I possibili scenari internazionali
Cosa farà Donald Trump in politica estera? Come si comporterà rispetto ai temi della guerra e della pace? Avrà un atteggiamento aggressivo o dialogante sui mercati? In che modo affronterà il nodo dell’immigrazione? Continuerà a sostenere gli alleati europei nel campo della difesa o pretenderà da loro un’autonomia e coesione ancora di là da venire? Che rapporto avrà con Pechino? Ogni tornata elettorale per la guida della Casa Bianca scatena previsioni — aspettative, dubbi, timori — sulla direzione che la nuova presidenza imprimerà al mondo. Segno che gli Usa, pur con tutte le antinomie che li caratterizzano, sono (ancora) il Paese con il maggior peso specifico a livello globale. La vittoria di Trump il 5 novembre scorso non sfugge a questa tendenza, anzi.
La curiosità aumenta visto il suo ritorno a quattro anni di distanza dal primo mandato. Con i numerosi focolai di crisi e quelli che sembrano aver bisogno solo di una miccia per deflagrare, il panorama internazionale oggi è decisamente mutato. «Io credo — dice in una conversazione con “L’Osservatore Romano” l’ambasciatore Giampiero Massolo, analista esperto di geopolitica e fino a pochi mesi fa presidente dell’Ispi — che avremo in qualche modo un ritorno di Trump alle coordinate caratterizzanti la sua prima presidenza, ovvero al principio “peace through strenght”. Significa tentare di introiettare forza per assicurare deterrenza, e provare a portare i conflitti sul piano della competizione».
Nel suo primo discorso da neo-presidente a West Palm Beach l’imprenditore di New York ha dichiarato di voler «fermare tutte le guerre». Guardando all’Ucraina, secondo Massolo, «è indiscutibile una certa stanchezza e una crescente aspettativa per un esito che tarda ad arrivare. Si può supporre che, non essendo ormai possibile un ritorno di tutti i territori in mano ucraina — se non con un coinvolgimento diretto della Nato contro Mosca, cosa che nessuno vuole — si arriverà a un accomodamento. Trump spingerà sulle due parti: su Kyiv, con la minaccia di tagliare gli aiuti, perché accetti lo scambio “territorio contro tregua”; su Mosca, cercando di usare il bastone e la carota e provando ad arrivare a un congelamento sulle linee attuali». Del resto, «lo stesso Trump si rende conto che dare soddisfazione a Putin significherebbe lasciare l’Europa in una condizione di incertezza e insicurezza, e poiché il suo obiettivo principale è l’Indo-Pacifico, un’Europa scoperta indebolisce questo intento». Poi, «continuare a tenere aperto il conflitto non fa altro che rafforzare l’asse tra Russia, Corea del Nord e Iran — con la Cina subito dietro —, che rappresenta una minaccia strategica per Usa e Occidente».
L’Europa appare ancora in difficoltà e in affanno. Trump, sottolinea Massolo, «cercherà di premere bilateralmente sui singoli Paesi perché facciano la loro parte in termini di bilanci militari e sicurezza, e perché si assumano costi e responsabilità per la ricostruzione dell’Ucraina. Questo potrà rappresentare uno shock forte, perché i bilanci europei non sono pronti per costi del genere e perché non c’è concordanza tra i vari membri dell’Ue sui principali temi delle relazioni internazionali. La speranza è che lo shock sia salutare ma non così violento da provocare una corsa scomposta, individuale, delle singole parti verso Washington, altrimenti il processo di integrazione rischierà di indebolirsi ulteriormente».
Quanto al Medio Oriente, è pensabile che Trump «voglia lavorare per rivitalizzare i cosiddetti “accordi di Abramo”. Tanto che anche i Paesi sunniti moderati probabilmente sono su questa linea. Israele deve essere attenta a non mettere in atto azioni eccessive oltre un certo limite, per esempio nei confronti dell’Iran, tali da compromettere definitivamente questa possibilità. Mi aspetto – evidenzia ancora l’ambasciatore – che il confronto con l’Iran diventi più antagonizzante scommettendo sul fatto che la debolezza di Teheran in questo momento non porti a una guerra aperta con Israele, anche perché gli ayatollah sanno che la perderebbero».
Una delle questioni più delicate sarà l’immigrazione, che apre il confronto con l’America Latina. «Si punterà a misure visibilmente contenitive, come più volte annunciato; dall’altra parte anche al continente latino-americano si applicherà in qualche modo il principio dello scambio. Comportamenti favorevoli all’interesse americano apriranno la possibilità di un rapporto che tenga conto dell’interesse economico della controparte».
Al netto delle varie mattonelle di interesse sullo scacchiere globale, oggi la priorità strategica degli Usa è sicuramente l’Indo-Pacifico. Visti l’attuale condizione economica della Cina e il rapporto di interdipendenza tra Pechino e Washington (che mitiga le chance di un conflitto aperto e diretto), «ci attendiamo sì un atteggiamento muscolare, fatto di dazi, protezione, tariffe – per evitare che l’industria Usa sopporti svantaggi eccessivi –, ma forse in una fase successiva a un tentativo di far rinascere un accordo commerciale su cui già si era cercato di lavorare alla fine della prima presidenza Trump».
Una cosa è certa: come diceva George H.W. Bush – uno dei pochi presidenti statunitensi cui non sia stato concesso l’onore della rielezione –, “nessuna generazione può sfuggire alla storia”, ovvero al confronto con una realtà necessariamente in fieri. «E la realtà in genere porta alla mitigazione: essa ci dice che nessun Paese può pretendere di rimanere senza alleati e di sentirsi sicuro senza alleati, neanche gli Usa di Trump», conclude Massolo.
di Roberto Paglialonga