I nodi da sciogliere
Per 12 giorni il villaggio olimpico della capitale azera Baku è destinato ad essere teatro di serrati confronti tra le forze politiche, economiche e sociali che, in modo sempre più febbrile, animano la globalizzazione ancora immatura di inizio millennio. Con o senza i propri leader, le nazioni di tutto il pianeta sono qui a Baku per parlare della più grave crisi di sempre, ed è difficile immaginare una “cartina al tornasole” più affidabile per verificare le posizioni dei diversi governi.
I media di tutto il mondo continuano a “battere” la notizia dell’Organizzazione metereologica mondiale, secondo la quale il 2024 sarà l’anno più caldo di sempre. Ma la notizia davvero grave, è che gli anni più caldi di sempre sono stati gli ultimi 10, perché quello che stiamo vivendo non è un picco di calore, purtroppo, bensì un’inesorabile tendenza.
Cosa faranno dunque a Baku i più affermati politici del nostro tempo? Saranno all’altezza della sfida che ci sovrasta?
Il presidente uscente della Cop28 — Sultan Al Jaber — ha aperto i lavori affermando che «Noi siamo ciò che facciamo e non ciò che dichiariamo!». Frase con cui intendeva spronare i delegati ad agire, ma anche alludere allo storico accordo raggiunto a Dubai sull’uscita dal fossile al 2050. Peccato che lo scandalo dei tanti affari su gas e petrolio, fatti durante la preparazione della Cop28, si stiano ripentendo anche in Azerbaigian.
Certamente per i paesi produttori di petrolio non è facile rinunciare a tutta quella ricchezza. Ed è molto probabile che un vero passo indietro dal fossile lo faranno solo quando il mercato delle rinnovabili sarà maturo, e i loro imponenti investimenti gli avranno assicurato il mantenimento della leadership energetica.
Dopo la notizia di ieri circa l’intenzione di Donald Trump di uscire dall’Accordo di Parigi nel giorno del suo insediamento — 20 gennaio —, sorprende che a Baku l’inviato americano, John Podesta, rassicuri tutti affermando che la Casa Bianca non fermerà mai il suo impegno per l’ambiente.
Contraddizioni della cultura d’oltreoceano, che però si comprendono meglio quando sullo stesso «The Wall Street Journal», che ha fatto trapelare l’indiscrezione, si descrive il presidente cinese, Xi Jinping, come il leader globale dell’energia rinnovabile. Energia che la Cina esporta ovunque, anche nei paesi in via di sviluppo.
Presto o tardi il mercato energetico cambierà completamente e tutti sanno — soprattutto la Casa Bianca — che le posizioni negazioniste diventeranno controproducenti. Lo dimostrano anche i nuovi obiettivi di decarbonizzazione del Regno Unito, che punta a ridurre le emissioni dell’81% rispetto al 1990 attraverso massicci investimenti sull’eolico off-shore.
Al di là delle analisi geopolitiche va detto che nel primo giorno di negoziati, la Cop29 ha approvato il tanto agognato articolo 6, che da anni viene discusso per aprire il mercato mondiale del carbonio. A rallentare la decisione su quello che potrebbe essere da tempo un preziosissimo strumento per la riduzione delle emissioni e per il finanziamento dei paesi poveri, è sempre stata la difficoltà tecnica di assicurare al mondo un mercato del carbonio affidabile. Troppo facile contare due volte la CO2 catturata o truffare istituzioni e cittadini con progetti poco trasparenti.
Bizzarro che dopo tanti anni di incertezze, la Cop29 si sia affrettata ad approvare l’articolo 6 senza in realtà sciogliere questi importanti nodi. Forse la fretta di portare un risultato di credibilità ad una Conferenza mondiale minacciata da ogni parte?
di Pierluigi Sassi