«La concezione del martirio come espressione di amore perfetto è l’aspetto che ha preminenza su tutti gli altri». Pertanto, «il criterio ultimo della autenticità» del martirio è «l’amore». Così il cardinale prefetto Marcello Semeraro ha aperto ieri pomeriggio il convegno «Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita», organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi presso l’Istituto patristico Augustinianum.
Spiegando che c’è una «tendenza ad un ampliamento» del concetto di martirio, il porporato ha aggiunto come sia tuttavia sempre necessario «che affiori direttamente o indirettamente, l’odium fidei del persecutore». Quanto invece al tema dell’«offerta della vita» — fattispecie introdotta da Papa Francesco con il motu proprio Maiorem hac dilectionem per distinguerla nell’iter di canonizzazione e beatificazione dal martirio e dall’eroicità delle virtù — il prefetto, riprendendo le parole del Pontefice, ha chiarito che essa è riferibile a «quei cristiani che, seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti di Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri ed hanno perseverato fino alla morte in questo proposito».
Ma oggi siamo disposti a dare la vita per Cristo? È una domanda «che interpella tutti» ha detto il moderatore della prima giornata, Alessandro Gisotti, vice direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione, e che non può non lasciare inquieti, se solo si pensa a quanto avviene a milioni di cristiani in tante parti del mondo: dalla Nigeria al Pakistan al Nicaragua, fino ad alcuni Paesi del Medio Oriente o dell’Asia.
Il vescovo Ambrogio Spreafico, ordinario di Frosinone-Veroli-Ferentino e di Anagni-Alatri, ha posto l’attenzione sulla dimensione cristologica della testimonianza martiriale, ricordando che «il programma del cristiano» — che è quello del Buon Samaritano e lo stesso di Gesù — «è un cuore che vede», cioè che «apre all’agape, quell’amore che è pronto anche a dare la vita sul modello del Cristo Signore». Perciò quanti sono stati uccisi «in odium fidei non sono eroi, ma donne e uomini con una vita talmente ripiena dell’amore di Dio in Gesù che non poteva che concludersi con l’imitazione del suo dono estremo».
Ma come si manifesta la conformità alla vita di Gesù di un discepolo? «La chiave è appunto l’imitare Cristo, che diventa servo di tutti». I martiri hanno vissuto l’amore di Cristo, che li ha resi pronti a dare la vita: «la gioia, la beatitudine è nel dare, nella gratuità dell’amore eis telos, fino all’estremo». Ed è Gesù stesso, ha concluso, a chiedere «che questo amore fino al dono della vita sia la caratteristica del discepolo». Tra gli esempi, l’arcivescovo santo Oscar Romero; Floribert Buana Chui, giovane commissario «alle Avarie» alla dogana di Goma, confinante con il Rwanda, che si oppose all’immissione nel mercato di prodotti avariati, scegliendo «come cristiano» di sacrificare la propria vita piuttosto che quella degli altri; alcune suore e laici uccisi in Yemen tra il 1998 e il 2016.
Sulla necessità di «fare memoria dei martiri», Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e vicepresidente della Commissione per i Nuovi Martiri, istituita a luglio da Papa Francesco, ha ammesso che la Chiesa non aveva verso il martirio una «coscienza così vivida» nel Novecento. Tanto più che «il martirio cristiano si inserisce in una lunga scia di violenze» proprie del «secolo del male». «La Chiesa conosceva tante storie di dolore, denunciava la persecuzione. Tuttavia subiva quasi un blocco nel prendere coscienza della grande e globale realtà del martirio, quasi non ne avesse gli strumenti culturali o ne temesse le conseguenze». Viveva una sorta di rimozione, per la quale Riccardi ha menzionato in particolare tre vicende dei primi decenni del secolo: quella armena, quella messicana e quella della guerra civile spagnola. La svolta è avvenuta con il Giubileo del 2000, con la grande commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del xx secolo, al Colosseo. «Giovanni Paolo ii — ha ricordato ancora — era convinto che la Chiesa del xx secolo era quella del martirio». Poi c’è la testimonianza di Papa Francesco, che nel 2017, ha detto nel memoriale dei nuovi martiri nella basilica romana di San Bartolomeo all’Isola Tiberina: «Se guardiamo bene, la causa di ogni persecuzione è l’odio». E una grande spinta alla riconsiderazione del martirio nella Chiesa è venuta dal mondo latino-americano». Papa Bergoglio, perciò, «in un’altra stagione rispetto a Wojtyła, ha consolidato la coscienza della Chiesa come realtà di martiri, volendo che questo tema fosse centrale nel Giubileo 2025».
Il martirio, però, ha chiarito Riccardi, «non si riduce solo ai martiri canonizzati. In questo senso sono caduti parecchi confini: tra il martirio canonizzato e non, tra quello cattolico e delle altre confessioni cristiane, tra il martirio cristiano e la sofferenza di tanti giusti. La sofferenza comune dei martiri delle varie Chiese cristiane, spesso la preghiera comune, ha messo in luce quello che Papa Francesco chiama l’ecumenismo del sangue». Pertanto, «il martirio può essere un punto di partenza di costruzione dell’unità» e di impulso per le relazioni ecumeniche.
Al simposio, che si celebra alla vigilia del Giubileo, nel corso del quale si terrà anche una solenne celebrazione ecumenica dedicata ai Nuovi Martiri, viene approfondito oggi, 12 novembre, il tema dell’odio contro la fede cristiana nei vari contesti geografici e culturali, con un focus anche sulle altre confessioni, e con le relazioni tra gli altri, dell’arcivescovo Alfonso Amarante, rettore della Pontificia Università Lateranense, e del professor Gianni La Bella, dell’Università di Modena e Reggio Emilia; mercoledì si parlerà di offerta della vita sotto diverse angolature: antropologica, storica, teologica e procedurale. Le conclusioni saranno affidate al cardinale prefetto Semeraro.
di Roberto Paglialonga