· Città del Vaticano ·

All’Università Cattolica di Lublino lectio dell’arcivescovo Gallagher sulla diplomazia vaticana

“Ospedale da campo
in mezzo a una battaglia”

 “Ospedale da campo in mezzo a una battaglia”  QUO-256
12 novembre 2024

Risoluzione dei conflitti — dall’Ucraina al Medio Oriente, dal Caucaso al Myanmar, dall’Etiopia allo Yemen — e costruzione della pace; tutela dei diritti umani; libertà religiosa; cura della casa comune; contrasto della «cultura dello scarto»; migrazioni; accesso all’assistenza sanitaria. E ancora: difesa di politiche economiche giuste; lotta alla tratta; promozione della fratellanza e del multilateralismo. Come «un ospedale da campo in mezzo a una battaglia» la Santa Sede è «parte integrante» del dibattito sulle tensioni che la comunità internazionale deve affrontare e sulle attività che si svolgono nello scacchiere globale, esercitando un soft power che consente di «ottenere risultati che anche le autorità globali più dominanti spesso faticano a raggiungere». L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, illustra nel dettaglio vocazione e natura, strumenti e rapporti, attività e modalità di azione della millenaria diplomazia vaticana attualmente impegnata in relazioni con 184 Paesi e con gran parte delle istituzioni che rappresentano la governance globale. Lo fa in una lunga lectio magistralis tenuta oggi all’Università Cattolica di Lublino (Kul) sul tema “La diplomazia della Santa Sede nel mondo contemporaneo».

Anzitutto Gallagher delinea l’attuale situazione dell’attività diplomatica della Santa Sede a partire dalla storia, quindi ai decenni di lavoro dedicati a «costruire ponti, cercare il dialogo con tutti, usare umiltà e pazienza al massimo per sciogliere nodi apparentemente inestricabili». Quella pontificia, dice, è una «diplomazia della misericordia», intesa come «autentico impegno politico di solidarietà, in vista della promozione del bene comune».

Illustrando agli studenti della Kul la funzione di nunziature e delegati apostolici in contesti con culture e tradizioni religiose differenti, l’arcivescovo sottolinea che «il primo diplomatico è proprio il Papa». Il pontificato di Giovanni Paolo ii e «le questioni riguardanti l’Europa orientale» lo hanno dimostrato ampiamente, ma anche oggi è evidente «l’impatto che Papa Francesco ha sulla scena internazionale». A lui «il mondo si rivolge» e «sono le sue parole e le sue azioni che ispirano e animano l’attività diplomatica della Santa Sede», afferma il rappresentante vaticano. Attraverso esortazioni e preghiere, incontri ed encicliche, e soprattutto con i viaggi in ogni angolo del globo, «il Papa esercita instancabilmente la sua autorità morale», «affronta situazioni di ingiustizia, raggiunge persone abbandonate, mette in guardia da pratiche dannose che mettono a rischio il nostro mondo e il nostro futuro». In questa missione il Papa non è solo ma si avvale di varie istituzioni della Chiesa cattolica e, in alcuni casi, di inviati speciali come il cardinale Matteo Zuppi per la guerra in Ucraina. A volte sono gli stessi vescovi locali a impegnarsi «nel dialogo e nei negoziati con i leader locali» e in campo c’è sempre il nunzio che ha «la responsabilità» di mantenere i rapporti con le Chiese locali e le varie componenti del Governo.

Il focus dell’intervento del presule si sposta quindi sugli scenari attuali di guerre ma anche di sfide e politiche sociali. È in essi che si articola il lavoro della diplomazia papale, portato avanti lontano da cronache e riflettori. Anzitutto la Sede Apostolica è attiva per la risoluzione dei conflitti: Ucraina, Medio Oriente, Africa, Caucaso, in ogni scenario la Santa Sede agisce super partes, «interviene per sostenere un’idea di pace che sia frutto di rapporti giusti, del rispetto delle norme internazionali e della tutela dei diritti umani fondamentali, cerca di risollevare gli oppressi e i più vulnerabili». Soprattutto, afferma Gallagher, «la Santa Sede è attiva sul piano umanitario per sostenere, ad esempio, gli sforzi volti a rinnovare la vita sociale in luoghi remoti e spesso dimenticati, o per facilitare il ricongiungimento familiare dei minori e lo scambio di prigionieri, feriti e salme dei caduti tra Russia e Ucraina». Mai la Santa Sede «cessa di ribadire che il principio di umanità» non può e non deve essere «compromesso in nome delle esigenze militari, colpendo indiscriminatamente la popolazione civile», ha detto il presule. Da qui nasce il pro-attivismo in dibattiti e negoziati internazionali sul disarmo. Altro campo d’azione è la promozione e tutela dei diritti umani, quindi «il diritto alla vita e l’inviolabilità di ogni persona», la difesa della «santità della vita umana dal concepimento alla morte naturale. Difendendo questi diritti, la Santa Sede non solo stabilisce uno standard morale, ma innesca anche dibattiti vitali sulla scena globale», rimarca Gallagher, criticando i Paesi o blocchi di Paesi che «cercano di imporre una visione dei diritti umani, della natura e della dignità che non corrisponde agli insegnamenti della Chiesa».

