Fra Roberto Pasolini è travolto da gioia e timore di fronte alla notizia diffusa oggi alle ore 12 della sua nomina a Predicatore della Casa Pontificia ed esprime il suo “mix” di emozioni: «Da una parte ho avvertito, come in alcuni passaggi della vita, la gioia, lo stupore davanti a qualcosa di enormemente bello che mi veniva incontro. Però non nascondo anche, dall’altra, un certo timore di fronte a un compito molto grande che, per quanto corrisponda un po’ alla mia vocazione di frate predicatore, veramente appare enorme per cui mi sento un po’ frastornato, pieno di timore e tremore, che non mi impediscono di confidare nella forza che il Signore dà quando chiama di fronte a tali prove».
Una prova grande anche per il peso di una tale eredità...
Padre Raniero Cantalamessa per noi frati cappuccini è da tantissimi anni come un astro che tutti abbiamo sempre guardato e ascoltato, con ammirazione per la sua capacità teologica e comunicativa. Quando ero giovane fraticello studente ascoltavo le sue catechesi e le sue predicazioni in taverna con altri studenti, mangiando castagne e bevendo vino, ed eravamo così contenti che uno di noi fosse lì, nel cuore della Chiesa, ad annunciare il Vangelo e mai mi sarei immaginato che un giorno questo onore, questo onere, potesse toccare la mia vita.
Il Dio della Bibbia, Papa Francesco, ce lo ricorda spesso, è il Dio delle sorprese, e lei la Bibbia la conosce bene insegnando proprio esegesi biblica. Forte dei suoi studi che lo portano a maneggiare una materia incandescente come la Sacra Scrittura, di fronte a questo nuovo incarico come si sente?
La Parola del Signore è stata per me il grande tramite con cui il mio cuore è stato penetrato dalla rivelazione di Dio. Io parto da qui nell’incamminarmi verso questo incarico: dall’essere un ascoltatore che si è lasciato provocare dalla Parola di Dio e che quotidianamente la mette al centro delle proprie giornate. Poi sì, senza dubbio ho un bagaglio di conoscenze e di studi che mi aiuteranno, però sento che la maggior forza che mi dà serenità è l’essere ascoltatore della Parola di Dio e quindi che mi viene chiesto il servizio più connaturale a quello che sono e che sono diventato nel tempo.
Un predicatore che innanzitutto è un ascoltatore. Un atteggiamento molto in linea con la dimensione della Chiesa in senso sinodale che il Papa sta chiedendo da anni.
Esatto, mi sento molto sfidato dal tempo che viviamo, dai passi che la Chiesa sta compiendo in questo tempo della storia e con le sue dinamiche di conversione interna come quella della sinodalità. Spero di poter offrire un’intelligenza della Parola di Dio che sia d’aiuto a compiere il cammino coraggioso e faticoso che la Chiesa è chiamata a intraprendere per essere un segno e uno strumento di salvezza nel mondo. Quello della sinodalità e quindi della comunione e del dialogo, è un cambiamento di registro molto forte che la Chiesa sta vivendo: provare a leggere i testi biblici e quindi a offrire meditazioni che vadano a scavare con intelligenza in questa direzione, potrà illuminarci e aiutarci a compiere questi passaggi.
Proprio pochi giorni fa il Papa ha donato un’altra enciclica alla Chiesa, quella dedicata al cuore, al Sacro Cuore di Gesù, la Dilexit nos. In un’intervista a Monica Mondo su TV2000 lei parlò del suo cuore trafitto fino alle lacrime leggendo il Vangelo di Matteo in metropolitana, quindi le chiedo: un testo come questa enciclica è forse superato oggi, oppure invece c’è una saggezza ancora più profonda che anche lei ci può aiutare a scoprire?
Da una parte potrebbe sembrare appunto un testo che richiama spiritualità e devozioni di altri tempi, dall’altra io invece lo considero molto profetico perché il tema del cuore, anche nella sua dimensione di sede dei nostri sentimenti è un tema molto moderno, che anche la teologia biblica e spirituale ha grande urgenza di saper integrare nella sua proposta di fede. Nello sviluppo del nostro cammino umano e quindi anche come Chiesa è importante saper integrare bene la nostra parte emotiva. Chiaramente ci vuole un’intelligenza per saper leggere dentro i nostri sentimenti e per entrare in una relazione sempre più accurata tra noi e Dio, in cui tutto quello che siamo viene coinvolto nella sua chiamata e nella missione che ci affida.
Su questo tema delle relazioni con il Padre e quindi tra di noi, tra fratelli, ricordo un suo articolo su «L’Osservatore Romano» in cui parlava, ad un anno dalla pubblicazione della Fratelli tutti, di una fraternità da custodire perché, scriveva, le relazioni sono fragili e vanno custodite.
La fraternità è l’aspettativa che Dio ha sull’umanità e sulla Chiesa. Però sappiamo che le relazioni fraterne sono forse la parte più delicata della storia umana, della vicenda di ciascuno di noi. Ce lo attesta anche il contesto storico in cui viviamo, dove vediamo quanto sia difficile vivere in pace e in comunione tra di noi, per cui è davvero la sfida più grande che abbiamo, ma anche il dono che in realtà è già in atto. Noi siamo infatti già figli di Dio, siamo già fratelli tra di noi, si tratta di custodirlo. Di fronte a questo dono, come appunto scrivevo in quell’articolo, dobbiamo porci in modo molto umile, come un destino a cui non possiamo rinunciare che è scritto e che si sta già svolgendo. La nostra responsabilità è di accompagnare questo processo perché diventi sempre più autentico e più luminoso in modo da divenire quel legame che cancella anche le false divisioni tra la Chiesa e il mondo e sostenere tutte le persone che cercano con la buona volontà di costruire, ciascuno a suo modo, il Regno di Dio nella storia e nel tempo.
di Andrea Monda