parto da una frase che il Santo Padre utilizza nel testo al numero 119 riportando le parole di santa Margherita Maria Alacoque: «non potendo più contenere in sé stesso le fiamme del suo ardente Amore, sente il bisogno di diffonderle». Attraverso questa citazione il Cuore di Cristo, oggetto — lo sappiamo — di tutta l’enciclica, è descritto come il centro di comunicazione dell’amore divino che si espande, potremmo dire, in quando diffusivo in sé stesso.
Il Cuore viene presentato così come il luogo della comunicazione intima tra Dio e l’uomo, in quanto il luogo nel quale si manifesta il “Dio con noi”, nel quale si realizza l’amore di Cristo per la nostra salvezza.
Il Cuore di Cristo è la sua vita per noi, con i suoi gesti, le sue parole che rivelano il suo amore in modo concreto, vicino, compassionevole: la vicinanza del Cuore è la vicinanza di Cristo medico nell’ospedale del mondo. Ne parla così il Santo Padre al capitolo ii : «Il modo in cui Cristo ci ama è qualcosa che Egli non ha voluto troppo spiegarci. Lo ha mostrato nei suoi gesti. Guardandolo agire possiamo scoprire come tratta ciascuno di noi, anche se facciamo fatica a percepirlo. Andiamo allora a guardare lì dove la nostra fede può riconoscerlo: nel Vangelo». La lettera enciclica parte da qui, perché tutto parte da qui.
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La seconda riflessione che vorrei condividere riguarda la dimensione della comunicazione interpersonale sulla quale si riverbera (quasi per diffusione) l’Amore che scaturisce dal Cuore di Cristo.
Nella Lettera enciclica il cuore è presentato come centro di comunicazione autentica tra le persone; comunicazione che diventa vera solo se è dialogo «da cuore a cuore». Non vi è vera comunicazione senza che il cuore umano, riempito dell’amore di Cristo, ne diventi lo spazio di azione; è il calore dell’amore divino il carburante che deve mettere in moto le nostre relazioni affinché siano vere, sincere: affinché le nostre siano parole di amore capaci di incontrare i cuori assetati di ogni uomo che cerca l’acqua viva.
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L’amore di Cristo è sempre amore dato, donato: possiamo dire amore... missionario. C’è infatti un forte accento nella Lettera sulla necessità di comunicare l'amore di Cristo. Come afferma il documento al n. 210: «Parlare di Cristo, con la testimonianza o la parola, in modo tale che gli altri non debbano fare un grande sforzo per amarlo, questo è il desiderio più grande di un missionario dell’anima». La missione inserita nella dinamica del Cuore di Cristo è vissuta così come comunicazione viva dell'esperienza dell'amore divino, perché «Cristo ti chiede, senza venir meno alla prudenza e al rispetto, di non vergognarti di riconoscere la tua amicizia con Lui». Missione e — di conseguenza — testimonianza vissuta non come un portare la propria bandiera ma come condivisione dell’amicizia che Cristo vuole realizzare con tutti noi e, attraverso la nostra testimonianza concreta, fare arrivare a tutti gli uomini e le donne.
Il cuore innamorato fa nascere in noi una urgenza di amore comunicato/donato che è una «necessità difficile da contenere» (Dn n. 211): una urgenza comunicativa che sia perciò vissuta come spinta missionaria (e non come questione tecnica e strategica) messa in moto dal desiderio di fare innamorare il mondo comunicando con la nostra vita la bellezza dell’incontro con Cristo.
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Nella lettera vengono sottolineate alcune «attenzioni particolari» affinché la comunicazione non venga falsificata, perdendo così la sua proprietà evangelica e cristologica.
Nel testo si evidenziano alcune barriere che impediscono alla comunicazione di farsi «moto del Cuore». Esso denuncia anzitutto che «l’anti-cuore è una società sempre più dominata dal narcisismo e dall’autoreferenzialità» (Dn n. 17). Si critica così una comunicazione superficiale basata solo sull’apparenza, notando come «ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede». Il documento avverte anche sul fatto che «quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia».
Attenzioni particolari vengono rivolte dal Papa anche alla comunicazione digitale.
Sul rischio dell’alienazione digitale la lettera suggerisce questa importante riflessione: «L’algoritmo all’opera nel mondo digitale dimostra che i nostri pensieri e le decisioni della nostra volontà sono molto più “standard” di quanto potremmo pensare. Sono facilmente prevedibili e manipolabili. Non così il cuore».
Una attenzione particolare che per il comunicatore diventa vera e propria sfida, così descritta: «Nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore. Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza».
Il richiamo alla poesia è senza dubbio molto importante nel contesto della lettera papale: ciò a cui la poesia rimanda soprattutto in relazione alla “freddezza” di una comunicazione svuotata di cuore, è la necessità di mantenere sempre caldo e vivo lo stile e il contenuto della comunicazione; un calore che si conserva solo tenendo l’atto comunicativo dentro al Cuore di Cristo, alimentandolo dall’unico fuoco in grado di scaldarlo: l’Amore di Dio.
L’enciclica presenta quindi una visione che non demonizza la tecnologia digitale, pur mettendo in guardia dai rischi di una comunicazione puramente tecnologica, in qualche modo “vuota d’amore”, che potrebbe far perdere la dimensione del cuore, dell’autenticità e della profondità delle relazioni umane.
Il documento suggerisce perciò di «fare sintesi», ovvero di integrare la dimensione digitale con quella più profonda e autentica della comunicazione che parte dal cuore; non già semplicemente affiancandole come due distinte attività ma integrandole in una «sintesi del Cuore» che avviene per il credente solo all’interno del rapporto personale ed ecclesiale con Cristo.
Concludo con una considerazione: nell’enciclica emerge chiaramente come la vera comunicazione sia sempre legata all’amore e al cuore, sia in relazione a Dio che nella dimensione orizzontale, verso gli altri. La comunicazione è autentica se è movimento che parte dal cuore che ha la capacità di trasformare tutti i protagonisti di ogni relazione comunicativa. Per questo motivo è non solo possibile dire che tutta l’enciclica ci fornisca importanti basi per una attenta e profonda riflessione sul tema della comunicazione, ma è auspicabile che da questa enciclica si parta per rifondare tutto il nostro modo di realizzare una vita — ed una azione ecclesiale — che sia tutta «comunicazione del Cuore di Cristo».
Soprattutto una vita che abbia il coraggio di farsi spingere dal motore del cuore, lasciando che ciò che ci infiamma nel profondo ci spinga ad incendiare i cuori dei nostri fratelli: «Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20, 9).
di Paolo Padrini