Tel Aviv , 8. Le forze di terra israeliane si stanno avvicinando alla «completa evacuazione» del nord di Gaza e ai residenti non sarà permesso di tornare a casa, ha dichiarato l’Idf, in quello che — scrive «The Guardian» — sembra essere il primo riconoscimento ufficiale da parte di Israele della sistematica rimozione dei palestinesi dall’area. Ovvero, l’implementazione di quel “piano dei generali”, enunciato da Giora Eiland, di cui abbiamo parlato anche ieri sulle colonne del nostro giornale. In un briefing con i media, il generale di brigata Itzik Cohen ha dichiarato che, poiché le truppe sono state costrette a entrare due volte in alcune aree, come il campo di Jabalia, «non c’è alcuna intenzione di permettere ai residenti della Striscia settentrionale di tornare alle loro case». «Dopo aver sfollato la maggior parte o tutti gli abitanti di Jabalia, ora stanno bombardando ovunque, uccidendo le persone sulle strade e all’interno delle loro case per costringere tutti ad andarsene», ha detto un testimone alla Reuters. I funzionari palestinesi parlano di piano di «pulizia etnica».
Una situazione drammatica, che sta riguardando anche la comunità cristiani di circa 400 persone sfollate e ospitate presso la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza City. La maggior parte di loro sarebbero intenzionate a non abbandonare il sito. Tuttavia, le truppe israeliane sono ormai praticamente in prossimità del compund, sostiene il parroco, padre Gabriele Romanelli, e le zone dove si trovavano il centro di formazione e la sede della Caritas — distanti circa quattro chilometri — hanno già ricevuto un ordine di evacuazione.
Intanto, almeno 12 persone sono state uccise da un attacco israeliano contro una scuola-rifugio nel campo per famiglie al-Chati a Gaza City. Altre 20 sono rimaste vittime questa notte dei raid sia nel nord (soprattutto a Beit Lahia), che nel sud. Un rapporto dell’ufficio Onu per i diritti umani denuncia l’utilizzo da parte di Israele di fosforo bianco in almeno 24 occasioni nel corso della guerra. Le trattative per la tregua sono sempre bloccate. E l’ex ministro della Difesa, Yoav Gallant, licenziato dal premier nei giorni scorsi, ha sottolineato che «oltre a me, sia il capo dello Shin Bet, il capo dello staff, sia il capo del Mossad erano d’accordo sulla necessità di un’intesa».
Ancora razzi e missili lanciati da Hezbollah verso il nord di Israele: colpita anche una base navale a Haifa, mentre sei caschi blu malesi di Unifil sono rimasti feriti in un’esplosione a Sidone. «Profonda preoccupazione per le vittime e la distruzione causate dagli attacchi israeliani in molte zone del Libano», è stata espressa dai vescovi maroniti riuniti a Bkerké, cittadina nella baia di Jounieh, per il loro incontro mensile presieduto dal patriarca Béchara Boutros Raï.
I presuli hanno anche ribadito l’appello alla comunità internazionale affinché «stabilisca un un cessate-il-fuoco immediato e applichi la risoluzione Onu 1701, per consentire il ritorno degli sfollati alle loro case e porre fine alle aggressioni israeliane che violano la sovranità nazionale del Libano».