· Città del Vaticano ·

La modernità della «Dilexit nos», la quarta enciclica di Papa Francesco

In un mondo lacerato riscoprire la bellezza
del Sacro Cuore

 In un mondo lacerato  riscoprire la bellezza del Sacro Cuore  QUO-251
06 novembre 2024

Sacro Cuore: devozione moderna per tornare a parlare di modernità! Qui infatti sorge l’incaglio di una dicotomia non solo teoretica, cartesiana, ma sociale, marxiana e politico-economica — colonialista e imperialista — dalla quale non riusciamo proprio ad uscire, anche teologicamente, come testimonia la crisi dell’ecumenismo (o del macroecumenismo, inclusivo del conflitto interreligioso) della vita.

Una devozione creata nella modernità e dalla modernità gesuita, sintesi di altri apporti spirituali — evidenti nella stessa Dilexit nos —, per rispondere a una modernità non solo politico-economica, ma scientifica, che scopre la materia come fonte di energia, opportunità di nuovo benessere; modernità che scopre il corpo, da studiare, analizzare, sezionare, curare senza più l’ausilio del miracolo, o dell’intercessione di santi medici: di una fede terapeutica; modernità che scopre la natura come entità indipendente da un Creatore, realtà sulla quale il pragmatismo economicistico-industriale si scontra con gli ideali artistici dei romantici, artefici di una nuova religione.

Tra questi ultimi anche il beato Federico Ozanam, che dalla musa della natura trae ispirazione poetica per cogliere l’infinita bellezza di Dio.

Il “simbolo” cristologico del cuore, come dimostra la Dilexit nos, si propone dunque come sintesi di natura e cultura, materia e spirito, cielo e terra, anima e corpo, Dio e Carne. È cuore e fuoco; sguardo e ascolto; gesti e parole; amore sensibile e amore trinitario.

Non c’è soluzione di continuità, ma sviluppo nella storia di una sete di Dio-Amore, che dai Profeti giunge ai Vangeli, meditati e riproposti da sant’Agostino e da san Bonaventura, passando per san Bernardo, lungo la strada maestra della grande teologia del desiderio di Dio, che con san Francesco di Sales, in epoca moderna, anima la «santificazione della vita ordinaria», per farsi nuovamente visione con santa Margherita, quindi strategia di comunicazione pastorale con san Claudio de La Colombière.

E se nell’epoca della frammentazione politico-sociale e religiosa moderna anche il cuore rischia di smarrire l’efficacia del simbolo, che ne fa un tutt’uno con il corpo trafitto, a colmarne ogni eventuale lacuna si offre l’immagine del Iesus caritas di san Charles de Foucauld, già predisposta dalla semplicità disarmante e missionaria di Teresa di Lisieux.

Non si tratta, però, di un semplice accostamento combinatorio. Papa Francesco è consapevole di una problematicità moderna che richiede una precisa chiave interpretativa: «La Chiesa non disprezza nulla del bene che lo Spirito Santo ci ha donato nel corso dei secoli, sapendo che sarà sempre possibile riconoscere un significato più chiaro e pieno di alcuni particolari della devozione, o comprenderne e svelarne nuovi aspetti» (109).

Con questi presupposti, si comprende agevolmente il passaggio al magistero del xx secolo, quello di Pio xi e di Pio xii e soprattutto quello di san Giovanni Paolo ii , promotore del culto e della santità di santa Faustina Kowalska.

Non va naturalmente dimenticato il riferimento frequente a quel Gesù che sta al cuore della Compagnia, orientandone l’esercizio spirituale nell’intimità calda dello Spirito.

È davvero mirabile questa operazione ermeneutica applicata a una tradizione moderna, che pareva come accantonata dal concilio Vaticano ii , fautore della nuova centralità al mistero pasquale, quale ritorno alla freschezza delle sorgenti evangeliche, non ancora inquinate dal potere costantiniano.

Ma era proprio necessario un tale sforzo, di fronte ad altri percorsi teologici più facilmente reperibili nella medesima tradizione cattolica e assai più fruttuosi per illuminare le questioni dell’attualità, come dimostrato largamente tanto con la Laudato si’ quanto con la Fratelli tutti, oltre che con la Evangelii gaudium, e soprattutto meno rischiosi sul piano ecumenico?

Era, mi pare, necessario per dimostrare che il Concilio non è questione materiale, di contenuti, ma di prospettiva, di stile, di metodo, di ermeneutica, appunto.

Che l’ermeneutica del concilio Vaticano ii , con la centralità attribuita all’amore e alla misericordia, sul giudizio e sulla condanna, riesce ad aggiornare anche una devozione come il Sacro Cuore, così ancorata alla congerie del suo tempo, che aveva indotto già nei contemporanei il sospetto di superstizione (per alcuni paganesimo).

Che non sia superstizione, invece, ma una mano tesa a una sensibilità popolare, che cresce nella Chiesa post-illuminista e forse post-moderna, nella quale alla nobiltà si sostituisce un popolo semplice, che si identifica nella semplicità della “piccola via” di Teresa di Lisieux è davvero interessante!

Ma ancora di maggiore interesse si dimostra il fatto che sia proprio un Papa che viene dall’America Latina a dirlo alla Chiesa di questo tempo, che nell’azione sinodale ricerca il “fiuto” del popolo, il sensus fidelium che intuisce le «ragioni del cuore» (n. 154).

Se questo Cuore — Sacro perché quello della Sapienza fatta Carne, donna sapienza che veste il grembiale del servizio — fosse il dono fatto oggi dal Sud del mondo a una Chiesa occidentale che invecchia, vittima della sua miopia egoistica? Se fosse proprio l’ermeneutica del Sud quella che ci restituisce la bellezza di un linguaggio che «ha fatto del bene» a generazioni di persone impegnate in un quotidiano tutto sevizio, dono, benedizione e lode? Se fosse l’ermeneutica dei popoli del Sud a guarire, in questo cuore lacerato, le nostre dicotomie, la divisione interiore, che ancora genera conflitti nella mente prima che nei campi di battaglia, nei quali altri fanno guerra e muoiono bambini per i nostri interessi? Se fosse l’ermeneutica delle teologie del Sud a insegnarci a fare teologia, onde riscoprire un Dio che esponendo il proprio cuore alle trafitture dichiara l’illiceità di ogni violenza; contro i bambini in pasto al consumismo; contro le donne, aggredite da un potere da bandire insieme alla violenza; contro le vittime di soprusi in ambito lavorativo o a causa di regimi politici liberticidi e di fondamentalismi; contro le persone che vivono fragilità del corpo, della mente e dell’età; contro la casa comune della Creazione che ci ospita e ci offre il cibo e la bellezza dei fiori per una fraternità senza limiti?

Domande che certo non esulano dalla prospettiva di Papa Francesco, il quale non rinuncia alla lungimirante intuizione dello studioso gesuita Michel de Certeau, secondo il quale una realtà si conosce solo se vista — mediante una completa torsione circolare — attraverso il prisma del suo contrario.

Un’enciclica, dunque, la Dilexit nos che chiude come un cerchio: quello iniziato con l’invito a uscire da sé, proseguito con l’esortazione alla lode con sorella madre Terra, che tutti rende fratelli. Cerchio che ora, tornando al suo inizio, si conclude con l’appassionata sollecitazione a ritrovarsi nel Primogenito della Creazione, che dei due fa un popolo solo, nell’armonia della nuova Gerusalemme, nella cui piazza il sangue dell’agnello sgozzato è fonte che irriga l’albero della vita.

di Giuseppe Buffon