· Città del Vaticano ·

Tra guerre e clima

Sempre più persone
nel mondo soffrono la fame

A group of volunteers with protective jumpsuits clean debris in a street in Paiporta, in the ...
12 novembre 2024

Roma , 12. Eventi meteorologici ogni giorno più estremi, soprattutto siccità e alluvioni, e conflitti stanno vertiginosamente aumentando i livelli globali di malnutrizione, allontanando sempre più l’obiettivo di eliminare la fame nel mondo entro il 2030. Solo lo scorso anno, oltre 200 milioni di persone in 18 Paesi sono precipitate in condizioni di insicurezza alimentare acuta (+26% negli ultimi quattro anni).

È quanto emerge dall’Indice globale della fame 2024 (Global Hunger Index-Ghi), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato dall’organizzazione umanitaria Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente dalla tedesca Welthungerhilfe e dalla irlandese Concern Wordlwide, agenzie umanitarie che fanno parte del network europeo Alliance-2015.

Il documento evidenzia che, senza una rapida inversione di tendenza — mentre a Baku, capitale dell’Azerbaigian, è in corso di svolgimento la Conferenza internazionale sul clima Cop29 —, nel 2030 582 milioni di persone saranno ancora cronicamente denutrite, soprattutto nell’Africa subsahariana, nel sud-est asiatico e in America Latina. E proprio alla Cop29 Cesvi — fondata a Bergamo nel 1985 e presente in 23 Paesi — ha lanciato un richiamo: «Se si manterrà questo ritmo il mondo raggiungerà un livello di fame basso solo nel 2160, tra più di 130 anni».

Siccità e inondazioni continuano inesorabilmente a colpire le colture di base, riducendo la produttività agricola e aumentando i prezzi alimentari, rendendo insostenibile una dieta sana per quasi 3 miliardi di persone. Lo scorso anno, ricorda il rapporto, si sono verificate 399 catastrofi naturali — più di una al giorno —, che hanno colpito 93 milioni di persone, generando perdite economiche che superano i 200 miliardi di dollari.

«L’insicurezza alimentare acuta e il rischio di carestia sono in aumento e l’uso della fame come arma di guerra sta dilagando — spiega Stefano Piziali, direttore generale di Cesvi — e alla base di questi dati allarmanti c’è uno stato di crisi permanente causato da conflitti diffusi, dal crescente impatto dei cambiamenti climatici, da problemi di ordine economico, dalle crisi del debito e dalle disuguaglianze. Intervenire è ancora possibile, anche se diventa sempre più urgente farlo in maniera rapida e strutturata». «Alcuni Paesi hanno, infatti, dimostrato che il progresso è un obiettivo realizzabile: in Somalia, Bangladesh, Mozambico, Nepal e Togo, per esempio, si sono registrate notevoli riduzioni dei punteggi di Index-Ghi sulla malnutrizione, anche se la fame resta comunque un problema serio», aggiunge Piziali.

Il Rapporto Index-Ghi si basa su 4 indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. Sebbene i dati siano migliorati in alcuni Paesi, in altri il livello di fame è assai grave. L’Indice classifica i Paesi lungo una scala di 100 punti, dove 0 rappresenta il miglior valore possibile (assenza di fame) e 100 il peggiore. Più alto è il valore, peggiore è lo stato nutrizionale di un Paese. Valori inferiori a 9,9 mostrano un’incidenza della fame molto bassa, mentre tra 10 e 19,9 il valore è moderato. Valori tra 20 e 34,9 segnalano una situazione di grave fame, mentre valori tra il 35 e il 49,9 livelli allarmanti. Oltre il 50, il problema della fame è considerato estremamente allarmante.

Quest’anno il punteggio Ghi del mondo è di 18.3, ovvero fame a livello moderato. In sei Paesi (Somalia, Burundi, Ciad, Madagascar, Sud Sudan e Yemen), nonostante alcuni miglioramenti, è stato riscontrato un livello di fame ancora allarmante e in ulteriori 36 un livello di fame grave. In ben due terzi dei 130 Paesi esaminati la denutrizione non ha registrato miglioramenti o è addirittura aumentata. Tra le regioni più vulnerabili c’è l’Africa subsahariana (livello 26,8: grave), dove gli effetti del cambiamento climatico hanno ridotto la produttività agricola del 34% dal 1961. Paesi come Somalia, Etiopia e Sudan si trovano a fronteggiare una fame allarmante che, insieme all’insicurezza politico-istituzionale, ha portato la situazione alimentare al limite.

E senza politiche mirate, che pongano i diritti umani al centro delle scelte climatiche e alimentari, i raccolti di grano, riso e mais potrebbero ulteriormente diminuire, colpendo in particolare le comunità rurali, le famiglie a basso reddito e i gruppi già marginalizzati che sono fra i più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici.

In questo scenario è stato poi accertato che la fame globale ha un volto prevalentemente femminile, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito. Le donne, che rappresentano oltre il 60% della popolazione affetta da insicurezza alimentare, sono spesso responsabili dei fabbisogni familiari, ma si scontano con forti disuguaglianze nell’accesso alle risorse agricole, come sementi e terreni. Questa ingiustizia provoca un ciclo di povertà e malnutrizione che passa da madre a figlio, con gravi conseguenze già nelle prime fasi della vita dei bambini.

Nel 2023 oltre 36 milioni di bambini sotto i cinque anni hanno sofferto di malnutrizione, e molti di questi necessitano di cure urgenti. Secondo il Cesvi, colmare i divari di genere nei sistemi agroalimentari potrebbe ridurre la fame globale di milioni di persone entro il 2030, promuovendo sicurezza e giustizia alimentare. «Secondo le ultime stime della Fao, colmare i divari di genere nei sistemi agroalimentari potrebbe aumentare il Prodotto interno l0rdo globale di quasi 1.000 miliardi di dollari, riducendo di 45 milioni il numero di persone afflitte dall’insicurezza alimentare — spiega ancora Piziali — Se ciò non dovesse accadere entro il 2030 quasi un quarto delle donne e delle ragazze di tutto il mondo (23,5%) sarà in condizioni di moderata o grave insicurezza alimentare».

In base alle previsioni, nei prossimi anni il mondo dovrà affrontare un numero crescente di sconvolgimenti, provocati soprattutto dai cambiamenti climatici. L’efficacia della preparazione e della capacità di risposta alle catastrofi naturali è destinata, quindi, a diventare sempre più centrale dal punto di vista della sicurezza alimentare.