«Sfortunatamente, in alcuni casi, la fornitura di aiuti umanitari internazionali e finanziamenti per lo sviluppo sono condizionati dalla volontà di un Paese di adottare queste ideologie» aggiunge l’arcivescovo. E sulla stessa scia pone in evidenza lo sforzo costante per un’adeguata assistenza sanitaria per tutti, sottolineando il rifiuto di «alcuni concetti controversi, come i diritti alla salute sessuale e riproduttiva, nella misura in cui si sono evoluti in un’agenda globale ideologica, incluso il cosiddetto “diritto all’aborto” che sfida esplicitamente gli standard morali e legali».

Gallagher parla poi di libertà religiosa, ricordando il contributo di uno dei più illustri professori dell’Università di Lublino intitolata a Giovanni Paolo ii . Nell’epoca del Papa polacco ma anche ai giorni nostri, la religione è «strumentalizzata per alimentare controversie politiche» e questo ha portato a forme «crudeli» di discriminazione, violenza, guerra. In risposta a tali sfide la Santa Sede sottolinea sempre l’importanza di «riconoscere la dimensione pubblica della libertà religiosa, rispettando anche la legittima autonomia e la laicità dello Stato, costruite su un sano dialogo tra lo Stato e le comunità religiose, che non sono rivali ma partner», dice il relatore. Da qui, ancora un elenco degli altri ambiti in quali agisce la diplomazia pontificia e sui quali è forte l’accento del magistero di Francesco: la cura della casa comune, la lotta alla «cultura dello scarto» che «sminuisce la dignità umana valorizzando gli individui esclusivamente in base alla loro utilità», l’impatto dei progressi tecnologici e della globalizzazione sulla forza lavoro e il timore per l’intelligenza artificiale che, «se non adeguatamente contestualizzata e regolamentata, potrebbe avere gravi implicazioni etiche e conseguenze per l’umanità». Non manca inoltre il riferimento alle migrazioni per cui Gallagher ribadisce l’impegno di Santa Sede e Chiesa cattolica nella ricerca di soluzioni adeguate per un fenomeno che — secondo statistiche recenti — colpisce quasi 120 milioni persone in fuga da persecuzioni, conflitti, povertà. In quest’ottica, sottolinea il presule, la Santa Sede difende politiche economiche giuste e mette in campo tutti gli sforzi per sradicare la povertà e cerca di promuovere la fratellanza umana quale antidoto alla «globalizzazione dell'indifferenza».

Forte è poi l’opera della Santa Sede per combattere la tratta di esseri umani e le altre forme di schiavitù moderna. Una «piaga tossica» che la Santa Sede chiede di contrastare esortando i governi «a bloccarne gli affluenti e ad affrontarne le cause profonde, come la povertà estrema, la corruzione, le ingiustizie e l’esclusione in campo economico». Insomma, conclude monsignor Gallagher, di fronte a un panorama desolante che il Papa non ha mancato di definire una «terza guerra mondiale a pezzi», la Santa Sede e le strutture della diplomazia sono unite nel compito di «essere un segno di speranza». In questa prospettiva, la diplomazia pontificia «diventa uno strumento al servizio della convivenza umana e una voce che riafferma in ogni possibile occasione la comune aspirazione alla stabilità, alla sicurezza e alla pace».

Ancora nella lectio il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali offre chiarimenti circa la diplomazia bilaterale mantenuta dalla Santa Sede con diversi Paesi attraverso concordati o accordi, «fondamentali, da un lato, per difendere le Chiese locali da ogni indebita ingerenza dello Stato nelle questioni ecclesiali e, dall’altro, per impegnarsi con gli Stati su questioni di interesse comune». E ricorda, in proposito, anche gli accordi siglati con Paesi con cui non ci sono ancora relazioni diplomatiche «complete», come l’Accordo con la Repubblica Popolare Cinese per la nomina dei Vescovi, prorogato per un quadriennio, e l’Accordo sullo status del rappresentante pontificio residente in Vietnam.

Oltre a questo la Santa Sede sin dal 1949, da quando cioè si è accreditata come osservatore permanente presso la FAO, «ha progressivamente intensificato il suo impegno e il suo contributo all’intera famiglia delle Nazioni, attraverso la partecipazione a numerose organizzazioni internazionali», come osservatore o membro a pieno titolo. Tale partecipazione permette di «agire principalmente come forza di leadership etica» e «supera lo statecraft convenzionale», garantendo l’«indipendenza da alleanze e blocchi politici» e favorendo, invece, cooperazione e mediazione. È per questo che la Santa Sede può svolgere «il ruolo di mediatore affidabile, fondamentale per affrontare i conflitti e promuovere il dialogo sulle questioni globali», afferma l’arcivescovo. Può, cioè, «costruire ponti laddove altri potrebbero vedere solo divisioni insormontabili».

di Salvatore Cernuzio