Gli atenei pontifici
«Un Consiglio che prendesse ancora di più in mano le sorti dell’università, dando una direzione: da un lato politica e dall’altro lato amministrativa». È questo secondo l’arcivescovo Alfonso Amarante, rettore della Pontificia Università Lateranense (P ul ), il compito affidato da Papa Francesco al nuovo Consiglio superiore di coordinamento dell’ateneo, i cui membri sono stati nominati oggi dallo stesso Pontefice.
In un comunicato diffuso oggi, 9 novembre, si presenta questa realtà contemplata negli Statuti dell’università, e che dal 1° marzo scorso ha un nuovo regolamento approvato dal Pontefice. Un cambiamento che va nella direzione di uno snellimento, ma sempre in continuità con il passato, e che guarda al domani con un piano di azione molto chiaro.
Tra i compiti del Consiglio ci sono quelli di indirizzare e verificare le attività, la programmazione e la progettualità della P ul , dal punto di vista accademico, scientifico e didattico, nonché la sua gestione amministrativa, economica e finanziaria.
Il Consiglio che sarà in carica per 5 anni, è composto da numerosi laici. «La loro ricchezza — spiega ai media vaticani il rettore Amarante — è enorme perché provengono da esperienze di mondi essenziali come quello accademico oppure quello gestionale o ancora quello del giornalismo, della comunicazione in genere. Sono persone che possono dare un supporto molto grande alla missione della P ul ».
Tre i fronti sui quali si concentrerà l’impegno del Consiglio: l’elaborazione di un “piano industriale” che tenga conto della vocazione propria della Lateranense, ovvero offrire un valore educativo cristiano declinato secondo il suo carattere peculiare di «Università del vescovo di Roma; l’individuazione di strategie di comunicazione per promuovere e diffondere la missione dell’università a servizio della Santa Sede; la pianificazione di strategie di fundraising con l’elaborazione di un piano triennale che preveda l’identificazione di possibili donatori/contributori in Italia e all’estero.
Proprio quest’ultima strada è una delle più stimolanti e implica la necessità di trovare risorse, di fare rete. «Il Papa, la Curia, la Chiesa — sottolinea monsignor Amarante — credono nella Pontificia Università Lateranense come credono nell’istruzione in genere per cui continua a investire. Siamo anche consci che lo sforzo, l’investimento economico a livello culturale è qualche cosa che non rientra nell’immediato, rientrerà negli anni a lungo andare».
Il rettore non nasconde la crisi vocazionale che inevitabilmente potrebbe ripercuotersi sulle università e che affligge l’Europa come il Nord America e l’America Latina. «Negli anni immaginiamo che gli atenei pontifici avranno sempre meno studenti. Allora qual è la risposta di fronte a questa sfida? Innalzare la qualità».
«Nell’ottica del Santo Padre — spiega monsignor Amarante — le università pontificie devono essere luogo di studio di ricerca ma anche di incontro culturale, di dialogo, di costruzione. Oggi il mezzo per eccellenza di dialogo è il campo della cultura, cultura in cui la Chiesa ha da dire ancora la sua parola». I mutamenti, spiega il rettore, sono anche il frutto di una visione diversa dell’università. «Una volta — sottolinea il presule — al centro c’erano i programmi, le cose da imparare, adesso al centro c’è la persona e se non si parte dalle sue potenzialità, dalle sue capacità di interagire e diventare una persona capace di fare rete, di dialogare con gli altri, non c’è università». Per Amarante l’università è infatti “una casa” solo perché luogo del cuore, come ha suggerito di recente Papa Francesco.
Nata nel 1773, la Lateranense forma ecclesiastici, consacrati e laici chiamati a operare nella società contemporanea alla luce del Vangelo. Sono stati 139 i professori che hanno insegnato nell’anno accademico 2023-2024, 1.137 gli studenti, la maggior parte proveniente dal continente europeo (657), poi da Africa (180), Asia (169) e Americhe (130), in maggioranza laici (421), ecclesiastici (347), religiosi (290) e seminaristi (79). La multiculturalità per l’ateneo è soprattutto un grande arricchimento perché stimola a trovare «nuovi metodi comunicativi usando la lingua italiana».
Una necessità che si ritrova anche nella ricerca di un linguaggio diverso in teologia. «Quando il Santo Padre — aggiunge il rettore — parla di una teologia che sia in grado di avere carne significa da un lato parlare lo stesso linguaggio del popolo di Dio, un linguaggio che spesso è distante dal nostro, ma dall’altro lato che abbia sostanza. Allora la vera sfida come università è quella di trovare i canali giusti per declinare il sapere teologico in sapere di vita».
Per Amarante essere l’università del Papa è «un onore e un onere». «L’onore — sottolinea — è perché siamo depositari del magistero pontificio dei Papi e abbiamo il grande onere di sviluppare questo magistero, che è la cosa più difficile». Dunque approfondire gli insegnamenti del Pontefice e allo stesso tempo «far sì che la formazione culturale ricevuta dai giovani laici sia secondo un’impronta cristiana molto forte». Espressione di questo percorso sono, ad esempio, i cicli di studi di Scienze della pace e della cooperazione internazionale e quello su Ecologia e ambiente. Il primo è ispirato dalla Fratelli tutti e il secondo dalla Laudato si’.
Mercoledì 13 novembre, il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione, inaugurerà l’Anno accademico dell’ateneo, e l’attore Giacomo Poretti proporrà un suo monologo intitolato Per far un’anima. Una scelta voluta, spiega il rettore, «perché è un uomo che riesce comunque con l’ironia a parlare ad una massa di persone a volte più grande di quella che noi stessi potremmo raggiungere. Oggi senza anima non è possibile costruire una nuova università».
di Benedetta Capelli